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Voto: 7/10 Titolo originale: Speed , uscita: 09-06-1994. Budget: $30,000,000. Regista: Jan de Bont.

Dossier: Speed, 25 anni a tutta velocità con Keanu Reeves e Sandra Bullock

01/07/2019 recensione film di Francesco Chello

Riscopriamo l'action diretto da Jan de Bont, che nel 1994 ridefiniva il concetto di adrenalina e di corsa contro il tempo sul grande schermo

Sandra Bullock e Keanu Reeves in Speed (1994)

Per quanto mi riguarda, la saga di John Wick è stata una manna dal cielo. Una delle cose migliori che potessero capitare al cinema d’azione occidentale contemporaneo. In breve tempo, il personaggio di John Wick si è conquistato il suo posto iconico al fianco di characters come John Rambo, John McClane o John Matrix (nota per Siri: ricordami di regalare il libro dei nomi propri di persona agli sceneggiatori di Hollywood).

Di conseguenza, il nome di Keanu Reeves è stato rimarcato a fuoco nella Hall of Fame del cinema action. E sottolineo rimarcato, perché se John Wick ha aiutato gli scettici o i più giovani a stendergli un meritatissimo tappeto rosso, per quelli come me quel posto era già suo fin dagli anni ’90 garantitogli da bombe come Point Break e Speed, con la bellezza della trilogia wickiana che ha rafforzato il concetto rendendolo praticamente unanime. E non cito Matrix che per quanto pregno d’azione appartiene evidentemente ad altri territori, mentre il mio discorso verte sull’action puro – e no, i pullman volanti non fanno di Speed un fantasy.

speed film poster 1994Ed è proprio Speed l’argomento del giorno. Uscito nelle sale americane il 10 giugno 1994, ha spento da pochi giorni le 25 candeline. Una ricorrenza che ci offre lo spunto per una chiacchierata su uno degli action di rilievo di quella decade (e non solo).

Un film quello diretto da Jan de Bont che ridefinisce il concetto di adrenalina, di corsa contro il tempo, e rielabora il discorso di velocità automobilistica sullo schermo. Niente auto da corsa o inseguimenti, ma un grosso e pesantissimo bus che sfreccia su strade trafficate guidato da una donna, con una buona parte della vicenda che si svolge all’interno del mezzo che diventa ambientazione itinerante.

Citando Homer Simpson (nella sua versione italiana), il lungometraggio parte speedito e praticamente non si ferma mai. Il prologo è deciso, non c’è tempo per preamboli, le introduzioni avvengono a situazioni già innescate. Titoli di testa col main theme che accompagna un’ascensore, una situazione (quella dell’ascensore, appunto) alla quale Jan de Bont aveva pensato durante la lavorazione di Die Hard, di cui aveva curato la fotografia.

Nei suoi primi secondi in scena Dennis Hopper infilza al cranio un addetto alla sicurezza, una bomba tiene sotto scacco un manipoli di ostaggi, i buoni (Keanu Reeves e Jeff Daniels) arrivano sul posto con un’auto praticamente in volo. Insomma, un quadro esplicito fin da subito.

Il titolo viene preso alla lettera e da quel momento in poi Speed non si concede pause, il ritmo si mantiene elevatissimo, come se alla pari del suo bus non potesse scendere al di sotto di una certa velocità. Un crescendo, dal primo pullman esploso all’inseguimento in autostrada con assalto alla diligenza da parte del protagonista. L’inizio della macro vicenda sull’autobus, una situazione che, alla lunga, potrebbe rischiare di diventare ripetitiva e che invece viene gestita con intelligenza e si rinfresca strada facendo a botte di momenti clou.

Una lunga corsa che il regista olandese è bravo a scandire come il ticchettio di una bomba, crea la giusta tensione di scena in scena, ognuna col suo picco di adrenalina, una serie di prove che il protagonista ed i suoi compagni di sventura dovranno superare per sopravvivere. Aspetto che si rivela tra i punti di forza di Speed, un numero corposo di sequenze avvincenti che non danno il tempo di annoiarsi.

Keanu Reeves, Jeff Daniels e Joe Morton in Speed (1994)Per dirne una eclatante, dopo un’oretta – in un frangente che idealmente potrebbe essere considerato come la fine del primo tempo – anziché rifiatare ecco che Speed piazza una delle sue scene più famose ed universalmente riconosciute. Parlo naturalmente del volo dell’autobus, una sequenza pensata dallo stesso Jan de Bont a cui si era accesa la lampadina mentre era alla guida e aveva notato uno svincolo autostradale incompleto, chiedendo poi a Graham Yost di inserirla nella sceneggiatura.

Sceneggiatura per la quale Yost – che negli anni ’90 firmerà anche Nome in Codice: Broken Harrow e Pioggia infernale – pare abbia preso ispirazione guardando A 30 secondi dalla fine del 1985, a sua volta nato da un soggetto di Akira Kurosawa. Anche se l’idea della bomba legata al contachilometri ricorda maggiormente Bullet Train, film giapponese del 1975.

Il ‘colpo di genio’ arriva poi alla fine, quando ci si rende conto che le potenzialità narrative del pullman sono esaurite e per evitare a quel punto di ripetersi ci si sposta in metropolitana, conservando quel filo conduttore rappresentato da velocità e distruzione ma cambiando semplicemente contesto. L’inarrestabile treno che spunta per strada tra auto e passanti è il modo migliore per portare la corsa a destinazione, per chiudere poi con Billy Idol che sui titoli di coda canta l’omonima Speed, composta appositamente per la colonna sonora. Un film che fa della spettacolarizzazione uno dei suoi ingredienti principali a cui, giocoforza, contribuisce un numero notevole di stunt – oltre che una dozzina di autobus impiegati per le riprese e finiti tutti più o meno distrutti.

La regia di Jan de Bont si rivela quindi determinante. L’olandese piazza sempre la camera al punto giusto, ti fa vivere l’azione dall’interno, non mancando di interessanti soluzioni visive. Un esordio alla regia di quelli ‘col botto’ per lui, che alle spalle aveva una lunga carriera da direttore della fotografia; arriva a Hollywood con l’amico e connazionale Paul Verhoeven, lavora poi anche con nomi del calibro di Ridley Scott, Joel Schumacher, Richard Donner e John McTiernan.

Quest’ultimo, in particolare, è il motivo che in qualche modo porta Jan de Bont alla sua prima regia; i due hanno infatti lavorato insieme in occasione di Caccia a Ottobre Rosso nel 1990 e, soprattutto, di quella pietra miliare che risponde al nome di Trappola di Cristallo del 1988; il regista newyorkese era la prima scelta per la direzione di Speed, offerta che John McTiernan declina suggerendo – dopo vari sondaggi della produzione (tra cui Renny Harlin e un giovane Quentin Tarantino) – quella che in un certo senso appare come una scelta naturale, ovvero affidarsi a chi aveva curato la fotografia di quel Die Hard che viene preso come punto di riferimento e di cui Speed rappresenta una sorta di successore spirituale che poi ha avuto l’intelligenza di prendere altre strade.

Dennis Hopper in Speed (1994)Una prima volta scoppiettante, dicevo, per Jan de Bont, che finisce per rappresentare il picco di una carriera registica composta da soli cinque film – per certi versi mi viene in mente Simon West (background differenti e lui dirige ancora però), il quale non ha mai più raggiunto le vette di Con Air (1997), suo primo lungometraggio e altro esempio importante di film d’azione roboante di quel periodo, e che tra l’altro, proprio come Jan de Bont, più tardi ha diretto un capitolo di Tomb Raider, che non ha lasciato il segno.

Il paradosso è che se il successo clamoroso di Speed aveva lanciato la nuova carriera di Jan de Bont, il fallimento di un altro Speed l’ha affossata; dopo l’ottimo risultato commerciale di Twister, il suo secondo film, il regista olandese se la sentì così forte da decidere di lanciarsi (co-firmando anche la sceneggiatura) nel sequel del suo film di punta, nonostante uno scetticismo generale che spinse (saggiamente) Keanu Reeves a non tornare nel ruolo da protagonista. Speed 2 – Senza Limiti – uscito nel 1997 – sarà infatti un disastro e un flop commerciale (solo 48 milioni di dollari incassati negli Stati Uniti a fronte di un budget di 160 milioni) oltre che un macigno per la carriera futura del buon Jan.

A Jan De Bont si deve anche la scelta vincente di Keanu Reeves protagonista, dopo esser stato colpito positivamente da Point Break – Punto di Rottura del 1991, da quel personaggio tosto ma vulnerabile, caratteristiche che per certi versi (anche se in modo diverso) servivano anche per il ruolo di Jack Traven – cognome che Graham Yost prende, per omaggiarlo, dall’autore de Il tesoro della Sierra Madre di John Houston. Nella sua fase embrionale, lo script sembra sia stato proposto alla Paramount come il primo di tre progetti di un accordo multi-film (non andato in porto) che avrebbero avuto per protagonista Jeff Speakman (Arma Perfetta).

