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Voto: 7/10 Titolo originale: V for Vendetta , uscita: 23-02-2006. Budget: $54,000,000. Regista: James McTeigue.

Riflessione: V per Vendetta di James McTeigue, quando l’adattamento è sovversivo (nelle intenzioni)

03/02/2020 recensione film di William Maga

Nel 2006, i Wachowski portavano nei cinema il film tratto dall’incendiario fumetto di Alan Moore, consacrando il ‘terrorista’ interpretato da Hugo Weaving a simbolo della lotta al ‘Grande Fratello’

v per vendetta film 2005

Sottotesti politici e film tratti dai fumetti non sono certo un connubio all’ordine del giorno a Hollywood. Come hanno scoperto molti registi nel corso degli ultimi 15 anni, trovare un giusto equilibrio tra trasmettere messaggi sociali complessi e mantenere una narrazione avvincente e guidata dall’azione può rivelarsi un’impresa estenuante. I film degli X-Men di Bryan Singer, ad esempio, avevano una propensione a emarginare i temi chiave dell’esclusione sociale e della convivenza tra umani e mutanti in favore di set prevedibilmente grandiosi. Allo stesso modo, Captain America: The Winter Soldier dei Fratelli Russo è stato storpiato nel suo terzo atto, che abbandonava i toni da “noir cospiratorio” anni ’70 fino a quel momento sviluppati per una conclusione ‘esplosiva’ ben poco coerente.

Nel 2006, V per Vendetta (V for Vendetta), diretto da James McTeigue e prodotto dagli allora fratelli Wachowski (che avevano cominciato a lavorarci fin da metà anni ’90), tuttavia, risuonò come qualcosa di per lo più avulso da questa tendenza, presentando agli spettatori un adattamento che, sebbene non letterale, sia stato abbastanza ‘sovversivo’ e tematicamente maturo da sviluppare in effetti un duraturo impatto culturale (molto più della serie a fumetti a cui si ispirava, i cui lettori in giro per il mondo sono senz’altro infinitamente meno della gente che andò al cinema o lo ha visto in seguito in TV). L’unico inconveniente è che, come molti prodotti curati da Lana e Lilly, si crogiola eccessivamente nella sua (presunta) superiorità.

v per vendetta film posterFermo restando che si tratta di un film da 54 milioni di dollari di budget e pertanto inevitabilmente mainstream, ciò che si può ammirare in V per Vendetta è la sua sorprendente audacia. Realizzato nel 2005, quando l’11 settembre era ancora traumaticamente marchiato nella coscienza pubblica generale, è quasi clamoroso che questo adattamento del capolavoro di Alan Moore (così disgustato dalla trasposizione live action da rimuovere il suo nome dai credits) e David Lloyd del 1988, che prende un anarchico bombarolo britannico e lo rende un eroe da emulare, abbia mai avuto il via libera dalla Warner Bros., soprattutto – o forse proprio per questo … – mentre i Wachowski facevano visibili sforzi per aggiornare il materiale di partenza in modo che riflettesse il meglio possibile le insicurezze politiche della ‘Guerra al Terrore’ allora imperanti.

Il film, ambientato a cavallo tra il 2019 e il 2020, che illustra l’apparentemente improba e impossibile lotta del vigilante mascherato “V” (interpretato da Hugo Weaving) nei suoi tentativi di rovesciare il governo totalitario dell’Inghiltterra, è in realtà estremamente efficace nel trasmettere le atmosfere generali dell’incubo distopico presenti nel romanzo grafico di Alan Moore, mettendo al contempo sul piatto un impianto visivo d’impatto.

I Wachowski immergono infatti il pubblico in un mondo di dittatori tirannici, sinistri tirapiedi, intricate reti di propaganda e sorveglianza dagli echi orwelliani in cui è facile perdersi. Questo effetto è esaltato dalla straordinaria fotografia curata da Adrian Biddle, che riesce a ricatturare l’estetica tesa e claustrofobica che aveva lanciato la sua carriera nel 1986 con Aliens – Scontro Finale di James Cameron, e da James McTeigue, che in particolare nella prima metà, carica ogni fotogramma di oscuri presagi.

Il vero punto di forza di V per Vendetta, comunque, risiede più che altro nelle interpretazioni dei tre attori principali. Hugo Weaving (Matrix, Il Signore degli Anelli) è sorprendente nei panni del misterioso V, un individuo complesso che da un lato pensa di poter portare sovvertire il governo fascistioide risvegliando la coscienza della popolazione, ma dall’altro progetta una grande vendetta contro chiunque gli abbia mai fatto del male. Non vediamo mai il suo volto, eppure la sua voce (chiaramente da apprezzare in originale) e il linguaggio del corpo trasudano di un’imponente presenza fisica e intellettuale.

La sua conoscenza di William Shakespeare e Alexandre Dumas è vitale per il suo personaggio torturato almeno quanto la sua abilità con il pugnale. A prima vista, questo dovrebbe essere un compito ingrato per qualsiasi attore, ma l’allora 45enne non solo riesce a creare un antieroe avvincente ed enigmatico, ma anche a modellare ‘dal vero’ un’icona culturale, attraverso la sardonica maschera di Guy Fawkes (l”attivista cattolico che cercò di far saltare in aria il Parlamento britannico nel 1605) che indossa e utilizzata dagli hacker di Anonymous e dai sostenitori dei movimenti di protesta Occupy in tutto il mondo quasi un decennio dopo. In breve, il reazionario V di Hugo Weaving è il vero ritratto dell’anti-autoritarismo.

