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Voto: 7.5/10 Titolo originale: Teenage Mutant Ninja Turtles , uscita: 30-03-1990. Budget: $13,500,000. Regista: Steve Barron.

Dossier | Tartarughe Ninja alla Riscossa di Steve Barron: 30 anni di pizza e cowabunga!

03/04/2020 recensione film di Francesco Chello

Celebriamo l'anniversario del film ripercorrendo la lavorazione della prima (e tuttora migliore) trasposizione cinematografica del celebre franchise scaturito dal fumetto indipendente di Kevin Eastman e Peter Laird

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990)

Il 30 marzo del 1990, Tartarughe Ninja alla Riscossa (Teenage Mutant Ninja Turtles) esordiva nella sale statunitensi. Nel corso dello stesso anno giungerà in molti altri paesi tra cui il nostro, dove arriva il primo dicembre. Trent’anni per questo piccolo cult, un anniversario da celebrare con una pizza e un approfondimento.

Il film fu una specie di evento per quelli della mia generazione, uno di quei titoli che avevamo in VHS per poterlo rivedere più volte. Le Tartarughe Ninja ‘prendevano vita’, il live action era una sorta di passaggio alla realtà per una serie animata che tutti amavamo. Una serie, quella televisiva del 1987 (arrivata in Italia nel 1989), che in combo a una fantastica linea di giocattoli aveva pompato hype nelle vene di migliaia di ragazzini in tutto il mondo. Un franchise che in qualche modo stava raccogliendo l’eredità di quello dei Masters of the Universe, per quanto diversi per genere e impostazione ma accomunati dall’idea di un mondo ed una mitologia capace di fare presa su intere generazioni di giovani, non a caso si tratta di saghe amate ancora oggi – anche, se non soprattutto, da quei ragazzini che nel frattempo sono diventati adulti.

Tartarughe Ninja alla Riscossa film posterMa facciamo un passo indietro e diamo uno sguardo alle origini del fenomeno. Tutto inizia il 5 maggio del 1984 quando viene pubblicata la prima storia a fumetti delle Teenage Mutant Ninja Turtles, un quasi sconosciuto comic book indipendente firmato da Kevin Eastman e Peter Laird. I due fondano una loro casa editrice, la Mirage Studios – nel senso proprio letterale del termine ‘miraggio’, considerando che il tutto avveniva nel loro appartamento. Con un budget di 1.200 dollari ed una tipografia di fortuna, i due autofinanziano un primo numero uscito in 3.000 copie che vanno praticamente a ruba. Il prodotto aveva atmosfere e tono decisamente diversi dalla reputazione mainstream che porterà al successo la serie animata tre anni dopo.

Ispirandosi a Frank Miller (dal suo Daredevil a Ronin) ma non solo (vedi New Mutants), Eastman e Laird scrivono una storia di guerrieri ninja, misticismo e arti marziali, mescolandola con elementi fantascientifici; l’intuizione bizzarra che si rivelerà geniale è quella di rendere quei ninja delle tartarughe mutanti antropomorfe – attraverso lo stesso liquido radioattivo ‘responsabile’ dei poteri di Matt Murdock, che non viene menzionato per motivi di copyright – e dargli il nome di quattro protagonisti del Rinascimento italiano: Leonardo, Raffaello, Michelangelo e Donatello.

Il tono è dark, lo humour è nero, la serie non lesina in combattimenti, violenza e morte. I protagonisti se la vedono con criminali, signori del male come Shredder, con i ninja del Clan del Piede (che omaggia chiaramente La Mano daredeviliana) ma anche con mutanti, robot, invasioni aliene e viaggi interdimensionali. Un repertorio ghiotto che nel 1987 attira l’attenzione della Playmates Toys, una piccola ma ambiziosa (e, col senno di poi, lungimirante) azienda di giocattoli decisa a scalare posizioni sul mercato delle action figures per ragazzini, seguendo il modello della Mattel di quei MOTU già menzionati in precedenza. Per lanciare la toyline il passo naturale è quello di una serie animata che possa veicolare l’aggancio ai ragazzini. Come accennato in precedenza, il cartoon stravolge completamente la fonte originale, da cui preleva solo alcuni elementi come i protagonisti e le armi che utilizzano, altri personaggi (da Splinter a Shredder, cambiando i particolari di molti di loro, come April O’Neil), parte delle origini e della mitologia.

