Al grito de Mexico! – Güeros di Alonso Ruizpalacios
17/04/2016 news di Andrea Amoretti e Jimena Barranco
Oggi andiamo alla scoperta del film vincitore dell'Orso d'Oro come Miglior Opera Prima al Festival di Berlino del 2014
In un’epoca d’oro per il cinema messicano, dove però Iñarritu e Cuaron vincono gli Oscar parlando di stazioni spaziali, di lotte con orsi o di vecchie glorie di Hollywood, Alonso Ruizpalacios con talento e una buona dose di mestiere prende le proprie radici e le espone, anche con molto coraggio, parlando del Messico più semplice e vero, urbano, degli universitari, delle persone comuni. E lo fa creando una vera e propria odissea al limite della metafisica ambientata nella sua città di nascita – Città del Messico, i cui protagonisti sono due fratelli, il più giovane (Sebastián Aguirre, all’ultimo Festival di Venezia con Un monstruo de mil cabezas) con la pelle chiara (detto in dialetto, appunto, “Guero”) e uno con la pelle più scura (Tenoch Huerta, comparso nel recente Spectre), che per varie vicissitudini si ritrovano a vivere di nuovo assieme a casa del più grande, e insieme a un amico e a una ex-fidanzata vanno alla ricerca di Epigmenio Cruz (Alfonso Charpener), cantante che si dice fece piangere dall’emozione Bob Dylan. In mano hanno solo una sua cassetta, che era la stessa che ascoltavano da piccoli con il padre scomparso.
Güeros, girato interamente in bianco e nero e accompagnato da una splendida colonna sonora dove spicca Azul cantata da Natalie Lafourcade, rappresenta molto bene il cinema messicano al suo livello più intimo e genuino, dove i sogni dei ragazzi delle classi meno benestanti appaiono come bolle di sapone che si disfano crudelmente, che poi è sempre un cinema nostalgico e paradossale.
Ambientato nel Messico degli anni ’90, definito socialmente da classi sociali molto marcate, attraverso alcune magnifiche scene girate con uno stile che rende omaggio alla Nouvelle Vague francese e al Neorealismo italiano, vengono descritti molto bene i sogni e i desideri dei ragazzi protagonisti, quasi fatalmente ingabbiati all’interno di un microcosmo caratterizzato da piccole e continue battaglie per la sopravvivenza, e dagli effetti tossici di questa alienazione sulla psiche dei personaggi più fragili. La storia scorre fluidamente grazie a un ottimo ritmo, alla solidità dello script e alla perfetta esecuzione, un’ottimo risultato per essere il primo lungometraggio di Ruizpalacios.
Il regista è bravo a descrivere senza tanti filtri uno spaccato della vita dei personaggi, tra periferie silenziose e cementificate, infinite strade, edifici come alveari, a volte perfino sconfinando in ghetti infestati da una criminalità senza volto, giovanissima e naif, e poi soprattutto all’interno dell’università, la gigantesca UNAM, nel suo momento più turbolento, quando nel 1999 una tenace occupazione studentesca la rese per lunghi mesi un vero e proprio fortino gestito dagli studenti.
La bellezza di questo film – vincitore dell’Orso d’Oro come Miglior Opera Prima nella sezione Panorama al Festival di Berlino 2014 – sta nella sua leggerezza e nel significato metaforico che il regista, attraverso inquadrature costruite alla perfezione e allo sviluppo dei personaggi, riesce a trasmettere allo spettatore, creando per tutta la durata della storia un fantastico contrasto tra la vita dei personaggi e i fatti reali dell’epoca, e dischiudendo poco a poco il vero, genuino significato della loro avventura.
https://www.youtube.com/watch?v=MiJWW-XJnas
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