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Voto: 5/10 Titolo originale: The Great Wall , uscita: 16-12-2016. Budget: $150,000,000. Regista: Zhang Yimou.

The Great Wall: la recensione del film fantasy di Zhang Yimou con Matt Damon

20/04/2020 recensione film di Alessandro Gamma

L'attore americano è il protagonista di un colossal fantasy cinese in cui il criticato whitewashing è l'ultimo dei problemi

great wall

In principio, c’era quell’inspiegabile mezz’ora culminante in Transformers 4 – L’era dell’estinzione, in cui l’intero cast veniva esportato a Pechino. Ora c’è Matt Damon che combatte mistiche forze nella Cina medievale. L’imbarazzante matrimonio riparatore tra Hollywood e la Cina prosegue infatti con The Great Wall, un blockbuster goffo e zeppo di effetti speciali in cui il protagonista, che prova a dispensare parcamente – e con pessimi risultati – qualche sprazzo di umorismo, unisce le forze con il grande regista cinese Zhang Yimou (Lanterne Rosse, Lettere da uno sconosciuto) per un progetto che non rende giustizia ad alcuno dei rispettivi talenti. C’è ben poco bisogno di buone interpretazioni o di capacità di direzione quando ogni scena è perfettamente stata calcolata per servire lo scopo.

great wall locandinaSotto accusa nei mesi passati in Occidente per il voler mostrare un guerriero di razza caucasica al centro di un cast quasi interamente asiatico, le violazioni razziali del film non sono tuttavia così eclatanti come alcuni dei primi critici avevano sostenuto. Piuttosto, la blanda storia trova Matt Damon – che comunque ne esce ampiamente come l’eroe assoluto – e gli altri due attori bianchi (Pedro PascalWillem Dafoe) circondati da centinaia di colleghi con gli occhi a mandorla in un’avventura approvata al 100% dalla Cina (dove ha raccolto incassi molto buoni, anche se non esagerati). Opera brutta secondo gli standard di qualsiasi cultura, The Great Wall dimostra soprattutto che se il futuro del business è nelle alleanze Hollywood-Repubblica Popolare, c’è ben poco da stare sereni per entrambi gli schieramenti.

Abbiamo già detto che ci sono mostri? Enormi, verdi, lucertole/aliene in CGI dotate di zanne e artigli affilatissimi che scorrazzano a perdita d’occhio per le vallate. Si chiamano Taotie, hanno un aspetto piuttosto ridicolo e il loro background non le aiuta: si sarebbero schiantate sulla Terra con una meteora molti secoli fa, poi accidentalmente liberate da un antico imperatore mentre venivano effettuati degli scavi per cercare dei minerali preziosi. Queste creature emergono dal sottosuolo ogni 60 anni, per ricordare ai cinesi i pericoli dell’avidità e stanno arrivando anche dalle nostre parti per ragioni analoghe.

Nei suoi sforzi per respingere l’avanzata dei Taotie, la setta dei Senza Nome converte i due sospetti avventurieri bianchi – giustamente imprigionati sulla fiducia – in alleati. “Non ho firmato per questo,” brontola Tovar (Pascal). “Quale parte?” Chiede William (Damon). “Tutto questo”, Tovar risponde “, ma per lo più per i mostri”. Il pubblico si ritroverà in questa dichiarazione.

Fuori da questo flebile momento di leggerezza, la sceneggiatura (scritta da Carlo Bernard, Doug Miro e Tony Gilroy) arranca passando da un set all’altro. The Great Wall può contare su personaggi cinesi solidi e, nonostante la schiacciante assurdità della confezione, le performance sono nel complesso credibili. I Senza Nome seguono gli ordini del severo generale Shao (Zhang Hanyu) e del suo devoto stratega Wang (il fedelissimo di Zhang Yimou Andy Lau), ma le vittorie nei primi scontri devono molto alle sorprendenti acrobazie circensi del comandante Lin (Jing Tian). Colpita dal primo corpo a corpo di William contro i Taotie, si avvicina a lui grazie a un reciproco interesse per il campo di battaglia. Qualsiasi storia d’amore interculturale che vada solo oltre una vaga tensione, tuttavia, è ovviamente impensabile.

