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Voto: 8/10 Titolo originale: Mad Max , uscita: 12-04-1979. Budget: $350,000. Regista: George Miller.

Dossier | I primi 40 anni di Mad Max Rockatansky e di Interceptor

27/05/2019 recensione film di Francesco Chello

Celebriamo l'importante anniversario ripercorrendo la lavorazione e l'eredità del seminale film fanta-apocalittico australiano girato nel 1979 da George Miller e interpretato dal giovanissimo Mel Gibson

Mel Gibson in Mad Max (1979)

Il 12 aprile del 1979, Mad Max debutta nelle sale australiane. Alla fine dello stesso anno inizia una distribuzione internazionale a tappe che prosegue nel 1980, quando arriva anche in Italia col titolo Interceptor. Un film destinato a lasciare il segno nel mondo del cinema come quelli di pneumatici sulla strada. Max Rockatansky festeggia i suoi primi quarant’anni, da parte nostra era quindi doveroso – oltre che cosa buona e giusta – unirci alle celebrazioni.

Interceptor film poster 1979La storia del cinema ci insegna che, spesso, a fare la differenza sono le idee e non il budget, nel corso degli anni abbiamo avuto decine di esempi di pellicole realizzate con pochi mezzi e capaci di guadagnarsi lo status di cult grazie al grande successo riscontrato. Mad Max non solo è una di quelle, ma è uno degli esempi più significativi ed importanti in questo senso. Un successo commerciale, di critica, di pubblico. Realizzato con meno di 400 mila dollari incasserà la cifra mostre di 100 milioni di dollari in tutto il mondo, stabilendo un record sul rapporto budget / incasso che durerà fino a The Blair Witch Project nel 1999.

La creazione di un personaggio iconico, di un mondo, una mitologia. Il primo capitolo di una saga destinata a entrare negli annali della cinematografia sci-fi (ma non solo), in particolare del filone post-apocalittico d’azione, e scrivere nuove regole nel cinema di genere; manipolare generi differenti per crearne uno proprio, diventando una vera e propria fonte di ispirazione (talvolta anche di plagio), nonché un necessario punto di riferimento e di confronto per tutti i titoli che si cimenteranno sul tema.

Spesso sentiamo l’espressione “in stile Mad Max” riferita a film che cercano di addentrarsi in quel territorio, il bello è che nonostante il proliferare di pellicole (alcune anche buone) sull’argomento, per rivedere un vero film alla Mad Max abbiamo dovuto attendere … un nuovo Mad Max! Ci è voluto il suo creatore, quel George Miller che a trent’anni dal terzo capitolo – e settanta di età – rimette in riga tutti quanti con quella bomba di Mad Max: Fury Road del 2016.

Sul finire degli anni ’70, il quasi esordiente (in sostanza, ancora aspirante) regista e sceneggiatore australiano George Miller, lavorava come medico in un pronto soccorso di Sidney, un ambito in cui prende ispirazione per scrivere una storia di velocità e violenza ambientata sulle strade. Insieme all’amico e collaboratore Byron Kennedy inizia una lunga e difficile raccolta fondi necessaria alla realizzazione di quello che aveva l’aria di essere un sogno. In quel periodo, il governo australiano preferiva puntare su film in costume inerenti alla storia della nazione piuttosto che su un violento film futuristico, ragion per cui il nostro duo si trova costretto a ricorrere a investimenti privati (partendo da amici e conoscenti) per racimolare quanto più denaro possibile.

Brendan Heath e Joanne Samuel in Mad Max (1979)La cifra raccolta è distante da quello che tutti ritengono debba essere il budget per una produzione di questo tipo, ma questo non scoraggia George Miller e Byron Kennedy che, con tenacia, motivazione, talento (tanto) e cura dei particolari si lanciano alla grande nel loro progetto. I capitali privati hanno un aspetto positivo, quello di non dover rendicontare di volta in volta, gli investitori in questione sono interessati solo al risultato finale; questo permette a Kennedy di poter gestire personalmente ogni centesimo del budget, capitalizzando al massimo ogni risorsa mentre Miller scrive (con James McCausland) una sceneggiatura lunga più del doppio degli standard, ogni pagina è concepita minuziosamente nei dettagli in modo da dover ricorrere al minor numero di riprese possibili per ogni singola scena e tentare di ridurre al minimo il rischio di sprechi.

La programmazione di certo li aiuta, ma non può bypassare completamente le difficoltà causate da budget, inesperienza e frangenti di necessaria improvvisazione, il cui culmine viene raggiunto nel momento in cui George Miller sembra quasi sul punto di farsi da parte per lasciare la regia a Brian Trenchard-Smith (The Man from Hong Kong), creando una di quelle sliding doors spaventose sul confine sottilissimo che può separare un filmettino di nicchia da un cult internazionale. Frangenti che vengono superati con sudore e successo grazie a un grande lavoro di squadra in cui tutti – anche chi ricopre un ruolo apparentemente piccolo – contribuiscono alla causa con entusiasmo. Mad Max è quindi un titolo che, oltre ai meriti artistici diventa anche manifesto motivazionale per i giovani filmmaker, un inno al credere nel proprio talento e nei propri mezzi a dispetto degli ostacoli da superare.

Hugh Keays-Byrne e Tim Burns in Mad Max (1979)Il film mette subito le cose in chiaro. A Max bastano 4 minuti per lasciare il segno, pochi gesti, una semplice vestizione, l’inquadratura che cade solo su alcuni particolari – gli occhiali, il volante, poco altro – non si vede nemmeno il volto eppure c’è già il protagonista saldamente al suo posto.

Poi piede a tavoletta sull’acceleratore, 12 minuti di corposo antipasto utile a definire quello che sarà il resto dalla pellicola, una lunga sequenza automobilistica infarcita di violenti inseguimenti, buoni vs. cattivi, stunt notevoli, adrenalina e pazzia. Che poi è la ricetta di quello che è Mad Max, un concentrato di follia, violenza, morte, asfalto e degrado.

Ambientato in un indefinito (e non troppo lontano) futuro distopico ma non ancora post-apocalittico, almeno non quanto lo sarà nel suo sequel – capolavoro, Interceptor – Il guerriero della strada del 1981, di cui questo primo capitolo costruisce solidissime fondamenta – in cui ci verranno fornite maggiori informazioni sulle ragioni di un contesto narrativo qui solo accennato. Prima importantissima tappa di un viaggio, lungo quattro film, in un futuro senza speranza, un futuro che sembra andare al contrario, in cui la società ed i suoi rappresentanti regrediscono, gradualmente di pellicola in pellicola, agli stadi più primitivi ed in cui violenza, vendetta e sopravvivenza sono gli unici aspetti che contano.

Protagonista è Max Rockatansky, poliziotto dal forte senso di giustizia, che in seguito a terribili drammi affettivi si trasforma in un vendicatore solitario e che nel corso della saga subirà, esattamente come il contesto, un profondo e graduale cambiamento. Interpretato alla grande da un altro semi-esordiente, un Mel Gibson arrivato al casting quasi per caso e lanciato – altro grosso merito di Interceptor – nel firmamento hollywoodiano. Giudicare la sua interpretazione adesso, conoscendo perfettamente il suo talento e la sua carriera, può apparire estremamente facile, ma pensando ad un giovane poco più che ventenne alle primissime esperienze recitative ci si può rendere conto della caratura dell’interprete.

george miller interceptor 1979 setRuoli chiave in questo mix vincente, forse anche prima dei personaggi, vengono ricoperti dalla strada e dal clima. Sarà sulla strada che vedremo svolgersi gran parte della storia, strada capace di condizionare il destino dei protagonisti, di decidere della vita o la morte, luogo testimone di un turbinio di emozioni che va dalla rabbia al dolore, dalla vendetta all’adrenalina. In questo senso risulta azzeccatissima la scelta delle locations naturali dell’entroterra australiano, chilometri e chilometri di strade polverose situate nel bel mezzo del nulla più assoluto. Il clima che si respira è malato, sporco e violento, teso, figlio di una situazione difficile di cui sarà impossibile non sentirsi partecipi.

Un clima capace di dare vita a scene disturbanti e coinvolgenti che non possono lasciare indifferente lo spettatore; penso, ad esempio, all’aggressione con tanto di stupro dei punk ai danni di una giovane coppia, l’agguato a Jim Goose (Steve Bisley) o, soprattutto, la sequenza in cui si decide il destino della famiglia di Max. Senza dimenticare la vendetta finale con tortura e dilemma sega / piede che sarà ripresa e omaggiata anni dopo in Saw – L’enigmista da James Wan e Leigh Whannell, connazionali di George Miller.

