Voto: 7.5/10 Titolo originale: The King of Comedy , uscita: 18-12-1982. Budget: $19,000,000. Regista: Martin Scorsese.
Dossier | Re per una notte di Martin Scorsese: un’autobiografia mascherata da film
25/11/2019 recensione film Re per una notte di William Maga
Esploriamo, anche attraverso le parole del regista, l'opera del 1983 con la 'strana coppia' Robert De Niro e Jerry Lewis, una riflessione sull'ossessione americana per la celebrità, clamoroso flop all'epoca
Il clamore suscitato da Joker di Todd Pihillips (la recensione) ha, di riflesso, riportato all’attenzione di pubblico e critica alcuni classici firmati da Martin Scorsese, come Re per una notte (The king of comedy). Dopo mesi e mesi di ‘silenzio-stampa’, l’ultima fatica del regista newyorkese con protagonisti Robert De Niro e Jerry Lewis arrivava nei nei cinema americani gli inizi del 1983 (sarebbe stato presentato anche al Festival di Cannes). All’epoca, da tempo giravano per Hollywood sorpresa e incredulità, unite a una certa ansiosa attesa, sulla riuscita di una così ‘strana coppia’: l’esplosivo Jerry Lewis, uno dei veri re della commedia americana, e l’iperrealista Robert De Niro, l’introverso, il duro di Taxi Driver, di Toro scatenato, del Il Padrino – Parte II. E Re per una notte non deluse le aspettative, poichè, come giustamente scrisse il Los Angeles Times ‘Scorsese è incapace di fare un film noioso e prevedibile‘.
Scritto dall’ex critico del Newsweek Paul Zimmerman, il film è la storia di un giovane comico ambizioso (De Niro) che rapisce un famoso personaggio televisivo (Lewis) per ottenere in cambio dieci minuti di ripresa diretta televisiva. Re per una notte è in singolare contrasto con gli sfondi di violenza e alienazione dipinti da Martin Scorsese in quasi tutte le sue opere precedenti (da Mean Streets a Toro scatenato); ma, sotto parecchi punti di vista, è forse l’opera più vicina alle sue fantasie sul mondo dello spettacolo che lo circondava.
Ci sono voluti anni per portare Re per una notte sugli schermi. La sceneggiatura di Zimmerman, ad esempio, passò per le mani di Milos Forman e Michael Cimino prima di approdare, grazie all’intervento di Robert De Niro, in quelle di Scorsese. Quando quest’ultimo la lesse, già nel 1974 — durante le riprese di Alice non abita più qui —, non ne fu affatto interessato. Ma dopo Taxi driver, New York New York e Toro scatenato, il regista italoamericano la riprese in mano e cominciò a rifletterci sopra.
In una intervista al New York Times disse:
Posso identificarmi con Rupert Pupkin (il personaggio interpretato di De Niro). È così che feci il mio primo film, senza soldi e umiliato da cento rifiuti. Fino a quando finalmente riuscii ad avere un colpo di fortuna. In realtà la fortuna non c’entra molto. Quello che ci vuole è la costanza di sferrare continui colpi a questo monolito che è il mondo dello spettacolo. Pupkin lo fa nel modo sbagliato, ma ha il tipo di ambizione necessaria. Mi ricordo che anch’io avrei fatto qualunque cosa, sarei andato in qualunque posto, a qualunque proiezione, a qualunque incontro à la page pur di poter parlare dei miei progetti. Dopo tutto, quando sei in mezzo a 40-50 persone, fra di loro, magari, c’è proprio la persona che produrrà il tuo primo film.
Martin Scorsese vede in Rupert l’outsider affamato di luci della ribalta, una caratteristica tipica di quasi ogni suo personaggio, Johnny Boy in Mean Streets, Alice Hyatt in Alice non abita più qui, Travis Bickle in Taxi Driver, Jimmy Doyle in New York New York e Jack La Motta in Toro scatenato. Alcuni critici hanno visto in Re per una notte una sorta di commento all’ossessione americana per la celebrità, ossessione che, unita a una specie di meccanismo autodistruttivo, è la chiave per l’effimero successo o il crollo disastroso dei personaggi del filmmaker. Ma in parte, come osservava un critico dell’American Film, in Re per una notte c’è anche, forse, un’identificazione di Martin Scorsese con il personaggio di Jerry Langford (Lewis). proprio come lui , infatti, ammetteva che la fama l’aveva portato a un certo isolamento:
Il successo influisce sul tuo comportamento sociale. Negli ultimi tre o quattro anni ho tagliato fuori dalla mia vita un sacco di gente, in genere hanno tutti bisogno di qualcosa e pensano che tu gliela possa dare, ma non puoi. Devi stare molto, molto attento. Da un certo punto di vista è bello essere al centro dell’attenzione, ma c’è sempre il pericolo che possa alterare la tua percezione della realtà.
A 40 anni, Martin Scorsese non faceva misteri di dedicare tutte le proprie energie al cinema. Circondato, a casa e in ufficio, da scaffali pieni di libri sul cinema, film, videocassette e premi appesi al muro, era già allora uno dei registi pia rispettati d’America. Figlio di una famiglia di operai, crebbe a Little Italy, il quartiere italiano di New York, isolato dai suoi coetanei per via dell’asma e di un fisico gracile. Passava tutti i suoi momenti liberi al cinema e i film entrarono così a far parte del suo mondo di fantasie.
Laureatosi nel 1968 in cinema all’università di New York, Scorsese montò documentari e spot pubblicitari fino al 1973, anno in cui il suo terzo film, Mean Streets, girato in soli 27 giorni con 650 mila dollari, venne acclamato dalla critica al New York Film Festival e lo affermò come uno dei più promettenti registi americani. Da quel momento cominciò a toccare in tutti i suoi film il cuore della vita americana vissuta ai margini, il fascino e te delusioni del sogno americano, le storie di emarginati in una città spaccata dall’alienazione e dalla violenza. Dopo New York New York passò un periodo in cui si convinse che la sua storia d’amore col mondo del cinema era finita; ma poi venne Toro scatenato, girata in bianco e nero con uno stile che si faceva sempre più semplice e documentaristico.
In Re per una notte, spiegava il regista “la staticità della macchina da presa rappresenta uno sforzo di ancora maggiore semplificazione“. La stessa che Martin Scorse cercò di introdurre nella propria vita, isolandosi dalla maggior parte degli amici e colleghi dei suoi primi anni nel cinema.
Le cose si sono mollo calmate per me. A volte magari posso anche soffrire di noia e solitudine, ma è meglio per me come persona e per il mio lavoro.
In fondo, sia Rupert che Jerry dimostrano in Re per una notte che la solitudine può esistere sia agli alti gradini della fama che in basso, e il conflitto del film rappresenta forse proprio le contraddizioni di Martin Scorsese stesso, da una parte l’ex ‘recluso’ appassionato di cinema, dall’altra il regista di successo, quasi frustrato da una fama che non gli permette di fare un film nel modo più economico e semplice che vorrebbe.
Svelava:
In Re per una notte volevo vedere cosa significa avere tanta voglia di una cosa da essere disposto ad uccidere per ottenerla. Non per forza nel senso fisico della parola ma, per esempio, nel senso di uccidere lo spirito, distruggere rapporti, uccidere insomma tutto quello che ti circonda pur di ottenere quanto cerchi. Questo tipo di ambizione ha effetto sui tuoi rapporti personali e per me, per anni, la verità era che se dovevo fare una scelta tra il lavoro e il rapporto, il rapporto personale andava al diavolo. Però non ho nessun rimpianto.
Martin Scorsese si riferiva probabilmente ai tre matrimoni falliti nell’inseguimento della sua carriera, ultimo dei quali con Isabella Rossellini.
In ogni caso, Re per una notte si rivelò un clamoroso fiasco al botteghino (costato 20 milioni, aprì con soli 137.000 dollari in patria, chiudendo a circa 2.5 milioni complessivi), tale da spingere il regista a doversi appoggiare ad una produzione indipendente per il successivo Fuori Orario. Ma il tempo è galantuomo, si sa.
Di seguito il trailer internazionale di Re per una notte:
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