Voto: 6/10 Titolo originale: 6 Underground , uscita: 10-12-2019. Budget: $150,000,000. Regista: Michael Bay.
6 Underground | La recensione del film di Michael Bay con Ryan Reynolds (per Netflix)
15/12/2019 recensione film 6 Underground di Francesco Chello
Il regista 'sfida' i suoi hater con un action pieno di adrenalina, violenza, colori sgargianti e dialoghi volutamente scanzonati, che diverte e appaga visivamente
Dal 13 dicembre, la library di Netflix si è arricchita di una nuova (grande) produzione originale: parliamo di 6 Underground, l’ultima fatica di Michael Bay. A soli quindici giorni dal grande evento The Irishman (la recensione), il colosso streaming aggiunge un’altra tacca alla sua ambiziosa espansione. Un’ambizione non solo economica, ma anche contenutistica. Netflix punta in grande, punta ai nomi, gli scenari continuano ad aprirsi. Con Martin Scorsese aveva sdoganato il prodotto autoriale del grande cinema gangsteristico, con Bay è la volta del blockbuster d’azione. Due registi – NB è un parallelo, non un paragone tra i due, che tra l’altro non avrebbe ragione di esistere per tipo di genere / carriera / background – le cui produzioni sono sempre state destinate alla grande platea cinematografica, due ulteriori conquiste per Netflix a dimostrazione (ed ulteriore conferma) del processo di mutazione delle abitudini dei fruitori e del cinema stesso.
Michael Bay, quindi, approda su Netflix e lo fa col suo stile, non delude, ma anzi porta tutto il suo Bayhem anche su questa piattaforma. Un aspetto che mi offre il gancio per spendere due parole sul filmmaker, prima di approfondire 6 Underground. In realtà, non su Michael Bay in sé, che dopo 25 anni di carriera non credo abbia bisogno di presentazioni, bensì sul conflitto inspiegabile ed esasperante che da anni si scatena attorno al suo nome. Insomma, fatemi sfogare un attimo su questa cosa. Michael Bay è divisivo. E non mi riferisco alla parte più ovvia di questo concetto, ovvero che (come tutto/i) può non piacere, così come il suo stile e/o i suoi film.
Per cui, [*disclaimer salva lettori*] se semplicemente non incontra (legittimamente) i vostri gusti, non sentitevi coinvolti da questa contestazione. Molto spesso i suoi detrattori trascendono il confine dell’essere hater. E Michael Bay, di ‘odiatori’ ne ha tanti. Cinefili che snobbano e sminuiscono il suo cinema, lo definiscono un regista che non sa girare, e che fondamentalmente lo considerano alla stregua di un ‘Male da combattere’. Gente che continua a vedere i suoi film per il semplice gusto di demolirli. Che francamente non capisco cosa spinga chi lo detesta a continuare a vedere i suoi film, non ha senso vederli per il gusto effimero di ribadire concetti che verrebbero espressi anche senza averli visti. E, sia chiaro, non sto dicendo che non accetto chi lo critica (sarei un fanboy e le estremizzazioni sono sempre un male, a prescindere dallo schieramento), ma che accetto la critica da chi aveva messo in conto almeno un cinquanta per cento di possibilità di poterlo apprezzare.
Ora, dopo una premessa del genere penso sia palese da che parte io stia andando a schierarmi. Sto con Michael Bay e, se volete, posso far esplodere qualcosa per dimostrarvelo! E se proprio me lo chiedete, certe critiche le trovo assurde. Che, ripeto, è diverso dal non gradire il suo stile. Un regista che trovo sia tra i migliori nel suo genere, maniacale perfezionista, tecnica invidiabile di cui ha estrema padronanza, con un senso della spettacolarizzazione sopra la media. Michael Bay non sa girare? Certo, come no.
6 Underground non sfugge a questa regola. E dividerà, come da tradizione. In appena 24 ore è già partita la faida. Con gente che online arriva a contestarlo per dimensione politica, consistenza narrativa, plausibilità topografica e verosimiglianza dell’azione. E gli specchietti della Giulia che non sono al loro posto. Io stesso sono consapevole che con questa recensione perderò degli amici, un dazio accettabile in nome del Bayhem. 6 Underground, dicevo, conferma che Michael Bay ha un’idea di cinema ben definita, un’idea a cui continua ad approcciarsi con fedeltà e coerenza, ma anche innovazione. E che stavolta affronta con una forte dose di (auto)ironia, sia su se stesso che su quel cinema d’azione a cui ha dato e da cui ha ricevuto, oltre che sul pregiudizio che parte di pubblico e critica puntualmente gli riserva, che non solo si lascia scivolare addosso ma di cui pare voglia farsene anche beffa.