Successivamente, la sceneggiatura passa nelle mani della Fox, che tra le prime opzioni per il lead role pensa a Stephen Baldwin (Nato il quattro luglio), che tuttavia rifiuta per il timore di un accostamento troppo forte al Die Hard di cui sopra (ora, non me ne voglia il piccolo Baldwin, ma noi ringraziamo questa sua scelta scellerata, mentre lui immagino si stia ancora schiaffeggiando a due mani …).

Keanu Reeves e Jan de Bont in Speed (1994)In ogni caso, dopo vari nomi e sondaggi (anche di un certo peso) si arriva, quindi, al 30enne Keanu Reeves, inizialmente poco convinto ad accettare per le stesse ragioni del collega, ovvero alcuni richiami troppo evidenti al capolavoro di John McTiernan. Motivo per il quale lo staff produttivo, con Jan de Bont in testa, chiama Joss Whedon (che per qualche motivo non viene accreditato dalla Writers Guild of America …) chiedendogli di rivedere lo script di Graham Yost per Speed; Whedon rielabora alcuni personaggi, la loro caratterizzazione e in particolar modo buona parte dei dialoghi, in modo da discostarsi maggiormente da quel tipo di ironia che era giusto restasse proprietà di John McClane.

A questo punto Keanu Reeves non solo accetta con entusiasmo, ma ci si lancia con quella incredibile dedizione che lo accompagnerà nel corso della sua carriera, si presenta tirato a lucido dopo un’intensa preparazione fisica (ed un addestramento con veri membri della S.W.A.T.) e realizza personalmente il 90% dei suoi stunt, alcuni piuttosto impegnativi e / o pericolosi – che non so voi, ma per me resta una componente fondamentale (e da sottolineare con stima) per un attore d’azione.

Dopo il no di Halle Berry per la controparte femminile, si pensava di cambiare le caratteristiche della donna da affiancare a Keanu Reeves, optando per qualcuno che facesse da vera e propria spalla comica (non a caso, l’idea era Ellen DeGeneres). L’ingaggio indovinato di Sandra Bullock riporta comunque per fortuna il personaggio su binari più seri (ma non seriosi) – e anche questo è merito della revisione di Joss Whedon – una ragazza della porta accanto, a volte apparentemente svampita, altre dannatamente risoluta. Una spalla che si infila con garbo nella storia senza togliere spazio al protagonista ma, anzi, supportandolo nel modo adeguato. Lo stesso garbo con cui viene piazzato quel tocco di romance, che da un lato contribuisce ad allargare il pubblico fruitore di Speed e dall’altro risulta tollerabile anche per quelli dal cuore più ‘duro’ – insomma, il bacio finale a quel punto ci stava, dai!

Lo stesso anno di uscita di Scemo e più Scemo (a dimostrazione della sua poliedricità), Jeff Daniels interpreta il partner esperto, quella sorta di fratello maggiore utile allo sviluppo del protagonista, un po’ come il Pappas di Gary Busey in Point Break, con cui condivide un destino necessario per veicolare uno dei momenti di maggiore emotività del film. Ultimo (ma non meno importante) tassello da incastrare al posto giusto è il villain dell’espertissimo Dennis Hopper; il suo psicopatico bombarolo è bastardo nel midollo, una follia che l’attore riesce con bravura a contenere in una zona di credibilità, senza cadere nella tentazione del cattivone caricaturale.

Il cast corale di passeggeri del bus è infine funzionale alla trama, le dinamiche interpersonali sono utili a tirare il fiato e rendere la storia più scorrevole. Certo, alcuni dei personaggi meriterebbero l’esplosione della bomba dopo 20 minuti, ma nel complesso il gruppo è ben assortito, da un Alan Rack insopportabile turista al Carlos Carrasco coriaceo operaio. Speed porterà a casa diversi premi tecnici, tra cui due premi Oscar (su tre nomination) per il Miglior sonoro e il Miglior montaggio sonoro, ma le soddisfazioni più grandi le riserva il pubblico, che ne decreta il successo fragoroso al botteghino.

A fronte di un budget di 30 milioni di dollari, Speed incassa infatti la bellezza di 350 milioni in tutto il mondo. Un pubblico che 25 anni dopo sa ancora apprezzare l’opera di Jan de Bont, un quarto di secolo ben portato da un lungometraggio che ancor’oggi esprime a ogni visione il suo intero potenziale adrenalinico. Una corsa sul bus 2525 la si concede sempre volentieri, col piacere spericolato di non scendere mai sotto le 50 miglia orarie ovviamente!

Di seguito il trailer internazionale di Speed: