Voto: 9/10 Titolo originale: かぐや姫の物語 , uscita: 23-11-2013. Budget: $49,300,000. Regista: Isao Takahata.
Riflessione: La storia della Principessa Splendente di Isao Takahata, la poesia si fa film animato
08/04/2020 recensione film La storia della principessa splendente di Sabrina Crivelli
Nel 2013, il regista giapponese girava quello che sarebbe stato il suo ultimo lungometraggio, un capolavoro delicato e profondo
Lo Studio Ghibli, si sa, è una fucina di sogni. Da decadi produce storie animate di estrema bellezza e poesia. I suoi fondatori, Hayao Miyazaki (La città incantata, Si alza il vento, Il mio vicino Totoro) e Isao Takahata (Una tomba per le lucciole, Pioggia di ricordi), ciascuno caratterizzato da un suo stile e una sensibilità personalissima, ci hanno regalato alcuni dei grandi capolavori dell’animazione mondiale di ogni tempo.
Il meraviglioso, commovente e insieme straziante La storia della Principessa Splendente (Kaguya-hime no monogatari) è indubbiamente uno di questi. Sublime canto del cigno di Takahata, rimasto in lavorazione 8 anni e costato oltre 35 milioni di dollari, questa fu la sua ultima opera prima della sua scomparsa avvenuta nel 2018.
L’anime, uscito in Giappone nel 2013, l’anno successivo fu presentato al Festival di Cannes e infine approdò nelle sale Italiane distribuito dalla Lucky Red; infine, nel 2015 fu candidato agli Oscar (ma vinse il ben più mediocre Big Hero 6). Dopo essere uscito regolarmente in DVD e blu-ray, Netflix, che ha dimostrato ancora una volta una certa finezza di sguardo, si è aggiudicata molta della cinematografia Ghibli, che sta adesso mettendo gradualmente a catalogo. La storia della Principessa Splendente è uno dei titoli attualmente a disposizione degli abbonati. Quindi, abbiamo deciso per l’occasione di (ri)scoprire con voi questo piccolo gioiello della cinematografia nipponica.
Antico e insieme visionario, il film diretto da Isao Takahata si basa anzitutto su un racconto della tradizione popolare giapponese del X secolo, Taketori monogatari, tradotto in maniera letterale “Il racconto di un tagliatore di bambù“. Come il titolo lascia intendere, la narrazione è collocata nelle zone rurali sulle montagne del Giappone, dove un anziano tagliatore di bambù, trova per caso, mentre è dedito al suo lavoro quotidiano, una piccolissima creatura.
L’entità, che emette una luce incredibile, inizialmente ha le sembianze di una principessa, quindi l’uomo la chiama ‘Principessa’ e decide di portarla a casa con sé. Giunti nella capanna, non appena la moglie la prende in braccio, questa si trasforma magicamente in una neonata; così i due vecchi coniugi decidono di crescerla come fosse loro.
Presto, però, scoprono che non si tratta di una normale bambina; al contrario, la piccola cresce con una velocità straordinaria, tanto da portare i ragazzini del villaggio a chiamarla evocativamente “Gemma di bambù”. Nonostante la sua diversità, Principessa trascorre lieta il tempo con i suoi coetanei e sviluppa un legame particolarmente stretto con un adolescente di qualche anno più grande di lei, “fratellone” Sutemaru. Tuttavia, questa felicità è passeggera.
Dopo la miracolosa comparsa prima di pepite d’oro, poi di una serie di tessuti preziosi tra le canne di bambù, l’anziano padre crede che sia un messaggio mandato un messaggio. “Principessa non deve crescere qui tra gente di umili origini”, secondo lui professa la volontà divina, “ma nella capitale”. Così, dopo aver comprato un magnifico palazzo l’uomo si trasferisce con l’intera famiglia, convinto che la figlia adottiva debba avere accesso all’educazione che si confa a una dama d’alto rango e trovare un consorte alla sua altezza. Le ambizioni materiali, tuttavia, gli impediscono di vedere ciò che è veramente importante.
Racconto semplice e insieme profondo, La storia della Principessa Splendente ci trasmette un principio fondamentale: il lusso, gli agi, le dimore sfarzose e le vesti pregiate non contano nulla. D’altronde, niente della vuota mondanità valuta dal padre per Principessa ha importanza per lei. Anzi, si sente soffocare dalle norme di etichetta che le sono imposte. Senza sopracciglia il sudore cade negli occhi e con i denti tinti di nero non si può ridere liberamente, mentre con gli scomodi indumenti tradizionali è impossibile correre senza inciampare.
“Che senso ha tutto questo?“, la protagonista interroga la propria istitutrice – e fa riflettere noi spettatori – sull’inutilità di certe convenzioni che più che altro soffocano l’individuo. Al contrario, alcuni piaceri genuini come mangiare un melone fresco o danzare sotto un ciliegio in fiore apprezzandone l’incredibile bellezza rappresentano invece tesori incommensurabili. L’equilibrio nel ripetersi delle stagioni, come professa la canzone che lei più volte canta, e la meraviglia davanti alla natura sono la chiave di tutto, l’origine di un appagamento assai più profonda.
