[esclusivo] Intervista a Ivan Silvestrini su Monolith, dai pericoli della tecnologia fino a 2Night
24/04/2017 news di Alessandro Gamma
Al recente BIFFF di Bruxelles abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il regista romano, che ci ha raccontato la genesi e i retroscena del suo film americano e non solo
Il suo primo film del 2012, Come non detto, l’ha posto sotto i riflettori tra i registi emergenti del panorama italiano da tenere d’occhio e ora Ivan Silvestrini è pronto a dimostrare di essersi meritato questa attenzione con ben due progetti che l’hanno tenuto impegnato durante il 2016 e che presto vedranno la luce, ovvero Monolith (la nostra recensione in anteprima) e 2Night, pellicole differenti per molte ragioni e per questo ancora più interessanti per comprendere interessi e metodi lavorativi del regista.
Durante il recente BIFFF 35 (il Festival di Bruxelles dedicato al cinema di genere) abbiamo avuto modo di incontrare Silvestrini, che ci ha parlato dell’impegnativo Monolith, dell’imminente 2Night, dei suoi prossimi progetti e della diffidenza verso un uso superficiale delle nuove tecnologie.
Quando vedremo Monolith in Italia, dopo il debutto al S+F di Trieste a fine 2016?
Posso dirti che tra un po’ uscirà, ma non posso dirti quando perchè non lo so. So che a breve dovrebbe partire la campagna ufficiale. Il film sta avendo un percorso strano … L’Italia non è il primo paese in cui uscirà comunque, è stato venduto in 17 paesi, in alcuni dei quali è già uscito e negli Stati Uniti ad esempio è stato trasmesso da LifeTime come un film per la TV. E’ vero che Monolith nasce come tale, visto che è stato prodotto da Sky, ma dato il modo in cui l’abbiamo realizzato ci piace l’idea che possa avere una sua dimensione anche sul grande schermo di una sala che magnifichi i grandi spazi in cui lo abbiamo girato. Poi ognuno sarà libero di vederlo anche sul telefono però! [ride]
A questo proposito, cosa pensi della possibilità di fruizione di un film a 360 gradi che c’è ora?
Per la stragrande maggioranza dei prodotti che girano oggi, secondo me non fa alcuna differenza dove li fruisci, l’importante è che tu ne fruisca. E’ vero che guardare le serie televisive o certi film su un iPad o su un PC portatile nel proprio letto crea una dimensione più intima, ma io personalmente preferisco quella sociale della visione. Mi piace di più la ritualità di andare al cinema e condividerla con le persone che conosci e anche quelle che non conosci, quindi non posso che auspicarmi che la sala cinematografica resista il più a lungo possibile e non solo per il cinema spettacolare americano! Penso che per alcuni film e serial non faccia differenza la dimensione dello schermo, mentre per altri è significativo, anche solo per il fatto che stare in sala ti costringe a seguire la storia come il regista l’ha pensata, ovvero non puoi uscire, non puoi fare pausa e questa in alcuni casi è una parte integrante dell’esperienza, e così vale per Monolith. Qualche giorno fa stavo discutendo con degli amici su Animali Notturni ad esempio. Penso che chi lo abbia visto a casa mettendo in pausa all’occorrenza non debba parlarne, perchè vedendolo invece al cinema sarebbe difficile uscirne indifferenti.
Quindi i Festival sono l’ambiente ideale!
Assolutamente! Qui a Bruxelles poi c’è un ambiente straordinario.
Come arrivi a Monolith dal tuo primo film, Come Non Detto, del 2012?
Come Non Detto ha avuto un discreto riscontro di critica e pubblico, ma non era sulla carta il giusto biglietto da visita per poi fare un film come Monolith, ovvero un prodotto ‘di genere’. Per accreditarmi, per così dire, ho dovuto quindi effettuare una serie di passaggi prima, come il girare Come Non Detto appunto, che garantiva una qualche tranquillità dimostrando che avessi già una regia alle spalle. Sono stati tuttavia altri gli elementi che hanno portato alla mia scelta, come Stuck, una serie web in inglese che dimostrava che fossi in grado di padroneggiare quella lingua e un’altra serie, Under, un urban-fantasy orwelliano e piuttosto dark per certi versi, realizzato per promuovere l’uscita di un romanzo italiano. Diciamo quindi che la combinazione di questi fattori ha fatto si che potessi sembrare il candidato ideale per la regia di Monolith. Non dimenticando però che non sarebbe stata una sfida facile, tra l’essere sradicato dal proprio paese per sei mesi e l’intraprendere un’impresa più grande di tutti noi, per cui serviva coraggio.
Nella produzione, tutta italiana, c’è anche Sergio Bonelli Editore. E’ stato difficile convincerli a finanziare il film?
La produzione è partita dalla Lock & Valentine, società che di solito fa post-produzione e pubblicità. Questo era il loro primo film e sono riusciti a coinvolgere la Bonelli, che aveva interesse a cominciare a mettere un piede nel mondo del cinema, con un progetto slegato da tutte le property che hanno, ma che si prestava a essere un esperimento giusto. Hanno comunque accettato subito e poi si è aggiunta Sky, che stava sviluppando già una serie di film indipendenti come In Fondo al Bosco e Piuma. Per quanto riguarda Roberto Recchioni, non è stato coinvolto direttamente nel film, ma stava sviluppando in parallelo la graphic novel, che racconta la stessa storia, ma con un approccio diverso ed è interessante come la medesima idea se sviluppata da team diversi arrivi a risultati autoriali differenti, pur complementari e integrabili. Qualcosa che potrebbe espandere l’universo narrato piuttosto che prestarsi al mero confronto.
Come hai coinvolto la protagonista Katrina Bowden, che ha diversi horror alle spalle, e come è stato invece dover gestire sul set un bambino così piccolo?
Lavorare con Katrina è stato un piacere, specie per me, per lei non lo so visto che ha dovuto affrontare prove sicuramente faticose! Ci ha mandato un suo video-provino e ci è sembrata la scelta migliore. L’ho conosciuta di persona solo 4 giorni prima delle riprese, prima avevamo parlato a lungo su Skype. Tutto il processo di casting è stato molto ‘liquido’, poichè sentivamo gente da New York e da Londra … Per i ruoli secondari invece abbiamo fatto casting più tradizionali. Questi bambini che abbiamo trovato sono due gemelli, di 2 anni e mezzo, un’età che doveva essere per forza quella perchè fossero stati poco più grandi avrebbero saputo come liberarsi. Nixon e Krew Hodges sono stati fantastici, ma naturalmente lavorare coi bambini è un incubo! Un regista dovrebbe ricordarsi sempre di non utilizzare mai bambini o animali!
E tu li avevi entrambi …
Si, in particolare gli animali selvaggi e non meglio identificati. Inizialmente volevo un coyote, ma gli addestratori ci hanno spiegato che una volta lasciato libero sarebbe quasi sicuramente scappato via e non ci sarebbe stato modo di chiedergli di fare qualcosa a comando. Abbiamo quindi dovuto ripiegare su un altro animale. Lavorare con queste creature può regalare immagini sorprendenti, perchè ovviamente non hai il controllo assoluto su ciò che fanno, però è molto faticoso ed estenuante, specie quando non hai molto tempo per le riprese, nel nostro caso 3 intensissime settimane.
Come ti sei trovato all’interno di questo sistema lavorativo americano?
Per me come regista l’idea di girare 12 ore di contratto al giorno era fantastica. In Italia alla fine fai quasi lo stesso numero di ore, ma la produzione ti odia perchè stai facendo gli straordinari! [ride] Lì nessuno si lamenta, se vuoi girare la notte giri 12 ore in notturna senza problemi.
Monolith viene presentato come un film sci-fi, ma come hai detto presentandolo, la macchina è la summa di elementi tecnologici che già esistono
Si, per dire, ieri alcuni amici mi hanno accompagnato con un’automobile che in pratica si è poi parcheggiata da sola. Esiste ancora un elemento fantascientifico in Monolith, perchè effettivamente non c’è ancora una vettura così. Quando lo stavamo scrivendo non volevamo risultare troppo estrosi, ci piaceva l’idea di rimanere vicini alla realtà, che poi è una cosa ancora più spaventosa visto che potrebbe capitarti davvero da un momento all’altro. Non credo che in Italia vedremo tanto presto le auto che si guidano da sole, ma in America è già quasi una realtà.
Quindi hai voluto utilizzare la tecnologia per raccontare i pericoli che ne potrebbero derivare, anche se poi la storia è più focalizzata sul percorso della protagonista come madre
Si, diciamo che c’è una tecnologia che la costringe a fare questo percorso. E’ una sorta di incontro tra due aspetti con cui ci si confronta sempre nella vita, ovvero i rapporti più intensi che possiamo avere coi nostri cari – in questo caso il più forte forse, quello tra madre e figlio – e la tecnologia a cui deleghiamo ogni giorno sempre di più aspetti delle nostre vite, in modo sempre più incosciente. Stiamo affidando le nostre vite a una tecnologia di cui non capiamo – o non studiamo – sempre tutti gli aspetti e le ripercussioni, quindi potrebbe succedere che prima o poi ci si rivolti contro.
Dimmi qualcosa delle musiche invece
Le musiche sono quasi tutte originali e opera di Diego Buongiorno, un compositore italiano con cui abbiamo lavorato a Roma. Gli abbiamo inizialmente dato una sequenza semplicemente con delle immagini panoramiche del deserto, chiedendogli di creare qualcosa di emozionante, e la prima cosa che ci ha mandato è finita direttamente nel film diventando uno dei temi principali che si sente in diversi momenti.
I nomi Monolith e Lilith, ovvero l’Intelligenza Artificiale che governa la vettura, non sono casuali, visto che il primo è un monolito nero che richiama 2001: Odissea nello Spazio mentre la seconda è una creatura non proprio benevola
Niente nel film è casuale. Monolith era il titolo del fumetto e io l’ho sempre trovato molto efficace. Non so se conosci il metodo ‘me cojoni e sti cazzi‘ per scegliere il titolo di un film! In altri paesi però è stato comprensibilmente modificato. Il film omaggia Stanley Kubrick in vari modi, uno molto nascosto e altri più evidenti. Lilith invece è saltato fuori in fase di sceneggiatura e ad esempio è uno degli elementi che differiscono dal fumetto, in cui si chiama in modo diverso. Comunque è più o meno come lo hai interpretato tu.