Emblema di questa depravazione in Mad Max sono i cattivoni di turno: una terribile banda di motociclisti punk, ben assortiti, che restano nella parte 24 ore al giorno inquietando il resto del cast e della crew; rozzi, primitivi, capaci delle efferatezze più atroci, trasmettono disagio ogni qual volta compaiono sullo schermo. Tra di loro spicca, chiaramente, il leader del gruppo Toecutter, interpretato con gusto perverso da Hugh Keays-Byrne – che verrà gratificato da George Miller con il ruolo di Immortan Joe in Mad Max: Fury Road, tassello di una spirale di vendetta di cui Max, suo malgrado, sarà sia punto di partenza che di arrivo. Nello scoppiettante prologo, infatti, Max provoca la morte di Night Rider, un folle tra i cui deliri si sentono frasi tratte da canzoni degli AC/DC, nonché compagno di merende di Toecutter, che a sua volta deciderà di rifarsi sugli affetti del poliziotto, l’uomo sbagliato con cui fare i conti.

Degni di nota anche i personaggi secondari: dall’esuberante Goose, l’amico e collega di Max, alla forte e combattiva Jessie Rockatansky (Joanne Samuel), moglie del nostro eroe, dal pittoresco Fifi (Roger Ward), capitano del distretto di polizia, al degenerato Johnny (Tim Burns), il prediletto di Toecutter tra le nuove leve della banda.

Mad Max (1979) interceptorIl frutto della commistione tra violenza e velocità sono gli stunt e gli incidenti automobilistici. Il regista mette in piedi una mirabolante serie di spettacolari inseguimenti, collisioni ed esplosioni che faranno scuola negli anni a venire. Diretti e coreografati magnificamente danno vita a indimenticabili sequenze adrenaliniche, per le quali bisogna menzionare (e applaudire) il team di matti composto da piloti e stuntmen, coordinati dallo spericolato Grant Page, che realizza in prima persona gran parte delle sequenze più pericolose nonostante le ferite e le fratture riportate in un incidente piuttosto serio accaduto nei primi giorni di riprese.

Si avverte una sensazione di folle genuinità, il pericolo è palpabile, è evidente che le riprese si sono svolte nell’incoscienza più assurda oltre che nel totale disprezzo delle norme di sicurezza che solitamente regolano questo tipo di scene. Questi fanno sul serio, si fanno male, rischiano di morire ed è un miracolo che non sia davvero morto qualcuno. Uno spirito che contagia il direttore della fotografia David Eggby che si mette in gioco in prima persona e realizza molte riprese in condizioni proibitive, sfrecciando con i piloti a bordo di moto o automobili. Veicoli che naturalmente la fanno da padrone, opportunamente modificati e manutenuti da tecnici e meccanici, dalle motociclette Kawasaki alle auto della polizia locale, fino ad arrivare al top rappresentato dalla mitica V8 Interceptor nera del protagonista, iconica quanto lui, progettata personalmente da Byron Kennedy.

Mel Gibson, Steve Bisley, Tim Burns e Kim Sullivan in Mad Max (1979)La regia di George Miller è eccellente, dinamica, funzionale alla storia, all’avanguardia, come dimostra anche il procedimento con cui è stata realizzata la pellicola – mediante l’utilizzo delle lenti Todd-AO 35 che Sam Peckinpah aveva utilizzato in Getaway! del 1972 – che permette l’effetto di dilatazione dello schermo.

Il montaggio è serrato, la tensione è scandita dall’accompagnamento musicale. Film capace di trasformarsi in corso d’opera, in Mad Max vengono mescolati elementi di vario genere, come gli scontri poliziotti / motociclisti che non sono altro che un aggiornamento dei duelli all’ultimo sangue tra cowboy e indiani, o ancora l’aria tesissima da thriller che si respira durante l’agguato alla famiglia Rockatansky.

George Miller sembra quasi realizzare del rock and roll visivo, con il suo talento visionario ed effettistico mescola sci-fi apocalittico, alta velocità ed inseguimenti automobilistici, violenza punk, gusto dell’eccesso, creando un film originale padre di tanti cloni futuri. Una pellicola cupa, pessimista, violenta, coinvolgente, adrenalinica. Una sfida ad altissima velocità e dal forte impatto visivo. Mad Max è un cult senza tempo. Che, ricapitolando: infrange record, presenta al mondo un regista che avrebbe meritato (e noi con lui) una carriera più prolifica, lancia una star come Mel Gibson, inaugura un saga amata nel tempo, prepara il terreno per un sequel che saprà addirittura essergli superiore, crea un modello di riferimento ed un filone cinematografico. Not Bad, Max.

Di seguito il trailer internazionale di Interceptor: