Voto: 6/10 Titolo originale: Body Cam , uscita: 19-05-2020. Regista: Malik Vitthal.
Body Cam | La recensione del film horror socialmente impegnato di Malik Vitthal
05/06/2020 recensione film Body Cam di William Maga
Il regista torna sulle scene con un film di genere ma attualissimo, che riflette sui disordini razziali negli Stati Uniti, in cui si muovono i poliziotti Mary J. Blige e Nat Wolff, alle prese con presenze spettrali vendicative
Mentre gli episodi di profilazione razziale e le brutalità della polizia americana continuano a fare notizia in questi giorni, Body Cam – thriller soprannaturale diretto da Malik Vitthal con Mary J. Blige su un’entità che perseguita gli agenti delle forze dell’ordine coinvolti nella morte di un adolescente nero – appare come un film più rilevante che mai ora. Dal punto di vista cinematografico, tuttavia, arriva un po’ in ritardo ‘per la festa’, seguendo tutta una serie di titoli degli ultimi anni che ruotano attorno a questo argomento sempre più di attualità, tra cui Prossima Fermata Fruitvale Station, Il coraggio della verità – The Hate U Give, Queen & Slim, La legge dei più forti, See You Yesterday, Detroit, Monsters and Men e persino il recente candidato all’Oscar Les Misérables.
L’aspetto delicato nel raccontare storie con una rilevanza sociale così forte, però, è che mentre si vuole rendere il messaggio abbastanza limpido da far breccia nella coscienza mainstream, si corre il rischio di saturare il mercato al punto in cui il pubblico diventa desensibilizzato e sovraesposto e considera questi film come ‘eccessi moraleggianti’. È qui allora che diventano utili le dinamiche di genere.
Vedete, incastonando il suo messaggio all’interno di una cornice pulp – come fa Body Cam coinvolgendo le presenze spettrali nella trama – viene rinnovato il commento su un certo tema dando però un taglio più fantastico a uno stereotipo molto familiare, attirando così non solo gli spettatori che sono stanchi dell’argomento trattato, ma anche i fan di certo cinema che altrimenti potrebbero essere contrariati da un approccio troppo impegnato. Forse più di ogni altro genere, l’horror ha storicamente avuto la capacità di affrontare argomenti così importanti e seri in un modo che sa intrattenere senza suonare tuttavia moralizzatore.
Possiamo facilmente intuire infatti la critica sociale in classici come La Notte dei Morti Viventi e L’invasione degli Ultracorpi (il nostro dossier), per esempio – e certamente anche in film più recenti come Scappa – Get Out (la recensione) e La Notte del Giudizio – ma se scegliessimo di ignorare più o meno consapevolmente quei sottotesti, potremmo comunque goderceli come semplice intrattenimento serale ‘di paura’.
In effetti, è la moda dei film dell’orrore intinti di sfumature razziali e riferimenti sociopoliticamente rilevanti – per gentile concessione, soprattutto, di Jordan Peele – ad essere probabilmente responsabile della realizzazione di Body Cam. Difficile credere che sia una coincidenza il fatto che il suo script sia stato acquistato ‘per caso’ solo un mese dopo l’uscita di Scappa – Get Out nel 2017.
Body Cam, naturalmente, non è come Scappa – Get Out. La storia è molto più modesta e meno ispirata: una semplice storia di vendetta dall’aldilà, in cui viene soffiata nuova vita dall’ambientazione urbana e dalle sfumature razziali. Immaginatela come una versione soprannaturale di La legge dei più forti del 2019 (che ibridava l’action per rendere il suo messaggio più ‘accessibile’) o, meglio ancora, una versione lunga del segmento ‘Rogue Cop Revelation’ dell’antologia Tales from the Hood del 1995.
Il regista afroamericano Malik Vitthal torna dietro alla mdp a quattro anni dall’acclamato Imperial Dreams con John Boyega, con un’opera piena di cliché di genere e personaggi standard (la Renee interpretata da Mary J. Blige si adatta benissimo sia allo stereotipo del poliziotto stanco della vita di strada che a quello del genitore addolorato che indaga sulla morte di un altro ragazzino tipico dei film sulle case infestate), e la trama di Body Cam si dipana secondo i passaggi più prevedibili delle storie mistery – anche se, francamente, è interessante vedere un cambio di genere nel cliché del coniuge monodimensionale ed eccessivamente affettuoso di un poliziotto (in questo caso, il marito della protagonista).
Detto questo, se la sceneggiatura, riscritta da Nicholas McCarthy (regista di horror come The Prodigy – Il figlio del male, The Pact e Oltre il male) non offre vere sorprese, la regia è piuttosto ispirata. Malik Vitthal rilancia la tragicità grezza e straziante di Imperial Dreams, ma riesce anche a far emergere la necessaria tensione di un horror – di sicuro, appare un’occasione mancata che, in un film chiamato Body Cam, non utilizzi l’oggetto in questione per spezzoni in found footage mirati a suscitare spaventi. Si tratta di un prodotto visivamente curato che mette in mostra le doti del regista, che cattura l’orrore, il dramma e l’azione mentre sullo sfondo si stagliano ribollenti disordini sociali.
Anche il resto del cast (in cui c’è il Nat Wolff di Death Note) non aiuta a movimentare troppo le cose. Nonostante la candidatura all’Oscar per Mudbound nel 2017, l’ex star della musica R&B Mary J. Blige non è esattamente un’attrice di alto livello. La sua maggior forza è che ci si immedesima facilmente con lei; possiede un fascino sobrio e ‘comune’ che rende credibili i suoi ruoli, e in un film imperniato sull’ingiustizia sociale, questo è un fattore chiave. In effetti, più gli ‘intrattenitori’ afroamericani – attori, musicisti, atleti – sono considerati ‘affabili’ nel mondo mainstream, più è probabile che il mainstream prenda a cuore le faccende che colpiscono le persone di colore, dal momento che la gente tende a non prendere sul serio le cose fino a quando non influenzano quelli che ‘conoscono’. Questo è in parte il motivo per cui il modo in cui vengono rappresentati sullo schermo conta così tanto e come può avere un impatto sul mondo reale – e si spera che il fatto che questo film sia interpretato da una donna nera di quasi 50 anni, segnali un cambio di direzione per le convenzioni dei casting di Hollywood.
Mentre Body Cam non ha il realismo sfumato di Imperial Dreams, è evidente che Malik Vitthal abbia il polso delle complicate dinamiche sociali tra le forze di polizia e le comunità che dovrebbero proteggere e servire, specialmente quando quelle comunità sono povere e nere. È in grado di riflettere – almeno parzialmente – il livello di sfiducia tra le due parti, con Renee che cerca di cavalcare la sottile linea blu mentre la rabbia pubblica per l’abuso sistemico dei poteri della polizia minaccia di esplodere.
Anche se è stato girato nel 2018, è inevitabile nel giugno del 2020 leggere la vendetta spettrale di Body Cam come una manifestazione fisica dello sdegno e dell’esasperazione che attanaglia gli Stati Uniti, dopo che una serie di drammatici eventi a sfondo razziale catturati su video ha retrocesso il COVID-19 nelle retrovie delle notizie de TG: dalla morte di Ahmaud Arbery per mano di un poliziotto della Georgia in pensione e di suo figlio alla “Central Park Karen”, per finire con l’uccisione di George Floyd causata dalla pressione di un ginocchio di un ufficiale di polizia di Minneapolis.
È appropriato che Body Cam sia ambientato in una città immaginaria – Swinton, Louisiana – perché in tal modo finisce per rappresentare qualsiasi città dell’America, un paese costruito sulla disuguaglianza razziale che deve ancora rendersi conto che non puoi semplicemente accantonare 400 anni di razzismo e le sottostanti condizioni socioeconomiche, i cui leader non sono nemmeno in grado di riconoscere un sistema in pezzi e la cui popolazione votante si preoccupa meno di ciò che è giusto o sbagliato rispetto a quale “parte” vince. Di per sé, Body Cam è un film di genere solido ma non spettacolare, ma sullo sfondo dell’ingiustizia e dei disordini della vita reale, assume un nuovo significato, risuonando con l’urgenza di questo tempo.
Di seguito il trailer internazionale di Body Cam, già acquistabile in Digitale dal 19 maggio:
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