Titolo originale: The Day After Tomorrow , uscita: 26-05-2004. Budget: $125,000,000. Regista: Roland Emmerich.
Riflessione: The Day After Tomorrow e il rifiuto al nichilismo climatico
05/02/2025 news di Gioia Majuna
Nel 2004, Dennis Quaid e Jake Gyllenhaal erano al centro di un disaster movie non troppo assurdo, che inquadrava un problema ancora molto attuale

Nonostante tutto, The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo ha una sua base di fan. Sì, la scienza del film è discutibile. Sì, i personaggi sono piatti come una tavola. Ma alla fine è uno slasher movie in cui l’assassino è Madre Natura, e dobbiamo ammettere che è una trovata piuttosto geniale.
Il problema principale è che, nel corso degli anni, Roland Emmerich ha girato molti altri disaster movie, affinando gli stessi stereotipi in modi spesso più memorabili. Se cercate distruzioni spettacolari di monumenti iconici, Independence Day vince a mani basse. Se volete invece catastrofi meteorologiche assurde, c’è 2012.
The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo, invece, cerca di essere più realistico, il che significa che non può esagerare troppo con la distruzione (anche se resta comunque “realistico” un uragano invernale che congela all’istante chiunque ci finisca dentro…)
Più di molti altri film di Emmerich, The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo vuole mandare un messaggio serio. Ci martella con l’idea che il cambiamento climatico è reale e che dobbiamo agire prima che sia troppo tardi. È un messaggio nobile… che l’Occidente ha comodamente ignorato.
Ovviamente, sarebbe assurdo attribuire l’inerzia politica degli Stati Uniti sul cambiamento climatico a un unico film del 2004. Ma guardando indietro, viene spontaneo chiedersi: The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo ha comunicato bene il suo messaggio? La risposta è più complicata di quanto sembri.
Uno dei problemi principali del film è che è la caricatura delle reali previsioni scientifiche. Se entrate infatti in qualsiasi comunità negazionista del cambiamento climatico, troverete persone che sostengono, con assoluta serietà, che tutte le previsioni sul clima si sono già rivelate sbagliate.
“Non dovevamo essere tutti sott’acqua già da un pezzo??” dicono, citando fuori contesto qualche studio degli anni ‘80 che suggeriva scenari peggiori per il futuro.
In realtà, nessuno scienziato di rilievo ha mai detto che la Terra sarebbe stata completamente sommersa. I negazionisti di solito si riferiscono alla famosa dichiarazione di Al Gore nel 2006, quando disse che avevamo dieci anni per evitare il punto di non ritorno sugli effetti peggiori del cambiamento climatico.
E aveva ragione: nel 2016, senza cambiamenti significativi, la discussione è passata da “possiamo fermarlo?” a “come possiamo gestire la catastrofe imminente?”. Gore non è stato smentito, ma siccome il mondo non è “finito” nel 2016, molti hanno creduto erroneamente di essere stati confermati nelle loro convinzioni scettiche.
E qui entra in gioco The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo. I negazionisti avrebbero negato comunque, ma il film ha reso tutto più facile per loro.
È frustrante vedere uno tsunami sommergere Manhattan e sentire i personaggi dire cose tipo “Se solo avessimo fatto di più per fermare il cambiamento climatico!”. Con un film del genere come riferimento culturale principale sul tema, è quasi comprensibile che molte persone pensino che gli attivisti climatici siano un branco di individui isterici ed esagerati.
Ovviamente, è difficile incolpare un disaster movie per indulgere nei tipici eccessi del genere. Dove il messaggio del film funziona davvero è nel contrasto tra la devastazione climatica e la reazione del Vicepresidente Raymond Becker (Kenneth Welsh).
All’inizio del film, Becker chiede al paleoclimatologo Jack Hall (Dennis Quaid):
“Chi pagherà il prezzo dell’Accordo di Kyoto? Costerebbe centinaia di miliardi di dollari all’economia mondiale!”
La risposta implicita del film è piuttosto efficace: “Sai cos’altro è costoso? Quando metà del pianeta diventa inabitabile da un giorno all’altro.”
Mentre vediamo Los Angeles distrutta da tornado giganti e Tokyo colpita da grandine grande come palline da baseball, le preoccupazioni di Becker sulla stabilità economica diventano sempre più irritanti. Che valore ha l’economia se il mondo sta morendo?
A differenza di molti villain politici nei film catastrofici, Becker ha un vero arco di trasformazione. Quando il Presidente muore nella tempesta, lui prende il comando e ammette di essersi sbagliato. Nel discorso alla nazione, confessa di aver sottovalutato il problema e di aver agito con arroganza, credendo che l’umanità potesse continuare a sfruttare le risorse senza conseguenze.
