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Titolo originale: Nineteen Eighty-Four , uscita: 09-11-1984. Regista: Michael Radford.

Riflessione | Orwell 1984 di Michael Radford: quando il futuro (non) si realizza

25/06/2021 recensione film di William Maga

Proprio nel 1984 usciva nei cinema la trasposizione con John Hurt e Richard Burton, piuttosto fedele al romanzo del 1949, forse un po' troppo

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Favola nera che traduce, per lo sgomento dello spettatore, le più cupe – e fortunatamente imprecise – profezie di George Orwell, secondo il quale nel 1984, anno in cui ne usciva anche (doverosamente) nei cinema l’adattamento per il grande schermo, un regime totalitario avrebbe già instaurato il Terrore, e il resto del mondo, sconfitto in guerra, si sarebbe apprestato a reggergli umilmente lo strascico.

Lo scrittore inglese pubblicò il suo romanzo nel 1949, quando il ricordo del nazismo e la minaccia dello stalinismo potevano giustificare il suo pessimismo. Sceneggiandolo e dirigendolo proprio nell’anno che avrebbe dovuto simbolizzare il trionfo del ‘Grande Fratello’, il suo connazionale Michael Radford (Another Time, Another Place – Una storia d’amore) con Orwell 1984 (Nineteen Eighty-Four) ne raccoglieva soprattutto il messaggio umanitario, senza dubbio opportuno in un mondo che sebbene non avesse raggiunto le vette dell’orrore teneva tutti comunque in stato di preallarme per le nefandezze compiute dai governanti in certi Paesi, facendo temere che alcuni valori stessero per annebbiarsi. Si parla naturalmente dell’amore, della libertà di pensiero, della giustizia sociale, ma anche della libertà di peccare, di scegliersi il cibo, e di parlare come si vuole.

Orwell1984.jpgTutte cose vietatissime dal Partito, il quale puntualmente s’identifica con uno Stato oppressivo che ha diviso i cittadini in iscritti al ‘partito esterno’ e al ‘partito interno’ (mentre il popolo geme), manipola le volontà e le coscienze con le armi della propaganda di massa, esalta la guerra contro la Eurasia e la Estasia, perseguita i seguaci del grande eretico Ooldsteln, impone una lingua semplificata, e via tiranneggiando.

Fra quanti si ribellano allo status quo c’è Winston Smith (John Hurt), un addetto al Ministero della Verità che deve eseguire gli ordini della Censura intesi a correggere la memoria storica. L’uomo tiene un diario segreto (lo ha iniziato appunto il 4 aprile 1984), al quale confida la propria angoscia e la speranza d’un libero futuro. Quando la giovane Giulia (Suzanna Hamilton), che lavora alla sezione porno del Ministero dell’Amore (scrive romanzi per la ‘feccia proletaria’), gli dà un appuntamento segreto, Smith non regge la tentazione: dopo un incontro clandestino nel bosco affitta una camera da un vecchio rigattiere e si abbandona alla passione. Errore fatale in uno Stato che considera un crimine il piacere.

Quel nido d’amore si rivela infatti una trappola, la polizia sorprende nudi Winston e Giulia, e per Smith comincia la tortura. Poiché il sistema prevede che gli infedeli, prima d’essere uccisi, si autodenuncino, Smith è processato da un Grande Inquisitore (Richard Burton), il quale vuole convincerlo ad ammettere che, se il Partito lo dice, due più due fa cinque. Sottoposto a tremendi supplizi, l’uomo resiste finché può. Crolla quando gli aguzzini minacciano di fargli divorare gli occhi da due topi inferociti. Allora si accusa di ogni possibile delitto, e com’era nei voti del boia, proclama il suo amore per il ‘Grande Fratello’.

Orwell 1984 non è il grande film che può sembrare a un pubblico ancora fortemente condizionato dalla sfida ideologica fra democrazia e dittatura. È un esorcismo che mette in scena il futuro quale lo si immaginava sulla fine degli anni Quaranta, ma che vale come cartello permanente di pericolo per i lavori in corso nei cantieri di ogni politica assolutista. È un film di fantapolitica dettato dalla tradizione liberale inglese, buono come antidoto di ogni progetto collettivista che annulli la persona.

Il regista Michael Radford, all’epoca 38enne, probabilmente sapeva bene che l’avvenire dell’umanità non sarebbe stato così nero, o almeno non lo sarebbe stato sotto questa forma, e tuttavia sapeva anche quanto fosse gradito, per reggere il presente, pensare che il peggio potesse ancora venire. Perciò in Orwell 1984 spinge il pedale del truce e del torvo, contrapponendo alle infamie del ‘Grande Fratello’, che da un teleschermo gigante domina la vita d’ognuno fin dentro le case, la soavità dei paesaggi naturali, sogno e promessa di quei derelitti. Operazione abbastanza banale.

Il lavoro degli scenografi è però degno di lode. Le case fatiscenti, le atroci prigioni, la cornice nazi-maoista in cui si consumano i riti di massa, soprattutto l’idea felice di far convivere i vecchi arnesi della comunicazione (il telefono, la posta pneumatica) con le più avanzate conquiste della tecnologia, quali appunto i teleschermi domestici utilizzati come totem e spie, sono elementi efficaci di un film del terrore che può avvincere lo spettatore, più di quanto lo commuova la tragedia, ‘l’amore impossibile’, di Winston e Giulia.

orwell 1984 film cinemaE meritevole d’attenzione, in quell’ambientazione sinistra che un po’ ricorda Blade runner, è qualche momento delicato: la donna che riscopre il piacere di truccarsi, una vecchia che stende i panni all’antica, la miseria d’una prostituta … Gran parte del rimanente appartiene invece alla polemica spicciola contro la doppiezza dei gerarchi — razza privilegiata di bastardi che dispone di vero zucchero e vero caffè mentre ai cittadini si lesina una crosta — prolunga i manierismi del cinema sugli universi carcerari, tracima nel sentimentale per farci sostenere la minaccia della catastrofe.

Si vuol dire insomma che Orwell 1984 è fatto bene, ma che non dice molto di più di quanto avessero già detto decenni di pubblicistica apocalittica, volta a difendere lo Spirito dell’Uomo. Quando, invece, il discorso in quegli anni si era spostato: il pericolo non veniva più (con qualche eccezione) dal Partito o da qualsiasi Chiesa, ma dalla mente collettiva che inglobava Partito, Chiesa, TV e Pubblicità, trasformando in reale l’apparenza.

I protagonisti sono da applaudire. John Hurt (reduce da Osterman Weekend) ha il fisico del ruolo, e una maschera di sofferenza molto verosimile. Si muove, guarda, grida di dolore con un forte senso della scena. E Suzanna Hamilton (vista in Tess di Roman Polański nel 1979), nella parte di Giulia, lo affianca con dignità. Ma gli occhi sono, comprensibilmente, per Richard Burton, che qui recitò per l’ultima volta e al quale Orwell 1984 è dedicato: un Inquisitore perfetto nella sua perfidia paterna, un simbolo che l’eccellenza dell’attore contribuisce a rendere ancora più odioso.

Incuriosisce sapere che il regista disse di averlo ribattezzato ‘O’Brien’ per farne un cattolico irlandese, quindi un prototipo del gesuita. Però si dà il caso che proprio ‘O’Brien’ si chiamasse l’attore chiamato a interpretare quella parte in Nel 2000 non sorge il sole, il film di Michael Anderson che già nel 1956 si ispirò al libro di George Orwell. Dicono con esiti disastrosi, ma si potrebbe rivederlo …

Di seguito trovate il trailer internazionale di Orwell 1984: