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Voto: 5.5/10 Titolo originale: La tour de glace , uscita: 17-09-2025. Regista: Lucile Hadžihalilovi?.

The Ice Tower: la recensione della fiaba freudiana con Marion Cotillard

22/10/2025 recensione film di William Maga

Straordinaria nella forma, carente nella febbre: un incantesimo visivo che ammalia ma non scalda

the ice tower film cotillard

Il primo tocco è quello della neve: scricchiola, risuona, occupa l’orecchio prima ancora dell’occhio. The Ice Tower (La Tour de glace) apre su un mondo montano anni Settanta in cui Jeanne (Clara Pacini), adolescente da orfanotrofio, scappa nella notte con un cappotto rosso che buca il bianco. L’attrazione è duplice: la pista di ghiaccio dove osserva una pattinatrice come fosse un presagio, e un edificio-labirinto che all’alba si rivela set cinematografico. Qui si sta girando proprio la fiaba che lei ama raccontare ai più piccoli, “La regina delle nevi”. Jeanne trova un nascondiglio fra scenografie e costumi, poi un posto come comparsa, quindi una calamita umana: Cristina (Marion Cotillard), diva magnetica e inafferrabile, che la “vede”, la accoglie, la plasma.

Lucile Hadžihalilović traduce la fiaba in un dispositivo di sguardi. Jeanne guarda Cristina interpretare la Regina; Cristina guarda Jeanne diventare un riflesso utile, uno sdoppiamento docile. Realtà e finzione si incastrano: lo studio diventa regno, la scenografia una trappola mentale, il modellino della torre un passaggio segreto verso il sogno. Il cinema, come la neve, ricopre e disegna: sottrae calore, aggiunge luce. Il film vive di questa porosità: corridoi che si aprono su set dipinti, una luce lattiginosa che appiattisce i confini, il brusio tecnico che si fa canto ipnotico. Ogni inquadratura è composta al millimetro: costumi preziosi, superfici ghiacciate, velluti e cristalli che rifrangono i desideri della protagonista. La regia privilegia il tempo del sospendere: movimenti lenti, attese, camminate nella polvere di neve, il respiro che appanna e cancella.

Il racconto, però, non è solo incanto. Nella relazione Jeanne-Cristina si addensa un conflitto di potere. La diva alterna protezione e dominio, fascinazione e rifiuto, come una regina che bacia e congela. Jeanne, “Cappuccetto rosso” fuori stagione, attraversa un bosco di predatori: uomini-lupo incontrati sulla strada, un medico devoto alla star che interviene dietro le quinte, ma soprattutto le regole non scritte del set, dove il corpo è materia da dirigere, correggere, sostituire.

Il film suggerisce un apprendistato alla vita e all’arte: dall’angolo buio in cui dorme, Jeanne sale di ruolo, entra nei costumi, ricalca i gesti, fino a sfiorare la sostituzione dell’altra attrice. È l’ombra che chiede di farsi figura. Ma ogni promozione ha un prezzo: il desiderio si confonde con l’adorazione, la vocazione con la sottomissione.

Sul piano formale, The Ice Tower raggiunge vertici rarefatti. La fotografia scolpisce il freddo e lo rende tattile; il sonoro – scricchiolii, sibili, colpi di pattino – costruisce un paesaggio mentale; i costumi trasformano i corpi in icone. Marion Cotillard lavora su microgesti e pause: un sopracciglio che scivola in ironia, la bocca che concede e nega, una postura regale che tradisce l’ansia di controllo. Clara Pacini sorprende per misura: non sovra-esprime, trattiene, lascia che il vuoto parli. L’una e l’altra obbligano lo spettatore a “leggere” volti quasi marmorei, come se la psiche fosse intrappolata in un lago ghiacciato.

Proprio qui si apre, però, la crepa decisiva. La stessa eleganza che strega rischia di anestetizzare. L’andamento è volutamente glaciale, ma la dilatazione del tempo non sempre produce densità; alcune sequenze insistono sullo stupore senza evolverlo, i silenzi diventano sospensione fine a sé stessa. Il simbolismo è chiaro – formazione, sdoppiamento, sacrificio, potere dello sguardo, passaggio dall’infanzia a un’età in cui il desiderio si misura con il dominio – ma il film spegne le zone di calore emotivo, quasi temesse di “sporcarsi” con la carne viva del conflitto. Ne deriva una parabola che sembra chiedere di essere sentita più che capita, e che tuttavia concede poco al sentire: lo sfarzo plastico sovrasta la pulsazione.

L’ambientazione anni Settanta aggiunge un filtro che funziona come allegoria: niente telefoni, niente vie di fuga rapide; il set diventa cittadella chiusa, con gerarchie ferree e rituali opachi. Il cinema nel cinema è specchio e miraggio: inghiotte chi guarda, consuma chi è guardato. In questo ecosistema, il cammino di Jeanne resta ipnotico ma parziale: la metamorfosi appare più enunciata che attraversata; manca un vero contraccolpo che incrini la corazza del film. Anche i temi della cura e dell’abuso – presenti nelle visite “mediche” alla star e nel continuo raddrizzare i corpi a misura di inquadratura – emergono come segnali freddi, mai davvero incandescenti.

Eppure, sarebbe ingeneroso ridurre The Ice Tower a un esercizio di stile. C’è un’idea coerente: la fiaba come macchina del desiderio e del controllo; il set come torre di ghiaccio dove identità e ruoli si congelano in maschere splendide e crudeli; l’adolescenza come pattinata su una superficie lucente che può cedere da un momento all’altro. L’ultima parte, quando il gioco di rimpiazzi e abbagli si stringe, lascia lampi di vero turbamento. Ma non basta a sciogliere la sensazione di un cuore tenuto, per scelta, a distanza.

In sintesi, The Ice Tower è un’esperienza sensoriale di rara finezza: ogni fotogramma merita uno sguardo lungo, ogni suono è pensato per depositarsi sotto pelle. Come reinvenzione contemporanea della “Regina delle nevi” è colta, consapevole, affilata nella lettura del potere delle immagini e del magnetismo che lega chi guarda e chi si offre allo sguardo. Manca però la fenditura emotiva che faccia scorrere sangue caldo sotto il ghiaccio. Si esce affascinati, a tratti rapiti, ma con le mani vuote: ciò che abbiamo toccato era bellissimo… e scivolava via.

Il trailer internazionale di The Ice Tower:

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