Ovviamente, questa non è una rappresentazione realistica della politica americana: immaginare un Dick Cheney cinematografico che ammette di aver sbagliato è quasi fantascienza. Tuttavia, funziona come risposta a uno degli argomenti più comuni contro le riforme climatiche: il costo economico dell’azione è niente in confronto al costo dell’inazione.
Quando si tratta dei personaggi adolescenti, The Day After Tomorrow avrebbe potuto scegliere qualsiasi motivo per tenerli a New York durante lo tsunami, ma la sceneggiatura sceglie di renderli studenti modello, in città per un decathlon accademico.
Sam (Jake Gyllenhaal), in particolare, è presentato come un ragazzo brillante e compassionevole, che all’inizio del film viene punito ingiustamente perché il professore non crede che possa aver risolto un’equazione senza barare. Sì, è un modo ridicolo per mostrare che è intelligente (gli bastava mostrare il procedimento del calcolo), ma il punto è chiaro: la nuova generazione è migliore di quella che li ha preceduti.
Nei disaster movie, il modo in cui vengono scritti i personaggi più giovani è spesso una chiave di lettura del messaggio del film. Dopo tutto, i giovani rappresentano il futuro, e saranno loro a guidare il mondo dopo la catastrofe.
A differenza di altri film di Emmerich come 2012 o Moonfall, in cui i bambini sono spesso in pericolo o problematici, qui i ragazzi sono intelligenti, capaci e determinati. Sono esattamente il tipo di persone di cui il mondo avrebbe bisogno per affrontare una crisi climatica.
Questa scelta narrativa rafforza il tono del finale di The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo, suggerendo che l’unica speranza per il pianeta è riposta nella nuova generazione.
Qualcosa di interessante accade nella seconda metà, qualcosa che 2012 fa solo nel suo finale: si trasforma in un feel-good movie – almeno in parte.
La biblioteca in cui Sam (Jake Gyllenhaal) e il suo gruppo trovano rifugio diventa un ambiente sorprendentemente accogliente, anche dopo essere quasi completamente congelata. I sopravvissuti collaborano come una comunità, e persino prima che l’occhio della tempesta colpisca, cresce la sensazione che il peggio sia passato.
Il messaggio implicito è chiaro: se sono arrivati fino a qui, possono superare qualsiasi cosa.
Man mano che la storia procede, il film ribalta la disperazione iniziale.
- Lucy (Sela Ward) pensa di essere intrappolata in ospedale con un paziente oncologico, ma all’ultimo momento un paramedico riesce a salvarla.
- Il film introduce un’apparente crisi al confine Messico-USA, con gli americani che cercano disperatamente di fuggire a sud – una scena che sembra una satira politica imbarazzante. Ma poi scopriamo che il Presidente Becker ha negoziato un accordo epocale con l’America Latina per garantire un passaggio sicuro.
- Quando Jack e i sopravvissuti della biblioteca vengono evacuati in elicottero, vediamo che Sam e il suo gruppo non sono gli unici superstiti: sulle terrazze degli edifici ci sono molti altri sopravvissuti, suggerendo che la situazione non è così disperata come sembrava.
A primo impatto, sembra tutto troppo facile. Sì, Independence Day ha avuto un lieto fine nonostante milioni di morti, ma almeno lì i personaggi hanno potuto combattere gli alieni.
Qui, invece, la tempesta semplicemente finisce. I protagonisti non sconfiggono nulla, se non un branco di lupi per qualche minuto. Quando The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo ci dice che l’aria è più pulita che mai, il finale rischia di sembrare una forzatura hollywoodiana attaccata a una storia altrimenti tragica.
Eppure, il messaggio rimane coerente:
“Non importa quanto il clima peggiorerà nei prossimi anni, non dobbiamo perdere la speranza.”
Chiunque abbia una minima consapevolezza del cambiamento climatico può facilmente cadere in depressione e nichilismo. È lo stesso stato mentale in cui Laura (Emmy Rossum) scivola brevemente quando, febbricitante nel mezzo della tempesta, dice a Sam:
“Tutto ciò per cui ho lavorato, tutto quello che mi è sempre importato, era solo una preparazione per un futuro che non esiste più.”
È una reazione comprensibile: osservando i dati allarmanti, è facile pensare che non ci sia più nulla da fare.
Ma il messaggio finale del film è chiaro e potente:
“Il mondo non finirà. Anche se le cose si fanno catastrofiche, le persone sopravvivranno e dovranno collaborare per affrontare la nuova realtà.”
Insomma, The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo è un film pieno di assurdità, ma la cosa più intelligente che fa è chiudere con una nota di speranza.
La scena finale di The Day After Tomorrow – L’alba del giorno dopo:
© Riproduzione riservata