Da regista italiano, come vedi il possibile riscontro nel nostro paese di un film di questo tipo? Ritieni che ci siano i presupposti perchè il mercato si allarghi un po’ anche a produzioni simili?
Si è sicuramente risvegliata una sorta di fiducia verso questo cinema dopo il caso di Lo Chiamavano Jeeg Robot e il successo di Mine, con la percezione che gli italiani siano in grado di fare cinema di genere se messi nelle giuste condizioni, che ovviamente è una delle sfide più difficili per un regista, perchè abbiamo purtroppo perso la tradizione che un tempo avevamo sull’horror, il thriller ecc. Ora vedo con piacere che c’è una nuova generazione che sta cercando di riscoprirli. Dall’interno ti posso dire che non c’è ancora un’apertura totale dal mondo delle produzioni verso il genere, ma viene considerato un po’ più di prima una possibilità. Il punto è che molti produttori ragionano sull’incasso in Italia, ma i film di genere, pur essendo di nicchia, parlano a nicchie che esistono in tutto il mondo e non è un caso che anche Monolith sia stato venduto come ti dicevo in molti paesi, tra cui la Cina e l’India, cosa che mi fa molto piacere naturalmente.
Venendo ai tuoi interessi personali, parlami del tuo rapporto con l’horror e la fantascienza
Io adoro la sci-fi, ma se mi fermassi a questo sarei una persona molto frustrata perchè in Italia se ne fa pochissima. Negli anni si è persa un po’ di credibilità in questo campo, ma spero che pian piano si riesca a ritrovarla. La fantascienza poi è molto costosa, ma spero prima o poi di fare un film di questo genere, anche più di uno. Seguo moltissime serie TV e sono onnivoro, non ho necessariamente un genere favorito, seguo le storie che mi emozionano e che riescono a muovere certe corde. L’altro giorno ho visto ad esempio Elle di Paul Verhoeven, che è un film straordinario, che mi ha toccato molto. Amo moltissimo anche il cinema del Nord Europa, anche a livello visivo. Del cinema indie americano apprezzo la capacità di stare sempre attenti al ritmo e al non dimenticarsi che c’è uno spettatore che guarda il film che hai fatto. Da europeo però mi piacerebbe realizzare dei film più ‘profondi’ di quello che spesso ci appaiono questi film d’oltreoceano.
Arriviamo allora a 2Night, un progetto decisamente differente
Sta per uscire nei cinema [25 maggio]. Si tratterà del mio secondo film, perchè arriverà curiosamente prima di Monolith. Li ho girati uno dopo l’altro. Ero entrato in contatto con la produzione di 2Night mentre stavo ultimando la sceneggiatura di Monolith. Mi piaceva l’idea di girare questa piccola grande storia, sempre una sfida, di altro genere però, legata anche in questo caso curiosamente a una macchina e mi piaceva l’idea che, dopo così tanto tempo trascorso negli Stati Uniti, potessi rimettermi al lavoro su qualcosa di italiano e su un genere – quello del boy meets girl – che mi piace molto, raccontando questo incontro di una notte tra un ragazzo e una ragazza, Matilde Gioli e Matteo Martari, che attraversa varie fasi, che poi sono tutte quelle di una relazione di coppia compresse in un arco di tempo finito. L’ho preparato in parte a distanza prima di arrivare fisicamente sul set, poi le due post-produzioni hanno seguito percorsi paralleli completamente diversi, con 2Night che non avendo effetti speciali è stato un po’ più facile da gestire. 2Night è stato più tradizionale, basato su regia e recitazione e sulle emozioni più immediate di un ambiente ristretto ma comunque non claustrofobico. Ho usato Roma come un correlativo oggettivo degli stati d’animo dei due protagonisti, sfruttando certe architetture meno ‘battute’ abitualmente al cinema per aiutarmi a raccontare la storia.
Stai già lavorando ad altro?
Sto lavorando a un remake di un film francese [Les Profs di Pierre-François Martin-Laval] e a un film distopico, in cui cerco di raccontare un mondo su più piani, che non esiste ancora, ma che è totalmente plausibile, senza tecnologie clamorose, ma dove si è verificato un cambiamento culturale che ha spostato leggermente il modo in cui le persone vivono.
Mi pare di capire che raccontare questi aspetti del presente ti prema molto
Assolutamente, penso sia la riflessione più interessante sulla contemporaneità, specie sull’Occidente. Penso che serie come Black Mirror – i cui episodi devo dire mi angosciano, ma sono saggi di sociologia incredibili – riflettano sulla condizione della vita in Occidente in modo eccezionale. Ovviamente esistono altre riflessioni, forse più significative e importanti sull’umanità, che sta vivendo un periodo di grande instabilità, ma sono più relegate a un cinema di frontiera.
Di seguito il trailer ufficiale di Monolith:
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