Voto: 6.5/10 Titolo originale: Autómata , uscita: 09-10-2014. Budget: $7,000,000. Regista: Gabe Ibáñez.
Dossier: Automata di Gabe Ibáñez, l’eterna lotta della I.A. per affrancarsi dall’uomo
17/06/2020 recensione film Automata di William Maga
Nel 2014, Antonio Banderas e Dylan McDermott erano i protagonisti di un film di fantascienza semi-indipendente che affronta il noto tema del rapporto tra umanità e macchine senzienti in uno scenario post-apocalittico
Da Lei (la recensione) ed Ex Machina a Age Of Ultron, passando per Humandroid, il cinema di metà anni ’10 è sembrato esponenzialmente preoccuparsi di robot e di Intelligenza Artificiale. Diretto dallo spagnolo Gabe Ibanez (Hierro) nel 2014, il polveroso thriller fantascientifico R-Rated Automata era l’ultimo film ad addentrarsi nel delicato territorio del rapporto burrascoso tra I.A. ed esseri umani.
Nel prossimo futuro, una catastrofe ambientale ha reso la Terra un pianeta praticamente inabitabile, dove sopravvive soltanto una piccola percentuale dell’umanità. Un nuovo tipo di robot, chiamato Pilgrim 7000, è stato quindi creato nella speranza che potesse arginare l’incedere della desertificazione costruendo alte mura intorno alle città ed erigendo nuvole artificiali simili a degli zeppelin – ma senza grossi risultati.
Decenni dopo, una specie di oscurità apocalittica sembra essersi stabilita sopra la razza umana, che rimane racchiusa in una città fortificata su cui incombono le sabbie del deserto. I robot sono usati come servitori, ma sono anche trattati con sospetto e disprezzo. Girano voci sul fatto che alcuni di essi stiano tentando di contravvenire alla loro programmazione e modificarsi da soli – qualcosa che l’investigatore assicurativo Jacq Vaucan (Antonio Banderas) inizialmente respinge come una pura fantasia.
Ma, poi, l’uomo, inviato da chi lo ha assoldato alla società di costruzione di robot ROC per indagare su un presunto robot capace di automodificarsi, vede nelle loro macchine un comportamento strano, misteriosamente umano. I robot stanno forse davvero diventando consapevoli?
Si avvertono influenze distinte del seminale romanzo Io, robot di Isaac Asimov in Automata, con il suo futuro pieno di macchine servili mosse da leggi della robotica pre-programmate. Gabe Ibanez, che si è anche occupato della sceneggiatura assieme a Igor Legarreta, fa abilmente suoi questi concetti complessi e raffigura in modo convincente una scomoda simbiosi tra uomo e macchina.
Aiuta il fatto che i robot del film siano, per la maggior parte, realizzati con effetti pratici e non la ‘facile’ CGI hollywoodiana; possiamo così percepire il peso e la potenziale forza in essi, e la sensazione paranoica di non sapere mai cosa ronza dietro a quegli occhi rotondi che non sbattono le palpebre.
Automata sembra ugualmente influenzato dal futuro sporco e logoro del District 9 di Neill Blomkamp, e Gabe Ibanez utilizza vere località industriali (in Bulgaria) oltre a piccole quantità di computer graphic per creare una città altrettanto opprimente (che, inevitabilmente, guarda a Blade Runner). Durante la prima ora, il film restituisce effettivamente un’aria intrigante mentre Jacq cerca di scoprire esattamente cosa stanno facendo quei robot furtivi.
La tensione è ulteriormente accentuata dalla presenza di un poliziotto dal grilletto facile che odia i robot di nome Wallace (un quasi irriconoscibile Dylan McDermott) e di Robert Forster nei panni di un burbero ma simpatico superiore del ROC.
La trama in qualche deraglia quando Jacq viene portato fuori dalla città da un gynoid, Cleo, e finisce nel mezzo del deserto. Emergono nuovi villain, tra cui un assassino interpretato da Tim McInnerny e alcune motivazioni iniziano a ‘rannuvolarsi’. Ad un certo punto, i personaggi iniziano a incrociarsi o vengono rapiti per scopi poco chiari, e il protagonista viene accusato di tradimento per ragioni che non convincono del tutto.
Se l’elemento thriller non ingrana mai abbastanza, Automata convince però sotto l’aspetto di storia che specula su come potrebbe emergere prima o poi l’I.A. e quale forma potrebbe assumere. Non si tratta comunque di una intuizione ‘reazionaria’; viene lasciato intendere in più momenti che la vita artificiale sia effettivamente candidata ad essere degno successore della nostra stessa specie.
Il budget da prodotto semi-indipendente di Automata (circa 7 milioni di dollari) lo palesa a volte, ma Gabe Ibanez punta – saggiamente – la maggior parte delle sue finanze sul far sembrare ‘reali’ e concreti i suoi robot, affascinanti per come si muovono sul confine tra vulnerabilità e minaccia, vuotézza illeggibile e pathos.
Il regista madrileno ha occhio per le immagini semplici ma suggestive, la più memorabile delle quali è una baraccopoli riservata ai robot, dove giacciono cupamente sotto tetti improvvisati fatti di pallet e teli di plastica.
Automata presenta anche uno dei cast più eclettici del recente cinema di fantascienza. Melanie Griffith si presenta per il cameo da esperta di riparazione dei robot (era ancora sposata con Antonio Banderas al momento delle riprese), c’è un ruolo per il veterano David Ryall (Harry Potter e i Doni della Morte) come uomo d’affari dal cuore di ghiaccio, mentre Javier Bardem presta la voce – in originale – a uno dei protagonisti meccanici.
Splendidamente fotografato da Alejandro Martínez (Insensibles, La metamorfosi del male) , a spesso disordinato e troppo ‘familiare’ – Antonio Banderas interpreta l’ennesimo protagonista del genere dedito pesantemente all’alcol – Automata è, in definitiva, più una raccolta di immagini e idee interessanti che un’opera completa e del tutto soddisfacente. Proprio come uno dei suoi Pilgrim malconci e dall’aspetto stremato, Automata è imperfetto e sgraziato, ma è anche costellato di intriganti momenti occasionali e di tensione.
Di seguito una scena da Automata:
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