Il target di giovanissimi porta inevitabilmente a una ripulita totale di temi e linguaggio, in favore di toni leggerissimi, umorismo necessariamente infantile, personaggi allegri, buffi e colorati, cattivoni goffi e impacciati, slogan come ‘Heroes in half-shell’ e ‘Turtle Power’; le gag non si contano, i combattimenti diventano amichevoli scazzottate, con i soldati del clan del piede trasformati opportunamente in robot in modo da poter ‘morire’ senza creare traumi infantili. Una serie a cui siamo (e restiamo) legati da un legame affettivo e nostalgico che resta assolutamente tale, ma che magari rivedendola da adulti mostra i suoi limiti legati al pubblico (e periodo) di riferimento – cosa che, ad esempio, non succede con le bellissime serie animate del 2003 e del 2012, assolutamente accessibili anche per un pubblico di fan più cresciuti.

Il cartone animato delle Tartarughe Ninja alla Riscossa riesce comunque ad introdurre alcuni elementi in un franchise che negli anni avrà il merito di assorbire caratteristiche dalle sue varie incarnazioni aggiornando la propria mitologia. Basti citare, per dirne un paio, l’idea delle bandane colorate (nel fumetto erano rosse per tutti e quattro) o l’amore per la pizza. Il successo è planetario, i ragazzini impazziscono, non solo giocattoli (che segnano numeri da record), ma merchandising di ogni tipo e per tutti i gusti.

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990) splinterArriviamo così al nostro argomento del giorno. Lo step successivo è quasi obbligato, le nostre amiche Tartarughe devono arrivare al cinema. La prima (e tuttora migliore) trasposizione cinematografica centra pienamente il suo bersaglio, per un film che cerca un equilibrio tra serie e fumetto, risultando tuttora divertente. Il progetto live action si concretizza e lo fa in modo quasi anomalo, forse impensabile per le dinamiche produttive/commerciali attuali. Ovvero senza coinvolgere una major e compiendo la scelta coraggiosa di non riproporre in toto la serie animata ma, anzi, ricorrere (e rendere omaggio) a quel fumetto che era meno conosciuto dal grande pubblico, al fine di rendere il prodotto maggiormente intrigante per più tipologie di spettatori.

Tartarughe Ninja alla Riscossa è, infatti, una produzione indipendente targata, tra gli altri, Golden Harvest e Limelight Entertainment, nessuno studio importante si era fatto avanti sia per produrlo che per quanto riguarda la distribuzione di cui finirà per occuparsi l’emergente (e sveglia) New Line Cinema; il motivo di questa freddezza (e timore) da parte di produttori di un certo livello era dovuto al flop clamoroso del film I Dominatori dell’Universo (sempre loro) – apro parentesi, un progetto nato e concepito male, che non sfruttava l’incredibile materiale a disposizione su cui è assurdo che, ancora oggi, nessuno si sia deciso a puntare come si converrebbe.

Dopo aver valutato vari nomi tra cui quello di Russell Mulcahy, alla regia viene scelto Steve Barron (anche per la sua esperienza su The Storyteller, la serie tv creata da Jim Henson), che da giovane si era fatto le ossa come assistente sul set di film come I Duellanti di Ridley Scott e Superman di Richard Donner, per poi iniziare una brillante carriera come regista di videoclip musicali per artisti del calibro di Madonna, Michael Jackson, Fleetwood Mac, Simple Minds, Bryan Adams, Dire Straits, ZZ Top, David Bowie, Paul McCartney ed altri ancora. Barron accetta l’incarico di buon grado in quanto fan del fumetto originale che resta il suo punto di riferimento, al regista va riconosciuto il merito di aver dato l’input affinché a quella che teoricamente era la fonte (più o meno) ufficiale rappresentata dalla serie animata venissero mescolati elementi del comic book di Kevin Eastman e Peter Laird, arrivando persino a consultare i due autori – con Eastman che viene coinvolto anche in un cameo.