A cominciare dalle notifiche inviate da Netflix ai propri utenti in cui il protagonista Ryan Reynolds invitava alla visione parlando di Michael Bay ed esplosioni a non finire. Passando per l’avviso in sovraimpressione a inizio visione che ricorda che gli effetti stroboscopici potrebbero procurare fastidio agli spettatori fotosensibili. Le citazioni cinematografiche che includono Il Senso Senso, Il Carissimo Billy, Coco o Butch Cassidy.
E ancora, riferimenti con intenti parodistici come il Martini agitato non mescolato, il tizio che prende ripetutamente a pugni l’ostaggio per fargli perdere i sensi (cosa che nell’immaginario cinematografico di solito avviene al primo colpo), i nano magneti ed altri aggeggi futuristici tra James Bond e Mission: Impossible. Le frecciatine ai millenial (‘del cazzo’, testuale) così come alla loro tendenza a scaricare film (perlopiù illegalmente) sullo smartphone, toccando con un solo colpo pirateria e nuove tendenze di consumo.
Per il suo esordio su Netflix, Michael Bay sceglie uno script relativamente semplice, sicuramente narrativamente meno profondo di quanto fossero i suoi ultimi progetti infra Transfomers (vedi Pain & Gain e 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi), che possa veicolare sullo schermo un corposo condensato della sua cifra stilistica. Per dare credito alle mie affermazioni, più che argomentare vi inviterei direttamente a dare un’occhiata al prologo di 6 Underground. Roba da matti, un’intro letteralmente esplosiva, 20 minuti semplicemente pazzeschi.
In sostanza, il regista ci fa salire a bordo di un Alfa Romeo (tra i brand pubblicitari inseriti – e segnalati – come Lavazza o Red Bull) verde fluo e ci porta nel bel mezzo di un lungo inseguimento itinerante (con annessi incidenti e sparatorie) che ha dell’incredibile, devastando le vie di Firenze e arrivando persino dentro gli Uffizi. Un concentrato di adrenalina, motori, incidenti mirabolanti, sangue e gente che muore male.
Un biglietto da visita di un film che proseguirà su questa falsa riga, salvo momenti di raccordo basici ma necessari a delineare personaggi e situazione e piazzare quasi insospettabilmente anche sprazzi di contenuto magari retorico ma meno frivolo di quanto voglia lasciar credere. Ma la forza e il focus di 6 Underground si riscontrano chiaramente nell’azione, nella concezione tanto ‘matta’ quanto sagace del suo regista, che programma tutto a puntino. Un mettere insieme decine di dettagli per una visione d’insieme che cerca volutamente di lasciare a bocca aperta. Senso estetico, del tempo, dello spazio, del ritmo. Michael Bay gira le sue scene clou da ogni inquadratura possibile, utilizzando qualsiasi mezzo la tecnologia gli mette a disposizione, arrivando a droni, camera a mano, camera car e goPro, con lo scopo di portare lo spettatore all’interno dell’azione di 6 Underground.
Scandisce il ritmo a suo piacimento, improvvise accelerazioni alternate a ralenti strategici che si soffermano sui minimi particolari. Inseguimenti e incidenti in grosse quantità, auto che si inseguono a velocità sostenute, collisioni spettacolari, lamiere e vetri che volano e riempiono lo schermo. Sulle esplosioni Ryan Reynolds non mentiva, Michael Bay spinge sul suo marchio di fabbrica, riempie il quadro di fuoco come fosse il suo olio su tela.
Per non parlare della quota violenza, libero dal PG 13 il regista può eccedere in dettagli truculenti, soffermarsi sui fori delle pallottole, teste e volti perforati, sangue che schizza, corpi scaraventati, investiti, dilaniati. Persino quando cadono, i corpi finiscono su altre cose, naturalmente rompendole. Durante la visione di 6 Underground qualche ‘ouch’ da immedesimazione è praticamente d’obbligo.