The Great Wall Yimou TaotieIl film presenta alcune attraenti distrazioni nei modi creativi in cui le truppe cinesi lottano contro le feroci bestie, tra cui il Corpo delle Gru – una guarnigione di guerrieri donna di blu vestiti che fanno bungee jumping dalle mura con lunghe picche saldamente strette nelle mani – oppure nelle gigantesche mongolfiere, mutuate dalle lanterne di carta. Tuttavia, gran parte dell’azione che si dispiega lungo la muraglia ricorda una qualsiasi sequenza presa a caso dalla trilogia de Il Signore degli Anelli o da un episodio di Il Trono di Spade. Eppure è presente anche un po’ di suspense, ad esempio nel segmento prolungato che vede William tentare di catturare una creatura nella nebbia fitta, così che i cinesi possano studiarne le eventuali debolezze, ma è girata in un modo così semplicistico che è come se ognuno avesse perso interesse nella sfida a metà dell’opera.

La cosa più strana di The Great Wall è quanto talento riesca a sprecare. Matt Damon avrebbe posto il veto su questo concept nel suo documentario Project Greenlight. In cosa pensava di cacciarsi Willem Dafoe quando ha firmato per il ruolo del ladro maldestro che vaga spaesato per la fortezza cinese, ansioso di mettere le mani sulla preziosa ‘polvere nera’? E se Zhang Yimou di solito ha uno stretto controllo delle sue storie, questa sfugge alla sua presa. A differenza del suo ambizioso La Foresta dei Pugnali Volanti, che mescolava con eleganza il genere Wuxia con una storia d’amore, The Great Wall si affida solo alla CGI. Le occasionali riprese in slow-motion di una lama scagliata contro il suo bersaglio o il lancio di una granata al momento giusto si salvano solo perché distraggono dalla schiacciante mediocrità generale. A volte, The Great Wall non si spreca nemmeno di assomigliare a un film compiuto e si limita piuttosto a mettere insieme una serie di effetti fortemente elaborati e conversazioni affrettate … che pongono le basi per ulteriori effetti.

great wallAbbiamo ormai una certa familiarità con quei titoli che sono meri prodotti commerciali impenitenti, ma almeno l’ultimo capitolo dei Transformers aveva trovato maggiori opportunità per mostrare la propria auto-consapevolezza. Potrebbe essere possibile apprezzare la premessa di The Great Wall – creature giganti provenienti dal ventre della terra per ricordarci del potere distruttivo dell’avidità – come un’allegoria a portata di mano per l’ascesa di Donald Trump (tanto ormai lo si fa con praticamente qualsiasi cosa no?), ma in ultima analisi, il lungometraggio è troppo sciocco per giustificare una qualsiasi lettura più attenta.

Tuttavia, tale stupidità non appartiene all’ignoranza culturale, che ne ha ammantato la reputazione nei mesi che hanno portato alla sua uscita. Mentre gli americani hanno aggredito il film per la preminenza del proprio eroe bianco, i cinesi lo vedono più come un esempio di inclusività. In effetti, la storia non trasforma un eroe asiatico in uno caucasico; si tratta più di uno Yankee del Connecticut all’antica corte cinese. A differenza di L’Ultimo Samurai, Matt Damon non è trattato però come un individuo superiore a tutti quelli intorno a lui, anche se è piuttosto bravo a maneggiare l’arco (leggasi ‘fenomeno’) e senza di lui difficilmente il film avrebbe il finale che vediamo sullo schermo.

Quindi supponiamo per un minuto che il clamore circa il supposto whitewashing in The Great Wall sia meno un esempio di razzismo istituzionale che uno scavalcamento ideologico in una cultura sensibile ai propri ideali progressisti. In poche parole, questo significa che Matt Damon è l’ultimo dei problemi. Il film è un’offesa alle pari opportunità, il prodotto di un’alleanza commerciale discutibile, che potrebbe beneficiare dall’affrontare egli stesso una verde lezione aliena sull’avidità.

Di seguito il trailer italiano ufficiale di The Great Wall: