Diario da Venezia 76 | Giorno 3: la ricetta del gazpacho di Pedro Almodóvar
31/08/2019 news di Redazione Il Cineocchio
Il regista spagnolo, fresco di Leone d'Oro alla Carriera, è protagonista di una 'Masterclass' scoppiettante. Cuori - e vetrine - infranti per il divo Brad Pitt sul red carpet
Il contemporaneo arrivo in laguna di due dei divi più attesi, Brad Pitt e Scarlett Johansson, ha comportato un grande afflusso di pubblico al Lido, con conseguente esaurimento dei biglietti per qualsiasi evento ed esaurimento nervoso di chi ne va in cerca, e ha mandato così in fibrillazione la gente da essere forse stata la ragione per cui nello spiazzo antistante il Palazzo del Cinema è stata allestita una postazione medica di prevenzione gratuita dove potranno effettuarsi gratuitamente elettrocardiogrammi nelle giornate di venerdì, sabato e domenica. Ad essi potranno ricorrere tutte quelle donne e quegli uomini più o meno giovani ai quali le due superstar hanno provocato violenti batticuore.
Del film di lei, Marriage Story / Storia di un matrimonio di Noah Baumbach, abbiamo parlato ieri, ma per completezza aggiungiamo che la nostra opinione è risultata difforme da quella favorevole della maggior parte della stampa. Circa il film con lui, Ad Astra di James Gray, ci limitiamo in questa sede a riferire che si avvale di un cast di prim’ordine (Donald Sutherland, Liv Tyer e Tommy Lee Jones) e che si tratta della storia di un ingegnere spaziale alla ricerca del padre scomparso da vent’anni durante una missione, vicenda che diventa altresì lo spunto per riflettere sul destino del pianeta e dell’umanità stessa.
Per ogni altro dettaglio riguardante il film rinviamo alla nostra recensione che verrà pubblicata nei prossimi giorni. Per intanto ci preme segnalare che la caccia delle ammiratrici al bel Brad Pitt, 56 anni portati come un ragazzino, è stata talmente irruenta da provocare la frantumazione della vetrata di uno dei negozi collocati nei corridoi del piano interrato dell’Hotel Excelsior, quello che dalla darsena dove approdano i motoscafi conduce all’ascensore. Un bel danno per il negozio, una boutique di abiti e accessori di lusso, ma fortunatamente nessun danno per le persone.
Oltre a quello dei cercatori di star, la giornata di ieri e quella di oggi hanno soddisfatto anche il palato dei cinefili, grazie alla presenza di Pedro Almodovar, al quale è stato assegnato il primo Leone d’Oro alla Carriera di questa edizione del Festival (il secondo verrà invece assegnato il 2 settembre a Julie Andrews). Come lo scorso anno, i destinatari del premio dedicano circa un’ora ad incontrare stampa e pubblico per una carrellata sulla loro carriera.
Da qualche tempo iniziative del genere vengono definite con l’orrendo nome Masterclass, che pare una carta di credito, quando si potrebbe benissimo fare ricorso a termini meno sussiegosi come “conferenza” o “incontro”. Oggi è stato appunto il turno del regista spagnolo, presentatosi in sala con una delle sue tipiche camicie a fiori giganti di colore bianco, blu e verde. Ha cominciato in quarta con una stilettata alle scuole di cinema. Anche lui in passato avrebbe desiderato frequentare la Scuola di Cinema di Madrid, ma ciò gli risultò impossibile perché Franco l’aveva appena fatta chiudere.
Allora s’impiegò presso la società dei telefoni, dove lavorò per dodici anni, e nel contempo iniziò a girare film con una piccola super 8 comprata con i primi stipendi, comprendendo così che per fare cinema non serve frequentare una scuola ma imparare a guardare dentro sé stessi e nella realtà circostante. Dentro di sé aveva le reminiscenze delle prime esperienze di spettatore vissute nell’Estremadura dove passò l’infanzia vedendo proiettati su una parete bianca film messicani, spaghetti western e qualche classico del cinema d’autore come Orson Welles, Luis Buñuel o Michelangelo Antonioni.
Poi, negli anni delle superiori a Caceres, iniziò a vedere film in modo più ordinato e s’innamorò del Technicolor e dei suoi colori vibranti e poco naturali, ai quali si sarebbe rifatto con i suoi film in quanto adattissimi a rendere le esagerazioni di cui abbondano le sue storie. Sempre sull’onda dei ricordi ha poi rievocato la partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia del 1983 con L’indiscreto fascino del peccato. Il film conteneva un campionario di suore viziose e fece accapponare la pelle all’allora Direttore della Mostra Gianluigi Rondi, vicino alla Democrazia Cristiana, che lo definì “osceno” e si batté perché non fosse accolto al festival.
La stampa però diede un tale rilievo alla vicenda che non fu possibile escluderlo pena un’inevitabile accusa di censura. Ancora adesso Pedro Almodovar, pur affermando di non voler sfidare nessuno con il suo cinema, si considera fiero di quella sua prima vittoria contro la censura e interpreta la consegna del Leone d’Oro di oggi quasi come un risarcimento a tutte le contestazioni che dovette subire allora. Anche la sua Spagna iniziava negli anni Ottanta, dopo la caduta del franchismo, a conquistare spazi di libertà e il regista ritiene che il suo cinema degli inizi sia stato molto influenzato da questo nuovo clima culturale. Forse per questo rivolse il suo interesse verso le figure femminili, allora molto trascurate, e all’esplorazione della diversità sessuale.
Ora che i tabù di un tempo sono ormai definitivamente superati e si è addirittura superato il concetto di transessualità con quelli di non appartenenza ad alcun genere preciso, Pedro Almodovar dichiara di ricercare uno stile sempre più austero come nei suoi ultimi due film Julieta e Dolor Y Gloria e, attraverso l’uso d’inquadrature sempre più strette sugli attori, di voler eliminare ogni accenno di barocchismo.
I suoi personaggi più recenti soffrono spesso di una solitudine contro la quale il regista suggerisce quadri, libri e film come miglior rimedio possibile. Ha avuto modo anche di soffermarsi sulla sua ammirazione per il cinema italiano, non solo quello dei grandi classici Luchino Visconti e Federico Fellini, da tutti sempre citati, ma anche quello di Mauro Bolognini, Valerio Zurlini, Pietro Germi, Dino Risi ed Ettore Scola, dei quali apprezzava le opere in Spagna da ragazzino.
Quanto a Marco Ferreri, ha affermato di percepirlo quasi come un regista spagnolo sia per lo stile sia per il fatto ch’egli abbia lavorato con Rafael Azcona oltre che con attori che in seguito avrebbe utilizzato anche nei propri film, ma di non considerarlo uno dei registi che lo hanno influenzato di più, nonostante la sua passione per La grande abbuffata e Dillinger è morto.
La risposta più intelligente e spiritosa l’ha fornita, peraltro in modo molto serio, a chi gli ha domandato cosa pensa di aver insegnato coi suoi film. “Ho imparato da Francois Truffaut che il regista deve sempre insegnare qualcosa. In Baci rubati egli mostra la fidanzata che spiega al suo lui come si spalma il burro sulla fetta biscottata senza romperlo. Io in Donne sull’orlo di una crisi di nervi ho fatto illustrare a Carmen Maura la ricetta del gazpacho, un piatto spagnolo che all’epoca in America non conosceva nessuno. Anni dopo, recandomici, ho trovato ristoranti che lo preparavano proprio sulla base di quella ricetta. La cosa mi rende tuttora molto orgoglioso”.
Di seguito il trailer ufficiale di Dolor y Gloria:
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