Poi, c’è l’amore, ossia il motivo per cui una creatura ultraterrena, la Principessa Splendente, decide di reincarnarsi e vivere le gioie e i dolori dell’esperienza umana. I rapporti tra gli uomini nella capitale – come tutto il resto – sono regolati però in base a gerarchie sociali e fatue regole.
Gli onori e le forme, invece che la sostanza vigono come in ogni altro aspetto della socializzazione. Qui è impossibile ogni rapporto sincero, empatico. La protagonista lo scopre ben presto quando, dopo essere stata reclusa e costretta a una quotidianità opprimente per lungo tempo, finalmente viene presentata in società con una grande festa.
Eppure, rimane delusa e sconvolta, poiché scopre che lei non può partecipare, ma solo osservare da dietro a un paravento, perché nessuno può vederla. Inoltre, gli invitati dopo essersi ubriacati la scherniscono, poiché non è una vera aristocratica. In questo come in molti altri casi è sottolineata l’assurdità delle leggi che regolano la comune coesistenza. Chissà se poi, seppur diverse a distanza di secoli, non siano ancor oggi altrettanto insensate …
Infine, c’è il rito di corteggiamento e gli altolocati pretendenti. Tutti sono ottimi partiti e cortigiani boriosi, ma si rivelano anche falsi e inconsistenti, alcuni oggetti preziosi, altri con promesse di fughe d’amore tese solo a cogliere fiori proibiti, fino all’imperatore che reputa le sue concubine di suo possesso. È davvero questa l’unica felicità possibile? Posizione, beni materiali e poco altro, nulla di tutto questo può soddisfare Principessa che, in un momento di disgusto e disperazione, spera di tornare sul regno della luna, da cui in verità proviene.
Sospesa tra due mondi, l’eroina selenita al centro di La storia della Principessa Splendente ci mostra dunque tutta la superficialità di certe sovrastrutture, spesso causa solo di amarezza e che fanno perdere di vista ciò che veramente è importante. Inno struggente alla purezza dell’essere e dell’esistere, il finale metafisico ne racchiude perfettamente il messaggio. In una folle fuga alla fanciullezza felice (della mente e dell’anima, più che del corpo), la ragazza scorge tutto ciò che avrebbe potuto essere, se non fosse stata trascinata via dai luoghi dell’infanzia che tanto amava.
Qui, i contadini sono tornati alle montagne con le loro famiglie, tutti, compreso Sutemaru. Con lui sì, sarebbe potuta essere felice! Per qualche minuto i due s’incontrano, sognano e letteralmente volano insieme sopra le distese fiorite e i campi coltivati. In alto nel cielo, dove solo l’amore sa condurre chi lo prova. Purtroppo, però, è solo un’illusione. Il ragazzo deve ritornare alla sua famiglia, lei ormai non può più sfuggire al suo destino e dovrà tornare sulla Luna, dove gli entità spirituali dimentiche dei sentimenti terreni, vivono atarassiche. Tuttavia, quando ormai una processione ultraterrena è ormai giunta per lei, in un ultimo disperato istante, si guarda indietro, rimpiangendo tutto ciò che sta lasciando.
Pur nella sua semplicità di linguaggio, fanciullesco come quello di una fiaba sapienziale, La storia della Principessa Splendente trasmette un insegnamento profondo e lo fa con infinita poesia, che dal contenuto si estende alla forma, permeandola. Difatti, come per la sceneggiatura (scritta a quattro mani da Isao Takahata e Riko Sakaguchi), l’animazione combina passato e innovazione.
I disegni riprendono l’estetica asciutta, le linee nette e calcate del carboncino e i colori pastello dell’arte tradizionale giapponese. I dettagli, i motivi sulle vesti preziose, i fiori nei campi, il luccichio di gemme portate in dono (e così via) diventano quasi ornamenti del tessuto visivo. Il tutto concorre a rappresentare una realtà fiabesca, un mondo di sogno.
Eppure, quasi a seguire il moto dell’animo, nei momenti di massima gioia e massima disperazione i contorni si stravolgono, i campi cromatici si confondono. Quando, allora, Principessa fugge dalla sua prigione dorata in preda all’angoscia e alla rabbia, la sua figura diviene quasi astratta, come se la velocità della corsa e il travaglio interiore ne deformassero la forma. Così, una figurazione tanto classica da essere (soprattutto per un occhio occidentale non abituato) avveniristica diviene di colpo addirittura espressionista, portando in superficie l’essenza, materializzando l’anima.
Unico e incantevole in ogni suo aspetto, La storia della Principessa Splendente – alla cui riuscita concorrono anche le musiche di Joe Hisaishi – è un film da (ri)guardare più e più volte, poiché ciascuna di queste, forse, potremo notare e apprezzare un particolare che c’è sfuggito e che impreziosisce nell’estetica e nel significato questa vera e propria opera d’arte.
Di seguito trovate il trailer ufficiale:
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