Un simile investimento nell’ambiguità sembra in contrapposizione al senso morale molto stringente di V, essendo lui una vittima – e quindi un prodotto – della violenza di Stato e istituzionale. La sua rabbia lo rende un “terrorista” e il film sostiene che la sua violenza non faccia altro che replicare ed estendere le tattiche dello stato in cui opera. Eppure, è intrigante e romantico, e ad Evey piace. Questo ciclo tende a essere concepito in termini ideologici e V per Vendetta consente che la tortura riproduca il terrorismo e la violenza, presenta anche lo stesso piano di V come rivoluzionario ed efficacemente simbolico. Dice che farà saltare in aria l’Old Bailey “per ricordare a questo paese ciò che ha dimenticato” ed Evey è incuriosita dalla promessa di V di un nuovo stato, in cui le informazioni siano accessibili e i cittadini non abbiano paura.

Natalie Portman e Hugo Weaving in V per Vendetta (2005)Tuttavia, ogni film richiede un avatar per gli spettatori, un personaggio su cui potersi proiettare, ed è qui che la Evey Hammond di Natalie Portman sale alla ribalta, in quella che potrebbe essere la migliore interpretazione dell’attrice fino alla profondamente inquietante trasformazione da Oscar di Il Cigno Nero di Darren Aronofsky. In V per Vendetta, Evey, a differenza della più sordida controparte del fumetto, inizialmente è tratteggiata come debole e ottusa, un tipico prodotto della ‘cultura della paura’ costruita dal governo, eppure lo sviluppo del suo personaggio appare naturale e appassionante, simbolo della tesi centrale del film: solo superando le nostre paure possiamo essere veramente liberi.

Ma prova davvero straordinaria è quella di Stephen Rea (La moglie del soldato) come ispettore Finch, inquisitori e stanco del mondo in cui vive ormai da troppo tempo. Meditabondo e tacitamente sovversivo, la crisi di fiducia di Finch nel suo governo e l’innata disillusione, mentre cerca anche di catturare V con tutti i mezzi necessari, è inscenata in modo perfetto. Anche la maggior parte del cast di supporto si intreccia alla narrazione senza troppi sforzi e mai apparendo eccessivamente teatrale o forzata. Stephen Fry (Un pesce di nome Wanda) si rivela non solo professionale, ma toccante nelle vesti di un presentatore che lotta per nascondere la sua disposizione liberale e l’omosessualità alla spietata e bigotta amministrazione, mentre Tim Pigott-Smith è adeguatamente ripugnante come Peter Creedy, il braccio destro sociopatico del cancelliere Sutler (John Hurt).

Come anticipato, il problema più grosso del film è lo stesso di altre opere dei Wachowski: a volte diventa così autoreferenziale da perdere di vista il ritmo e il tono che avevano caratterizzato la prima metà. Se è pur vero che non esiste qui un equivalente della paralizzante “scena dell’Architetto” di Matrix Reloaded, la seconda parte di V per Vendetta presenta seri problemi di passo, causata in gran parte da una sequenza carceraria troppo indulgente.

Se il lento accumulo del primo atto aggiunge la necessaria profondità e gravitas emotiva al protagonista, il secondo dispiega momenti ripetitivi e dialoghi filosofici che, a livello di trama, non aggiungono quasi nulla. Per molti aspetti, la sceneggiatura dei Wachowski è così densa in alcuni punti da costringere il montaggio di Martin Walsh (Chicago) a non essere così preciso e controllato come avveniva solitamente in molti dei suoi precedenti film.

v per vendetta filmSebbene la sceneggiatura dei Wachowski sia encomiabile per le sue intuizioni politiche taglienti, il loro desiderio di rendere il controverso materiale originario in un prodotto maggiormente “Hollywood friendly“, con una netta disparità tra protagonisti e antagonisti, fa sì che V per Vendetta perda molto in termini di ambiguità morale e della complessità che avevano reso l’opera di Alan Moore così importante e attuale. V, per esempio, è considerevolmente edulcorato rispetto al personaggio molto più instabile del fumetto.

Questa prevedibile razionalizzazione all’Americana si riflette anche in altri piccoli ma significativi cambiamenti, come il modifica del nome del dispotico cancelliere da Adam Susan a Adam Sutler, emblematico di come i Wachowski abbiano rinunciato all’approccio più sottile usato per trasmettere i canoni di una dittatura fascista da Alan Moore. Per non parlare del propagandista incarnata da Roger Allam, Lewis Prothero aka ‘La Voce di Londra’, che sembra avere tutte le qualità che uno spettatore potrebbe associare a uno degli anchormen di Fox News.

Purtroppo, dove la serie a fumetti era allusiva e cupa, il film è per lo più didascalico. La sua indagine sul “terrorismo” come prodotto dell stato, come parte di un processo piuttosto che di una partenza, è sicuramente ben fondata, eppure la messa in scena è deludente, sia quando è letterale (“Se stai cercando il colpevole”, afferma V, “Devi solo guardarti allo specchio”) oppure ripetitiva (una scena che mostra l’abuso del giovane V viene mostrata più volte). Una tale mancanza di fiducia nei confronti del pubblico fa sembrare allora il commento politico e sociale di V per Vendetta più fumettistico che acuto.

È chiaro che l’imperialismo e i nazisti (citati quasi apertamente dalle scenografie) siano i ‘cattivi’. Onestamente, V non ha risposte, e questo ha senso. “La libertà e la giustizia sono più che parole“, dice, “sono prospettive“. E come tali, hanno bisogno di essere ripensate ad ogni passo.

Tuttavia, nonostante tutte le innegabili sue imperfezioni, V per Vendetta si erge ammirevolmente come uno dei cinecomic più riusciti, che prova ad attenersi il più possibile alla visione anarchica di Alan Moore, bilanciandola con azione e personaggi adeguatamente cinematografici.

Di seguito la clip della scena finale di V per Vendetta: