Titolo originale: Snow White and the Seven Dwarfs , uscita: 21-12-1937. Budget: $1,488,423. Regista: David Hand.
Riflessione | La sete di sangue delle regine dei classici Disney (Part I): Biancaneve e i sette nani
15/05/2020 news di Sabrina Crivelli
Esaminiamo le motivazioni e la figura della regina Grimilde del film animato del 1937, svelando il lato oscuro della favola
In molti ormai associano la Disney ai film per famiglie, ossia a visioni adatte a un pubblico costituito per lo più di bambini in tenera età. Anche i più grandicelli possono però tranquillamente vederli e apprezzarli (e non si sta parlando di film Marvel o di Star Wars). Subito vengono in mente i rassicuranti toni rosa pastello e blu che dominano la facciata del castello fatato in La bella addormentata nel bosco (Sleeping Beauty, 1958), o i colori vibranti del meraviglioso giardino di fiori animati in Alice nel paese delle meraviglie (1951), entrambi diretti da Clyde Geronimi. Eppure, i mondi incantati messi in scena nella filmografia classica disneyana celano un lato oscuro, tanto da portare il maestro dell’horror Stephen King a descriverli come “campi minati [intrisi] di paura” (Danse Macabre, 1981).
Infatti, scavando un po’ più a fondo, sotto la superficie più solare e giocosa – abitata da creature fantasiose e animaletti parlanti che catturano l’attenzione dei giovani spettatori -, si nasconde un’anima terrificante che in certi precisi periodi storici e film (il nostro dossier sulla fase dark della Disney parte 1 & parte 2) emerge più che in altri. Ciò che però accomuna molti – se non la quasi totale maggioranza – dei cartoni animati classici è la presenza di un antagonista malvagio e spietato (come in ogni favola che sia degna d’esser chiamata). Tuttavia, esiste una sottocategoria particolarmente memorabile e crudele: le regine assetate di sangue.
Grimilde: la matrigna assassina di Biancaneve e i sette nani
Prendiamo Biancaneve e i sette nani di David Hand (Snow White and the Seven Dwarfs, 1937). Se pensiamo a un film d’animazione, è un titolo che viene in mente quasi spontaneamente – spesso accompagnato da un sorriso. Subito dopo, affiora l’immagine di un gruppo di piccoli minatori dai nomi buffi e dagli atteggiamenti eccentrici, i quali accolgono e confortano Biancaneve, dopo la sua fuga dalla crudele matrigna che la vuole morta.
Forse, però, dovremmo soffermarci un attimo sugli eventi che portano la fanciulla a scappare di casa e avventurarsi in mezzo al bosco. È interessante notare che il motore dell’azione del film sia invero il tentativo (ripetuto) di omicidio da parte della avvenente Grimilde ai danni della figliastra adolescente. Il motivo? Semplicemente è gelosa della sua giovinezza e bellezza. Per portare a termine il proprio piano, la donna arriva ad assoldare un sicario, un cacciatore, a cui ordina di condurre la ragazza in un luogo isolato con una scusa e poi squartarla, portandole a prova della sua morte addirittura il suo cuore.
L’uomo, tuttavia, impietosito dalla dolcezza e innocenza della sua vittima, non se la sente; quindi le rivela i propositi della matrigna e la spinge a cercare la propria salvezza avventurandosi nella foresta. La poverina, sconvolta e terrorizzata, scappa correndo attraverso la sinistra boscaglia, che ai suoi occhi prende vita: i rami, divenuti mani arcigne e nodose, si allungano su di le e la ghermiscono minacciosi. Certo, la sequenza è tutt’altro che rassicurante.
Fatto singolare, tendiamo a dimenticare dell’oscurità che popola le produzioni Disney per famiglie. Forse è perché le scene più scioccanti si sono insediate nel nostro subconscio, in una parte separata della nostra psiche rispetto a dove si trovano i ricordi meno problematici di quegli stessi classici. Ciò può essere valido per alcuni, ma lo è per tutti? Non per Roy Edward Disney, che nelle note interne dell’edizione DVD del 2001 di Biancaneve e i sette nani rivelava di avere “un ricordo ferocemente forte” della spaventosa sequenza in cui Biancaneve scappa nella foresta “con gli alberi che le afferravano i vestiti”. Il nipote di Walt Disney spiega poi: “Probabilmente avevo sei anni ed ero spaventato a morte“.
D’altra parte, come sottolinea sempre Stephen King nel già citato saggio Danse Macabre, ciò che accomuna ogni film, o sequenza horror riuscita (qualsiasi sia il sottogenere a cui il passaggio spaventoso appartiene, sia esso una commedia o un cartone animato) è più di ogni altro aspetto la capacità di “abbattere le fondamenta dell’età adulta sotto i nostri piedi e farci sprofondare di nuovo nell’infanzia”.