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990) saitoSe il target principale di Tartarughe Ninja alla Riscossa restava chiaramente (e giustamente) quello dei giovanissimi fan del cartone animato, la scelta di Steve Barron si rivela determinante per rendere il prodotto piacevolmente accessibile anche agli adulti che dovevano accompagnare quei ragazzini al cinema o noleggiare con loro una videocassetta, una fascia (di spettatori) allargata che può apprezzare il film ancora oggi. Una scelta che porterà il regista a scontrarsi spesso con la produzione fino al punto di essere allontanato prima di portare a termine il film – almeno stando a quanto dichiarato anni dopo da Josh Pais, l’interprete di Raffaello – per il timore che stesse diventando eccessivamente dark rispetto alle aspettative dei produttori.

Alcune sequenze vennero ritoccate in post produzione, come quella in cui Tatsu colpisce uno dei ragazzi che nella versione originale (ancora presente nel cut distribuito in Francia) vedeva la morte di quest’ultimo, poi rettificata dagli effetti sonori del respiro del giovane e delle battute dei compagni che gli dicono che starà bene. Al montaggio anche Sally Menke, poi collaboratrice di Quentin Tarantino, da Le Iene a Bastardi Senza Gloria, prima della sua scomparsa nel 2010.

Il tono generale resta leggero, divertente, ma non demenziale o marcatamente infantile. Le tartarughe hanno la battuta pronta. Dal cartoon vengono confermati alcuni particolari divenuti già iconici, come i colori delle bandane o la passione per la pizza. La stessa April è una giornalista, mentre nel fumetto era un’assistente di laboratorio. Ma proprio dal fumetto viene ripresa la New York sudicia e malfamata che insieme all’ambientazione notturna rende il contesto più maturo e suggestivo; e ancora, vengono ripristinate le origini di Splinter (che non è più il maestro Hamato Yoshi come nel cartone, bensì il suo topo ‘da compagnia’), la cattiveria di Shredder, l’incontro tra Casey Jones e Raffaello, il ferimento di una delle tartarughe (nel fumetto era Leonardo, nel film Raffaello), la fuga in campagna nella vecchia casa di April, il ritorno in città per lo scontro finale (con epilogo e scena di morte inclusi). Non mancano i combattimenti, certo non possono spingere troppo su una violenza cruda ed esplicita, ma offrono l’occasione per vedere le tartarughe in azione ed allo stesso tempo intrattenere con una buona dose di botte, capriole assortite e nemici messi al tappeto.

Ma veniamo a una delle chiavi del successo del film: le nostre amate Tartarughe Ninja. La loro realizzazione è fenomenale, un tocco fumettoso che genera fascino e non provoca mai ilarità, capace di alimentare quella sospensione dell’incredulità utile a rendere in qualche modo ‘credibile’ la resa sullo schermo. Un look efficacissimo ancora oggi, a differenza ad esempio di quanto visto nel reboot del 2014 (e del suo sequel) in cui anni di tecnologia hanno portato a sbagliare la cosa principale: l’aspetto degli eroi protagonisti. Il merito è del talento e della creatività di Jim Henson – il leggendario papà dei Muppet (ma non solo) – e del suo team del Creature Shop di Londra, che ha completato l’opera in 18 settimane.

Henson che, morirà un mese e mezzo dopo l’uscita del film, definirà le sue Tartarughe come le creature più avanzate a cui avesse mai lavorato, mentre il film gli farà storcere il naso dichiarandosi contrariato dal livello di violenza. Gli attori di Tartarughe Ninja alla Riscossa indossano dei grandiosi costumi in gommapiuma le cui maschere contengono un teschio meccanico capace di riprodurre un incredibile campionario di espressioni facciali, alimentati da batterie nascosti negli enormi gusci. Se siete patiti (e collezionisti) di action figures vi invito a dare un’occhiata ai bellissimi modelli della Neca, specie nella loro versione in scala 1/4. Menzione a parte per Splinter che invece è realizzato completamente con animatronic dai movimenti così fluidi e ben studiati da farti dimenticare non sia umano, con ben tre puppeteers addetti al suo funzionamento (uno per il corpo, un altro per le espressioni facciali ed un terzo per i movimenti degli arti).

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990) il piedeGli attori / stuntmen all’interno dei costumi fanno un lavoro egregio per gestualità e movimenti, mostrano quasi naturalezza a differenza di ciò che si potrebbe aspettare da una situazione del genere; si muovono, corrono e combattono con una certa agilità, nonostante il lavoraccio di dover performare con tutta quella roba addosso. Dove non arrivano gli interpreti subentra l’aiuto della regia, per mascherare le difficoltà o la lentezza di certi movimenti, alcune sequenze di dialogo vennero girate a 23 fotogrammi al secondo per poi apparire più nitide una volta riprodotte alla normale velocità di 24 fps; per lo stesso motivo, le sequenze di combattimento vennero girate a 22 o 23 fotogrammi al secondo.

Ognuno dei quattro interpreti viene omaggiato con un cameo in un ruolo minore in cui poter mostrare le proprie sembianze umane: John Pais (Raffaello) è l’uomo nel taxi, Michelan Sisti (Michelangelo) interpreta il fattorino delle pizze mentre David Forman (Leonardo) e Leif Tilden (Donatello) compaiono nel Clan del Piede, rispettivamente come membro e come messaggero. John Pais, che soffriva di claustrofobia e ad ogni ciak si sfilava repentinamente la maschera, è l’unico del quartetto che da voce al proprio personaggio, per gli altri si ricorre al doppiaggio con Corey Feldman che (per soli 1.500 dollari) doppia Donatello, ritornando poi al franchise nel 2012 come doppiatore di Slash nella serie animata di quel periodo, la stessa in cui Mondo Gecko aveva la voce di quel Robbie Rist che in Tartarughe Ninja alla Riscossa era il doppiatore di Michelangelo.

Dopo aver sondato senza successo Jennifer Beals, Marisa Tomei, Sandra Bullock, Nicole Kidman, Melanie Griffith, Sean Young, Lorraine Bracco, Winona Ryder e Brooke Shields, viene ingaggiata Judith Hoag nel ruolo di April O’Neil, la storica amica umana delle Tartarughe Ninja, che mostra anche una certa somiglianza con la sua controparte animata (indossando, in una scena, un impermeabile giallo per omaggiarne la famosa tuta dello stesso colore); l’attrice ha potuto avvalersi dei preziosi consigli sul personaggio da parte di Robin Williams (con cui aveva recitato in Cadillac Man, mentre Tartarughe Ninja alla Riscossa era in pre-produzione), fan del franchise e possessore dei fumetti. Nonostante la buona performance (apprezzata ancora oggi dai fan), alla Hoag non venne chiesto di riprendere il ruolo nei sequel (sostituita da Paige Turco) a causa di alcune sue lamentele espresse durante la lavorazione.

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990) eliasElias Koteas veste i panni di Casey Jones (che riprenderà anche nel terzo capitolo), il vigilante mascherato (con una fighissima maschera da hockey) che si unisce alla comitiva dei buoni, per il quale erano stati presi in considerazione Johnny Depp, Keanu Reeves, Christian Slater, Lou Diamond Phillips, Emilio Estevez, Kiefer Sutherland, Jason Patric, Brian Austin Green, Alex Winter, Gary Daniels, River Phoenix oltre a Benny Urquidez e Richard Norton (valutati anche come fight coreographer); per quelli abituati al Koteas degli anni successivi, così diverso per look e impostazione attoriale, fa quasi un effetto strano ritrovarselo capellone e sbruffone in un ruolo d’azione che l’attore invece porta a casa con entusiasmo.

James Saito è uno Shredder convincente, villain serissimo ed autoritario, che punta molto sullo sguardo di un volto nascosto in buona parte dall’elmetto. L’artista marziale e coreografo giapponese Toshishiro Obata è Tatsu, braccio destro di Shredder, unico personaggio inventato per l’occasione, per il quale si era pensato anche al Professor Toru Tanaka. Nel cast anche i giovani Sam Rockwell, che ha qualche battuta come delinquentello che spaccia sigarette all’interno del clan, e Scott Wolf che fa da comparsa (praticamente invisibile) senza essere accreditato.

