Dossier: esplorando l’affascinante fase dark della Disney degli anni ‘70 e ‘80 (parte II)
22/03/2017 news di Redazione Il Cineocchio
Si conclude il nostro viaggio indietro nel tempo alla riscoperta di un periodo unico e probabilmente irripetibile
La prima parte del dossier, da recuperare prima di proseguire nella lettura.
Qualcosa di Sinistro
Probabilmente il live-action di maggior successo dell’epoca, almeno in termini creativi, uscì nelle sale nel 1983. Si tratta di Qualcosa di Sinistro sta per accadere (la recensione), basato sul romanzo di Ray Bradbury intitolato in italiano Il popolo dell’autunno. Parla di un misterioso luna park itinerante che si stabilisce in una sonnolenta cittadina dell’Illinois ed è stato diretto con eleganza da Jack Clayton, che nel 1961 aveva realizzato un altro film soprannaturale ugualmente efficace, Suspense. Jonathan Pryce venne scelto per interpretare Mr. Dark, sinistro proprietario del baraccone, e mentre quest’opera è stata soggetta – come già accaduto per Gli occhi del parco (The Watcher In The Woods) – a una certa quantità di revisioni durante la sua produzione, Qualcosa di Sinistro è senza dubbio uno dei migliori adattamenti dei lavori di Bradbury fatti fino ad ora – come sottolineato nel tempo anche da diversi critici -, capace di coglierne lo spirito più orrorifico e inquietante.
Qualcosa di Sinistro sta per accadere fu purtroppo un disastro in termini finanziari e mentre la metà degli anni ’80 si avvicinava, la Disney dovette difendersi da numerosi tentativi di acquisizione da parte di compagnie concorrenti. Nel consiglio di amministrazione vi erano ancora disaccordi su che tipo di film dovessero essere prodotti e come questi ultimi avrebbero dovuto essere commercializzati.
Il già citato libro Disney War suggerì che la ragione per cui così tanti dei prodotti studio furono dei flop fu che E. Cardon Walker rifiutava di spendere soldi per pubblicizzarli. L’autore James B. Stewart rileva infatti che, nel 1982, pellicole rivali come Annie ed E.T. l’extra-terrestre potevano contare su campagne marketing da 10 milioni di dollari, mentre Walker spese invece solo una mera frazione di tale importo.
In ogni caso, Ron Miller trovò almeno un modo per produrre film per adulti alla Disney. Sotto la sua egida venne creata la Touchstone Pictures, una divisione separata che poteva distribuire pellicole dai toni più maturi senza per questo offuscare il marchio della società madre. Il primo film della scuderia Touchstone fu Splash – Una sirena a Manhattan, una commedia a basso budget che vedeva protagonista una sirena (Daryl Hannah), che, nonostante i tentativi di Walker di tagliare alcune delle sue scene più azzardate, diventò un successo inaspettato (quasi 70 milioni di dollari di incasso a fronte di un budget di 8 milioni).
Miller sembrava aver dunque ragione sulle tipologie di pellicole che la Disney avrebbe dovuto realizzare, ma non ebbe tanto tempo per crogiolarsi nel suo successo. La sua guida venne infatti gradualmente erosa dalle lotte intestine e da acquisizioni ostili e così venne rimosso dal ruolo di amministratore delegato nel 1984 e sostituito da un nuovo gruppo di dirigenti, tra cui Michael Eisner e Jeffrey Katzenberg.
Goodbye Yellow Brick Road
Le ultime tracce di quel periodo dark restarono aggrappate alla Disney fino alla metà degli anni ’80, quando due progetti da molto tempo in lavorazione videro finalmente la luce sul grande schermo. Taron e la pentola magica (la recensione), avventura fantasy basata su una serie di storie di Lloyd Alexander (i primi due libri della serie Le cronache di Prydain) che era in produzione sin dalla fine degli anni ’70 e che entrò in una spirale di ritardi, con registi e animatori che continuavano a cambiare, così che quando la pellicola venne finalmente completata nel 1984, il suo budget era intanto lievitato fino alla stratosferica cifra di 44 milioni di dollari.
