Voto: 6/10 Titolo originale: Kadaver , uscita: 22-10-2020. Regista: Jarand Herdal.
Cadaver | La recensione del film horror norvegese di Jarand Herdal (su Netflix)
22/10/2020 recensione film Kadaver di William Maga
Il giovane regista usa il teatro come cruda metafora per descrivere gli orrori di un mondo post-catastrofe in cui le differenze di classe sociale sono ancora molto radicate
Prima produzione di Netflix Norvegia, Cadaver (Kadaver) di Jarand Herdal (tornato dietro alla mdp a sette anni da Everywhen) mette in scena – quasi letteralmente in questo caso, vista l’ambientazione – una lotta di classe nel solco tracciato dai recenti Il Buco (la recensione) e The Cannibal Club. La preparazione dei pasti viene ottenuta e condita in gran segreto, mentre le masse povere vengono vessate e predate da una ricca e altolocata minoranza.
Le rappresentazioni teatrali di William Shakespeare incontrano allora le tradizioni culinarie della famiglia Sawyer, ma il tutto è pervaso da una familiarità che a malapena riesce a riflettere la spietatezza del terribile banchetto o la descrizione della fame fatte dal regista norvegese. Abbiamo visto in passato titoli del calibro di Delicatessen o altri distopici ‘club della ristorazione alternativa’, e Cadaver fa ben poco oltre all’adattare per lo schermo il famoso teatro immersivo “Sleep No More” di New York City, aggiungendo alla ricetta un tocco di horror prevedibile sin dal primo fotogramma.
In qualche metropoli del dopoguerra nucleare, dove il fetore della morte si diffonde dai cadaveri ammassati lungo le strade ingombre di macerie, Leonora (Gitte Witt) e Jacob (Thomas Gullestad) crescono la loro figlia Alice (Tuva Olivia Remman). Non c’è elettricità, né servizi, solo gli edifici lasciati abbastanza intatti da poter essere abitati.
L’unico palazzo illuminato dall’elettricità è un hotel dove Mathias Veinterberg (Thorbjørn Harr) ospita elaborate rappresentazioni che includono un unico pasto per i membri del pubblico. Agli avventori viene quindi consegnata una maschera dorata e istruiti da Mathias su come esplorare le profondità più recondite della sua dimora, poiché gli ‘spettatori’ procederanno nelle loro interazioni con gli ‘attori’ (a volto scoperto) attraverso le numerose stanze e corridoi.
Il passato di Leonora come attrice drammatica provoca presto una certa eccitazione, che si trasforma però rapidamente in allarme quando Alice scompare, e la generosa ospitalità di Mathias si rivela per quello che è davvero.
Il design di produzione di Cadaver diventa ‘invitante’ una volta che il direttore della fotografia, Jallo Faber, si decide ad abbandonare il cupo e freddo filtro blu che tratteggia la tristezza di questo mondo futuribile prima di entrare nella tenuta di Mathias. Il passaggio da una civiltà decaduta a camerieri raffinati che distribuiscono bistecche su vassoi con coperchi d’argento è un segnale d’allarme immediato, ma introduce una grande raffinatezza decorativa. Gli smoking dei padroni di casa, i tappeti rossi come fiumi che scorrono lungo i corridoi, i crudeli dipinti di agnelli che prefigurano l’imminente esperienza di ciascuno ‘spettatore’ non pagante.
La cinepresa di Jarand Herdal privilegia evidentemente la teatralità del contesto, sottolineando la stravaganza vigente in quel luogo sinistramente affascinante e l’abbigliamento a regola d’arte in contrapposizione con lo stato fisico dei poveracci dalle guance sporche che stanno semplicemente cercando di sopravvivere per un altro giorno, sfruttati da coloro che un tempo avevano, e continuano ancora a detenere, poteri classisti. La manipolazione attraverso la disperazione è servita attraverso la squisitezza visiva.
Avendo un’anima anche horror, come si diceva, Jarand Herdal orchestra questo effetto da Grand Guignol strizzando l’occhio proprio al famigerato teatro parigino aperto nel 1897 specializzato in “spettacoli dell’orrore naturalistici”. Mathias introduce in modo diabolico la sua notte di mistero, insistendo sul fatto che i partecipanti non debbano temere nulla, poiché tutto ciò a cui assisteranno è mero intrattenimento che segue una sceneggiatura.
Strilli raccapriccianti, carneficina, gole tagliate; tutto il sangue è ottenuto attraverso effetti pratici, o almeno così credono i vagabondi. Si tratta di contenuti ‘per adulti’, con Leo che protegge gli occhi della piccola Alice da bollenti rapporti sessuali contro un muro, mentre altrove le relazioni si sgretolano o dei servitori si tolgono la vita. Questi elementi horror sono l’antipasto prima che la ricerca di Leo per localizzare la figlia la conduca nella cucina del mattatoio nel ventre della bestia architettonica labirintica di proprietà di Mathias.
Alcuni dettagli della mdp ci mostrano ‘intagliatori’ dal grembiule bianco che utilizzano affettatrici per la gastronomia in modi innaturali, mentre Mathias monologa su come l’umanità non possa limitarsi semplicemente a ‘sopravvivere’; gli uomini hanno infatti bisogno di sentire qualcosa (la sua giustificazione per le grandiose bugie e la sua disumanità darwiniana).
Suona così malvagiamente allettante, eppure la sceneggiatura scritta dallo stesso Jarand Herdal manca dell’intrigo che questa fantasiosa e tremenda festa ‘a sorpresa’ richiede. Cadaver, pur offrendo paranoia e scontro sociale, in fin dei conti ha un menu decisamente ‘semplice’. Ciò, naturalmente, potrebbe non disturbare alcuni spettatori. In altri casi, invece, il retroscena del dolore di un regista per la perdita di sua figlia, insieme a pile di vestiti che rappresentano gli innumerevoli corpi “sacrificati” alla causa, non arriva mai a portare in tavola un pasto completo.
La mancanza di motivazioni nascoste nella narrazione di Cadaver non valorizza la suspense creata, nonostante la presenza di scagnozzi massicci e la delirante opulenza. Ci si ritrova in qualche modo ‘distaccati’ rispetto a quanto avviene sullo schermo, piuttosto che genuinamente a disagio. Manca quel sapore al di là delle rappresentazioni pittoresche, con seguente riduzione della profondità tematica dietro al grandissimo sforzo per intarsiarne la facciata.
Cadaver non cerca mai di essere qualcosa di più di una satira sui peggiori impulsi dell’umanità. Lo spettatore viene trascinato in una casa degli orrori insieme a questa donna alla quale viene offerta una scelta impensabile, l’antico adagio mors tua vita mea. Le metafore grattano appena un pochino la superficie della critica sociale e Jarand Herdal non prova mai ad approfondire le frustrazioni che affliggono il mondo.
Oltretutto, l’effetto generale sugli appassionati di horror che abbiano alla spalle visioni cannibaliche truci – da Non Aprite Quella Porta e Cannibal Holocaust in giù (o in su) – verranno ancor meno sconvolti, e forse ci rimarranno pure un po’ male.
Lo spettatore medio e ‘impreparato’ di Netflix potrebbe al contrario venire in qualche modo scioccato dagli 87 minuti di Cadaver, e questo è più che sufficiente. Giusto?
Di seguito trovate il trailer internazionale di Cadaver, nel catalogo da Netflix dal 22 ottobre:
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