Voto: 8/10 Titolo originale: The Devil's Rejects , uscita: 22-07-2005. Budget: $7,000,000. Regista: Rob Zombie.
Dossier: La Casa del Diavolo di Rob Zombie, sulla strada per l’Inferno coi Firefly
10/11/2024 recensione film La casa del diavolo di Marco Tedesco
Nel 2005 il regista tornava sulle scene con un sequel brutale e ambiguamente complesso
A parte l’inquietante e incompreso Le streghe di Salem, La Casa del Diavolo (The Devil’s Rejects) è probabilmente il film più memorabile di Rob Zombie, un regista che ha saputo distinguersi per il suo stile crudo e controverso.
Questo sequel del film La Casa dei 1000 Corpi del 2003, anche se solo il suo secondo progetto cinematografico, è riuscito un paio di anni più tardi a consolidare la sua reputazione nel panorama horror internazionale.
Diversamente dal suo predecessore, caratterizzato da una narrazione frammentaria e quasi grottesca, La Casa del Diavolo rappresenta un’opera solida e brutale che rende omaggio ai film di exploitation degli anni Settanta, risultando sia un degno seguito sia un horror ‘indipendente’ che non necessita della visione del primo capitolo per essere apprezzato.
Se La Casa dei 1000 Corpi bilanciava ironia e orrore, spingendosi al limite della commedia nera, La Casa del Diavolo abbandona ogni traccia di leggerezza per esplorare toni più cupi e disturbanti. La posta in gioco è nettamente più alta: la famiglia Firefly, che nel 2003 poteva scatenarsi liberamente nel loro terrificante compound in Texas, è ora in fuga, con Mother Firefly (Leslie Easterbrook) rinchiusa in prigione.
Questa nuova condizione cambia così la dinamica della storia, trasformandola in un vero e proprio road movie. Rob Zombie stesso ha dichiarato che la sua intenzione era quella di dargli un’impronta più western che horror, e questo approccio conferisce al film una struttura più forte, mantenendo comunque intatta l’atmosfera di degrado e violenza.
Nonostante mantenga l’estetica anni Settanta – con colori saturi e un’atmosfera da polveroso west americano – La Casa del Diavolo vanta un notevole salto qualitativo nella produzione rispetto a La Casa dei 1000 Corpi, che invece si presentava visivamente caotico e disordinato. Ogni scena è attentamente costruita per immergere lo spettatore in un contesto di angoscia e tensione palpabile, sfruttando appieno un’estetica granulosa e solare che rafforza il senso di autenticità della storia.
Il vero cuore del film risiede però nei suoi personaggi principali, Otis (Bill Moseley), Baby (Sheri Moon) e Captain Spaulding (Sid Haig), la cui natura viene esplorata in profondità rispetto al primo capitolo.
Rob Zombie dedica ampio spazio a questi personaggi, consentendo al pubblico di conoscerli meglio e, in un certo senso, di sviluppare una sorta di legame con loro. La relazione centrale tra Otis e Baby è quasi una versione horror di Riff Raff e Magenta del The Rocky Horror Picture Show, con Baby che emerge come una figura magnetica e inquietante.
Rob Zombie sfrutta appieno il talento della moglie, che riesce a infondere nel personaggio una sensualità disturbante, un mix di attrazione e terrore che rende Baby una figura iconica.
Rispetto a La Casa dei 1000 Corpi, dove i Firefly erano presentati come psicopatici sanguinari e incomprensibili, in La Casa del Diavolo Zombie riesce a far scaturire un’empatia sorprendente verso di loro, costringendo gli spettatori a prendere le loro parti. Questa è una delle scelte più audaci del regista, poiché suggerisce che, nonostante siano i “mostri” della storia, i Firefly possano suscitare compassione.
Lo spettatore si trova così a provare un certo disagio morale, diviso tra la repulsione per la brutalità della famiglia e il senso di solidarietà contro il vero antagonista della storia, lo sceriffo Wydell (William Forsythe). Le scene di violenza poliziesca sono filmate in modo da far sentire gli spettatori vicini ai Firefly, suggerendo che il sistema di giustizia rappresentato da Wydell sia altrettanto crudele e malvagio, se non peggiore.
Il secondo atto del film, ambientato in un motel desolato, è un concentrato di tensione e crudeltà che lascia lo spettatore senza respiro. Otis e Baby prendono in ostaggio alcuni malcapitati, e la loro interazione è un crescendo di sadismo sia psicologico che fisico.
Tra le scene più disturbanti, vi è quella in cui Otis minaccia sessualmente una donna con una pistola, in una rappresentazione cruda e priva di filtri della loro malvagità. Tuttavia, Rob Zombie non scade mai nel mero esibizionismo: ogni gesto, ogni sguardo dei Firefly sembra orchestrato per ottenere il massimo impatto psicologico sui prigionieri, come quando Baby lascia una vittima appesa alla porta con il volto di un altro uomo morto cucito sulla testa, una visione spettrale che riflette la loro psiche perversa.
Una delle caratteristiche che rendono La Casa del Diavolo un cult tra i fan è la sua incredibile collezione di battute memorabili, in particolare quelle di Captain Spaulding. Ogni sua apparizione è intrisa di una carica caustica che fa di lui una delle figure più iconiche del cinema horror moderno.
Ma è Otis a rubare la scena, soprattutto con il suo monologo in cui si autodefinisce “il Diavolo” venuto a fare il lavoro del Diavolo. Questa frase, presa in prestito dalla Famiglia Manson, diventa emblematica del personaggio, che mescola un’eloquenza sinistra con una spietatezza senza limiti. Questa scena, sebbene non particolarmente sanguinosa, è tra le più forti del film, dimostrando come Rob Zombie sappia suscitare orrore attraverso il solo potere delle parole e della recitazione.
Il finale del film è forse l’elemento più audace di tutta la narrazione. Dopo quasi due ore di sangue e violenza, Zombie cambia registro, abbassando i toni e lasciando che la sequenza conclusiva si sviluppi in maniera lenta e metodica, sulle note del classico dei Lynyrd Skynyrd Free Bird.
Questo è un momento quasi onirico, che si distacca dalle sonorità heavy metal a cui Zombie ci ha abituato, per sorprendere con una malinconia inaspettata. La famiglia Firefly, ora ferita e allo stremo, si prepara a un ultimo scontro contro la polizia, consapevole che probabilmente non sopravviveranno. Eppure, anche se sappiamo che sono assassini crudeli, Zombie riesce a farci provare empatia per loro, lasciandoci quasi sperare in un miracolo.
Questa complessa ambiguità morale è il motivo per cui La Casa del Diavolo è stato inizialmente criticato e al tempo stesso amato da una nicchia di spettatori. Zombie gioca con le aspettative del pubblico, costringendoci a vedere i Firefly non solo come spietati assassini, ma anche come vittime di un sistema altrettanto corrotto e crudele.
La Casa del Diavolo si distingue così come uno dei migliori esempi di sequel ben realizzato, capace di superare il suo predecessore non solo in qualità, ma anche in profondità. Sebbene sia un film tecnicamente migliore di La Casa dei 1000 Corpi, senza il contesto e i personaggi introdotti in quel film, La Casa del Diavolo perderebbe parte del suo impatto emotivo.
A distanza di vent’anni dalla sua uscita, La Casa del Diavolo ha saputo resistere alla prova del tempo. In un anno ricco di film horror, tra cui The Descent, Saw II e Wolf Creek, è sorprendente vedere come questo film sia riuscito a ritagliarsi un posto speciale nel cuore dei fan del genere.
Molti di questi film sono invecchiati in modo diverso, ma nessuno ha saputo coltivare una base di fan così devota come quella di La Casa del Diavolo. Indipendentemente dalle opinioni personali su Rob Zombie, non si può negare che con questo film sia riuscito a creare un’opera che continua a essere ammirata e studiata, una lettera d’amore oscura, crudele e al contempo commovente ai fan del cinema horror e alla sua tradizione.
Di seguito trovate la scena finale di La Casa del Diavolo:
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