La sceneggiatura è opera di Rhett Reese e Paul Wernick, già autori dei due Deadpool e dei due Zombieland. Una storia, dicevo, abbastanza semplice, a tratti anche inverosimile, che fa uso di ironia e humour nero. Un copione che non brilla per profondità di scrittura, ma piuttosto si presta volutamente alle intenzioni del suo regista. Il miliardario che decide di prodigarsi per il prossimo fa un po’ Bruce Wayne (e infatti, il protagonista ci scherza anche su), ma include un po’ di morale for dummies che, come dicevo, sarà certamente un po’ retorica e scontata ma non per questo fatua, perché in fondo non fa mai male ricordare che si può lottare per un mondo giusto. Che piccole azioni sommate diventano grandi, o che i legami e la lealtà verso di essi rafforzano lo spirito dell’uomo.
La stessa scelta del bad guy, dittatore standard che controlla il fantomatico stato del Turghistan – perché, come ricorda anche uno dei personaggi, succede sempre qualcosa in qualche paese che finisce con ‘stan’ – si presta al duplice scopo di (prevalentemente) ironizzare su uno dei tanti stereotipi del cinema d’azione, infilandoci uno dei pochi momenti seriamente drammatici, ovvero un bombardamento chimico su civili, donne e bambini che richiama problematiche sempre tristemente attuali legate a guerra e terrorismo.
La trama, quindi, si dimostra esile, specie nella scrittura dei personaggi che peccano in un background superficiale (alcuni in particolare) incapace di dare spessore alla caratterizzazione con conseguente presa precaria sul pubblico. E le scelte di casting non aiutano in questo senso. Se da un lato Ryan Reynolds assolve il suo compito trovandosi perfettamente a suo agio con un tono generale chiaramente vicino alle sue corde, dall’altro il gruppo di supporto avrebbe potuto giovare della presenza di qualche nome più carismatico. Manuel Garcia-Rulfo (I magnifici 7) e Mélanie Laurent (Bastardi senza gloria) sono senza dubbio i due comprimari più interessanti, col messicano che offre più sfaccettature rispetto ad altri personaggi maggiormente monodimensionali.
Corey Hawkins (Straight Outta Compton) è il classico ex militare in cerca di redenzione, Adria Arjona (Good Omens) fa praticamente d’arredamento mentre Ben Hardy (Bohemian Rhapsody) deve la spettacolarità del suo personaggio al suo stuntman che si rende protagonista di incredibili sequenze di parkour, che se da domani ci scappa il morto per emulazione non ci sarebbe da sorprendersi. Particina per Dave Franco (Now You See Me), autista spericolato che esce di scena dopo il già citato prologo funambolico.
Lo stesso villain ha il volto paffuto e poco incisivo di Payman Maadi (Una separazione), che più che un dittatore ricorda una versione esotica di Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
Girato tra Italia (Firenze, Siena, Roma, Frascati, Taranto), Los Angeles ed Emirati Arabi, 6 Underground è costato circa 150 milioni di dollari (anche se alcune voci parlano di un budget che è arrivato a sfiorare i 170 milioni), che ne fanno la seconda produzione più costosa della storia di Netflix, poco dietro al già menzionato The Irishman con cui identifica una sorta di (nuovo) spartiacque per il gigante dello streaming.
Simbolo di un mondo, quello del cinema, che sta cambiando, sta mutando, si sta evolvendo. Il blockbuster direttamente a casa o persino sullo schermo di uno smartphone. Ma fossi in voi, 6 Underground lo vedrei sullo schermo più grande disponibile (magari accompagnandolo con l’audio adeguato), per godersi quello che Michael Bay concepisce come un atto cinematografico di grande ambizione visiva.
Cinema d’intrattenimento a potenza elevata. 127 minuti di adrenalina, violenza, colori sgargianti, dialoghi volutamente scanzonati. Non è il mio preferito di Bay, neanche uno dei primi, ma è un film che mi ha divertito e appagato visivamente, rendendo sicuramente tollerabile qualche incertezza di scrittura. Lo rivedrei senza problemi e se volessero approfondire la mission dei sei fantasmi con un sequel, lo accoglierei con rinnovata curiosità. Con buona pace degli hater.
Di seguito trovate il final trailer internazionale (con sottotitoli in italiano) e il teaser ambientato a Firenze di 6 Underground, nel catalogo di Netflix dal 13 dicembre:
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