Se ci soffermiamo, quindi, sulle fiabe a cui molti titoli Disney sono ispirati, è non è possibile negare che, sovente, sfruttino momenti di terrore per generare tensione. Indubbiamente, gli adattamenti animati si allontanano notevolmente dalla fonte, spesso ne semplificano le trame, altre volte aggiungono alla trama originale passaggi più ‘cinematografici’. Tornando a Biancaneve e i sette nani, un buon esempio è la scena della morte di Grimilde che assume i contorni di un inseguimento spettacolare sulla cima di una montagna in mezzo alla tempesta un temporale.
La vecchia, dopo aver dato la mela avvelenata alla sua nemica, viene braccata dai nani, armati di bastone, che sembrano proprio volerla linciare … Si inerpica su una montagna finché non arriva a un vicolo cieco; qui, tenta di spingere un grosso masso contro i suoi inseguitori per schiacciarli, ma un fulmine colpisce la roccia su cui si trova e lei precipita nel vuoto.
Insomma, una scelta decisamente più ad effetto rispetto all’epilogo della fiaba, in cui la matrigna per punizione è costretta a ballare – fino alla morte – in scarpe di ferro al matrimonio di Biancaneve col Principe Azzurro. Lo stesso vale per il destino che attende una seconda ‘regina killer’ di casa Disney: lo scontro tra il Principe Filippo e Malefica alla fine di La bella addormentata nel bosco è del tutto assente nella fiaba di Charles Perrault, da cui la pellicola ha preso spunto.
Ciò non vuol dire, però, che queste pellicole Disney non si ricollegano in alcun modo alle loro origini; in realtà, anzi, lo fanno. Mantengono la medesima struttura e buona parte dei meccanismi narrativi alla base delle storie a cui fanno riferimento. Alcuni dei momenti più bui di Biancaneve e i sette nani sono certamente desunti dalla fiaba dei fratelli Grimm; allo stesso tempo, tuttavia, va riconosciuto a Walt Disney e al suo team di animatori il merito di numerosi degli elementi più iconici del classico dell’animazione.
Benché, difatti, sovente si trascuri l’importanza del contributo della squadra di creativi all’opera sulla sua realizzazione, diversi sono i cambiamenti fondamentali apportati al materiale letterario. Molti sono altresì i dettagli attraverso cui la caratterizzazione estetica assume un valore simbolico fondamentale. Emblematico è, in tal senso, il massiccio trono della sanguinaria regina. Dopo aver inviato il proprio sicario a uccidere la figliastra, la donna è persuasa di aver riconquistato il primato di “più bella del reame”, dato che il cacciatore la inganna facendole credere che chi l’ha spodestata sia morta.
Se ci concentriamo sul motivo che decora il trono, richiama la variopinta ruota sfoggiata dal pavone nel suo corteggiamento; nella fattispecie, le piume si irradiano intorno a Grimilde, come a esaltarne la figura. Tale scelta formale rivela un chiaro significato: il pavone è universalmente un simbolo di vanità. L’ambiente in cui è rappresentata la villain, quindi, diventa la trasposizione visiva della sua stessa natura. Non solo, l’associazione è condotta fino ai particolari cromatici; i riflessi viola intenso nelle piume rimandano al colore della veste a ribadire la connotazione narcisistica della regina, che tra l’altro costituisce il motore primario della narrazione (ovvero da questo ha origine la fuga dell’eroina e ciò che ne consegue).
Il tema della bellezza ha però un ulteriore funzione e valore all’interno della narrazione di Biancaneve e i sette nani. Il desiderio di primato estetico vince su ogni possibile valore morale. Proprio per questo, il bello a cui anela Grimilde è solo superficiale. Quando arriviamo alla seconda metà del film, però, tale è il desiderio di eliminare la rivale da rinunciare alla tanto agognata avvenenza fisica e trasformarsi in una vecchia rugosa. Così, finalmente, l’interiorità e l’esteriorità del personaggio finiscono per corrispondere e la forma diviene riflesso della sostanza. Peraltro, per mutare il proprio aspetto, la regina ricorre alla magia nera. L’incantesimo in sé ha un ché di inquietante – sopratutto agli occhi di uno spettatore in età scolare -.
Dopo essere scesa in una segreta sotterranea, la donna apre un grosso libro polveroso e inizia a leggere ad alta voce una serie di ingredienti ed elencare i loro effetti. Man mano che li enumera, li versa in un bicchiere da provette ed alambicchi. Durante il processo, addirittura, una nuvola di vapore assume la forma di fantasma urlante (lo spavento che rende i capelli bianchi), finché il liquido non diventa infine verde, la regina lo ingurgita e, dopo una manciata di secondi, ci troviamo davanti a una vecchia ingobbita vestita di nero dall’aspetto tanto sinistro da terrorizzare pure il suo corvo (l’effetto è in parte comico). L’animale di compagnia non riconosce la propria padrona e si nasconde in un cranio umano (ultimo tocco cupo al già funesto ambiente).
In conclusione, pur di liberarsi di Biancaneve, la matrigna è disposta a sacrificare ogni cosa, perfino la sua bellezza.
Una clip con estratti di Biancaneve e i sette nani:
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