Se il mood generale resta quello di uno scanzonato film per famiglie, Tartarughe Ninja alla Riscossa coglie l’occasione per inserirci anche un po’ di significato. Penso alla sede del Clan, un mondo sotterraneo che attrae i ragazzini con l’illusione di una vita di svago, una sorta di paese dei balocchi (c’è persino il ragazzino col sigaro che gioca a biliardo, chiaro riferimento a Pinocchio) utile a corrompere l’animo dei giovani che solo in seguito ritroveranno la propria consapevolezza morale, evidente metafora (ancora attuale) delle gang giovanili e della voglia di appropriarsi di una vita solo apparentemente facile.

Oppure alle massime di Splinter, che prima invita Raffaello a coltivare il giusto pensiero per placare la propria rabbia e conquistare il dono della conoscenza e della pace, poi con un toccante discorso finale ricorda ai suoi figli/discepoli che il vero controllo del ninja risiede nella mente e non nel corpo, ricordandogli di restare sempre uniti ed affrontare le difficoltà della vita insieme – in quella che ha tutti i crismi di una famiglia di fatto, in cui i legami non sono stabiliti dal sangue ma dai sentimenti e dal vivere insieme.

Non mancano le citazioni, da Critters proiettati in un cinema alle imitazioni di Rocky da parte di Michelangelo, passando per April O’Neill che in un servizio si chiede ‘Who we gonna call?’ (richiamando Ghostbusters), ai riferimenti a Kevin Eastman, Peter Laird, la Mirage e il fumetto (come il Second Time Around, il negozio di antiquariato), solo per dirne alcuni. L’adattamento italiano non sfugge allo stravolgimento delle battute, già in voga (purtroppo) con la serie animata, vedi quella sul ‘cugino di Rambo o il fratello di Terminator’ rivolta a Casey Jones, che in originale recitava ‘Wayne Gretzky? On steroids?’ riferita al famoso giocatore di hockey su ghiaccio.

Tartarughe Ninja alla riscossa (1990) Judith HoagTartarughe Ninja alla Riscossa viene realizzato con un budget di soli 13 milioni di dollari, gestiti con la massima oculatezza. Un aiuto inatteso arriva dallo stato della North Carolina che aveva rilevato per bancarotta gli studi di Wilmington da Dino De Laurentiis, offrendone l’utilizzo a condizioni vantaggiose – con l’unico inconveniente rappresentato dalla vicinanza di un aeroporto le cui apparecchiature causavano fastidiose interferenze ai comandi degli animatronic; altre riprese vennero effettuate (sul serio) a New York. Nota di merito per alcune scenografie, come quelle del covo nelle fogne delle nostre Tartarughe.

Il successo del film è clamoroso. Oltre 135 milioni di dollari raccolti in patria, altri 66 all’estero, quasi 202 milioni che ne fanno uno dei film indipendenti più redditizi di sempre. Senza contare gli introiti in home video, prima in VHS (durante l’epoca d’oro del videonoleggio) poi in digitale. Home video che ci ricorda una nota dolente riguardante il mercato italiano in cui il film è disponibile solo in uno scarso DVD targato FilmAuro, finito anche fuori catalogo e di difficile reperibilità. Arriveranno due sequel diretti, nel 1991 e nel 1993.

Che sia in DVD o su qualche piattaforma streaming (al momento della pubblicazione, il film è disponibile su Amazon Prime Video) il nostro consiglio è quello di celebrare il tarta-anniversario rispolverando una visione ancora gradevolissima, magari accompagnandola con una bella pizza (ma senza acciughe, mi raccomando!). Un piacevole tuffo nel passato, per una tappa fondamentale di uno dei franchise più famosi e amati di sempre. Cowabunga!

Di seguito il trailer internazionale di Tartarughe Ninja alla Riscossa: