Home » Cinema » Horror & Thriller » Il Buco: la recensione del film di Galder Gaztelu-Urrutia (su Netflix)

Voto: 6.5/10 Titolo originale: El hoyo , uscita: 08-11-2019. Budget: $1,203,235. Regista: Galder Gaztelu-Urrutia.

Il Buco: la recensione del film di Galder Gaztelu-Urrutia (su Netflix)

20/03/2020 recensione film di William Maga

Il regista basco esordisce dietro alla mdp con un horror dalla forte connotazione metaforica, capace di far riflettere e di mettere i brividi

il buco film netflix 2020

Prendete il misconosciuto e brillante cortometraggio Next Floor di Denis Villeneuve del 2008 (la recensione), mescolatelo con Cube – Il Cubo di Vincenzo Natali del 1997 (la recensione), e quello che otterrete è Il Buco (El Hoyo / The Platform), distribuito ora in esclusiva da Netflix.

Invettiva sulla disuguaglianza e l’egoismo umano travestita da thriller sci-fi, il concept stesso alla base di questo film low budget è una grande metafora della scarsità di risorse e della guerra di classe: un’enorme prigione racchiude – e tiene isolati – i prigionieri su almeno 150 livelli. Una piattaforma gigante scende ogni giorno nel mezzo di ogni piano, portando cibo sufficiente per tutti nel carcere: il problema è che questo è vero solamente se gli individui dei livelli superiori ne terranno solo una quantità equa per se. Ciò, però, non accade mai, alimentando il risentimento dei livelli più bassi e l’idea di essere nel giusto di quelli in alto. Ogni mese, i prigionieri cambiano livello in base al capriccio degli amministratori della struttura, rendendo la loro situazione all’interno ancora più precaria.

Si tratta evidentemente di un modo particolarmente ispirato e ‘di genere’ per entrare nel vivo della politica di classe e di come nascano risentimenti tra i diversi strati della società civile, ma, qualora questo tipo di ‘letture impegnate’ non vi interessano, Il Buco rimane comunque un fanta-horror teso e capace di divertire gli appassionati fino alla fine.

el hoyo poster filmDebutto dietro alla mdp per lo spagnolo Galder Gaztelu-Urrutia e trionfatore al Festival di Sitges del 2019 (ma è passato anche dal Torino Film Festival), Il Buco sembra vole raccogliere la lezione tanto delle opere impegnate di Luis Buñuel (a partire da L’angelo sterminatore del 1962) quanto degli inventivi artigiani come il già citato Vincenzo Natali, influenze che gli garantiscono un sottotesto tematico prezioso e non esattamente comune tra i film di questo tipo. Ma la cosa più importante è che il regista basco riesce con intelligenza a bilanciare le due anime del film senza mai risultare pesante nel messaggio o eccessivamente frivolo sul versante orrorifico, contribuendo a una visione che può essere apprezzata trasversalmente da un pubblico molto ampio.

Incontriamo subito Goreng (Ivan Massagué), un lettore del Don Chisciotte della Mancia che scopriamo essersi offerto volontario per trascorrere sei mesi nella prigione nota come ‘Pit / La Fossa’ (preferibile al ‘buco’ del titolo …) per ottenere in cambio un qualche tipo di attestato che aumenterà le sue speranze di successo nella vita fuori. Lì incontra il suo compagno di cella, Trimagasi (Zorion Eguileor), un borghese più anziano di lui che lo informa sulle regole della Fossa.

Si trovano al livello 48, “un ottimo livello” come gli dice Trimagasi, quindi, quando la piattaforma si abbassa portando loro alcuni avanzi ancora adagiati su piatti di sontuosa porcellana, Trimagasi scava felice. Goreng si trattiene, ma presto impara che le regola che ciascuno si auto impone nella Fossa non possono essere ignorate con sdegno se si vuole sopravvivere un altro giorno.

Sostanzialmente, Il Buco si concentra sui tentativi di Goreng di comprendere le dinamiche della Fossa e la relazione con una donna misteriosa e violenta (Alexandra Masangkay), che spesso compare sulla piattaforma in cerca di un figlio che potrebbe o meno esistere. Come in Cube – Il Cubo (peraltro anagrammato dal reparto marketing di Netflix proprio in ‘Il Buco’), Galder Gaztelu-Urrutia utilizza ingegnosamente la sua ambientazione limitata, con Goreng che si sposta di livello ogni mese, apprendendo i dettagli della Fossa nel processo, ma il set effettivo non cambia mai, a parte per il numero che si vede sul muro. Proprio questo scenario ‘contenuto’ conferisce al film tutto il suo peso allegorico, anche più di opere affini come con Snowpiercer di Bong Joon-ho (2013), che parimenti parlava non proprio velatamente delle lotte di classe, ma allo stesso tempo sentiva la necessità di esplicitare il mondo al di fuori.

In Il Buco, non vediamo invece mai scorci del mondo esterno, se non in alcuni colloqui in flashback tra Goreng e alcuni funzionari, nonché gli chef che preparano minuziosamente il cibo che scende sulla piattaforma.

the platform el hojo filmQuesta mancanza di un contesto perfettamente comprensibile non priva tuttavia il film del suo potere esplicativo. Piuttosto lo scuote, finendo per porsi ai nostri occhi come una specie di visione delirante e febbrile dell’esistenza ridotta ai suoi elementi essenziali, un non luogo esistente da qualche parte tra la vita ultraterrena cantata da Dante Alighieri e un limbo in stile beckettiano. Non bastasse, Il Buco è stato sapientemente architettato al pari della Fossadagli sceneggiatori David Desola e Pedro Rivero.

L’arrivo regolare della piattaforma ogni giorno e la riassegnazione dei livelli al termine di ogni mese danno a Galder Gaztelu-Urrutia una costante fonte di slancio, che mantiene il film in rapido movimento. A differenza di tante altre visioni distopiche, Il Buco sceglie di non crogiolarsi nel dispiacere o nella disperazione. Piuttosto, si diletta in alcuni sani momenti da brividi tipicamente horror, da atti di terribile violenza e cannibalismo fino a giochi di parole e umorismo scatologico.

Quello che va ribadito, è che non bisogna guardare Il Buco cercando solo di coglierne le sfumature o i significati altri, come l’attacco al capitalismo e la necessità di fare una rivoluzione socialista per sovvertire lo status quo. Non è così che funziona l’allegoria. Cercate invece di apprezzarlo come un horror materialista che racconta di un mondo alternativo in cui la classe sociale (o il ceto, o rango, vedete voi), per quanto arbitraria e casuale, detta tutte le questioni di vita e di morte di ciascun essere umano. Come l’ottimista Goreng e gli altri prigionieri apprendono nel corso del film, la solidarietà è necessaria affinché la giustizia prevalga, ma è più facile a dirsi che a farsi. Se può suonare un concetto fin troppo familiare nel mondo in cui viviamo ora, tanto meglio, ma è ciò che conferisce parimenti a Il Buco sia un senso di urgenza che di terrore, ponendo l’accento su cosa possa davvero fare ciascuno per migliorare la propria situazione e innescare il cambiamento.

Si tratta in definitiva di una riuscitissima metafora, che trasforma i suoi temi ideologici in qualcosa di molto più emozionante di quanto potrebbe mai essere la sola pura teoria. Che oltretutto sia un film di genere capace di angosciare e far parteggiare per oltre 90 minuti dovrebbe poi garantire che anche gli spettatori indifferenti agli aspetti più impegnati e riflessivi lo trovino ugualmente soddisfacente. Quando riusciremo a fare film del genere anche in Italia non sarà mai troppo presto. Intanto, segniamo sul taccuino il nome di Galder Gaztelu-Urrutia.

Per chi volesse approfondire il significato del film e del suo finale, vi rimandiamo alla nostra spiegazione dettagliata.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Il Buco, nel catalogo Netflix dal 20 marzo:

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