Per il team di animatori di Taron però, il punto più basso del progetto si raggiunse quando Katzenberg si sedette a guardare il film finito. Il neo presidente Disney non era affatto preparato per un’opera dai toni dark fantasy a tratti molto inquietante. In una nota sequenza, si vede un esercito di ghoul prednere vita grazie al calderone; in un’altra, un gruppo di guardie viene scuoiato. Katzenberg, seduto al buio, confuso dalla storia e sconvolto dalla violenza, dichiarò senza mezzi termini che il film doveva essere tagliato.
Quando un produttore cercò di spiegargli che non si potevano tagliare di punto in bianco ore di filmati faticosamente disegnati a mano da un’opera di animazione, Katzenberg andò alla sala di montaggio e iniziò a rimontare Taron di persona. Venne alla fine persuaso a smettere, ma il montaggio che Katzenberg fece rimase: circa 12 minuti sono stati infatti tagliati da Taron e la pentola magica, e alcune di queste scene sono andate perse per sempre. Anche nella sua forma ‘addolcita’ comunque, l’opera risulta insolitamente intensa per gli standard Disney. Imperfetta di sicuro, ma di nuovo, i rischi creativi presi sono ciò che ha reso così affascinante la lunga storia dello studio. Il cattivo del film, Re Cornelius, può aver dato incubi agli spettatori più piccoli, ma avvolto nella nebbia e nell’ombra, è una creazione temibilmente affascinante. Il pubblico non riuscì nemmeno questa volta a cogliere il tentativo della Disney di girare cartoon più cupi e Taron divenne così un’altra delusione commerciale, tanto che al box-office degli Stati Uniti non riuscì a guadagnare neanche la metà del suo enorme investimento iniziale.
Allo stesso modo di Il Fantastico Mondo di Oz (la recensione), sequel inaspettatamente fosco di Il Mago di Oz diretto da Walter Murch. Progetto iniziato sotto il precedente regime della Disney, questa avventura dimostrava ancora una volta un’audace creatività, che tuttavia non riuscì a pareggiare il soldi investiti.
Anche in questo caso però, come avvenuto per molti dei film citati in precedenza, Il Fantastico Mondo di Oz è diventato in seguito un vero cult; con il senno di poi, gli elementi che i critici al tempo avevano tacciato di essere troppo eccessivi per un pubblico di bambini, il suo tono cupo, i set surreali e spesso spaventosi e il character design dei protagonisti (su tutti i Ruotanti e la Principessa Mombi) sono ciò che lo differenziano da altri esponenti del genere, rendendolo unico e ineguagliato.
Oggi è davvero difficile credere che c’è stato un tempo in cui la Disney si è trovata in serio pericolo, rischiando che qualcuno la acquisisse. Un rapido sguardo ai film che hanno incassato di più nel 2016 è sufficiente per mostrare quanto potente l’azienda sia diventata nel corso degli ultimi decenni: quattro delle cinque pellicole che hanno dominato i botteghini mondiali sono state distribuite da Disney, ovvero Rogue One – A Star Wars Story, Captain America: Civil War, Zootropolis e Alla ricerca di Dory.
Il lungo viaggio della Disney per tornare di nuovo alla ribalta iniziò sul finire degli anni ’80, grazie a titoli come l’avventura live-action Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi (Honey, I Shrunk the Kids) e il classico d’animazione La Sirenetta (The Little Mermaid), che raccolsero, a fronte di un budget di circa 20 milioni il primo e di 40 milioni il secondo, oltre 200 milioni ciascuno.
Se la fiducia della Disney continuò a crescere nel decennio successivo, con successi come la La Bella e la Bestia e Aladdin, è innegabile che ci sia ancora oggi qualcosa di magnetico e bizzarro nella fase dark che i suoi film attraversarono per qualche anno dal 1979. Pensate a The Black Hole – Il buco nero, Qualcosa di sinistro sta per accadere e Taron e la pentola magica come a splendidi diamanti grezzi, un affascinante sottoprodotto di un’azienda che si interrogava sulla propria eredità, e, se non altro, opere ben lungi dall’essere noiose o simili a qualcos’altro.
D’altra parte, come Ron Miller spiegò alla fine degli anni ’70: “L’ultima cosa che voglio fare è tornare alla formula della Disney Pictures. Voglio che dicano: ‘Hey, guarda, la Disney non è poi così prevedibile …’ ”.
Fine
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