Voto: 5.5/10 Titolo originale: Fractured , uscita: 22-09-2019. Regista: Brad Anderson.
Fractured: la recensione del film di Brad Anderson con Sam Worthington (per Netflix)
09/10/2019 recensione film Fractured di William Maga
Il regista dirige col consueto mestiere un thriller psicologico non troppo originale, che può comunque contare su una prova convincente del suo disperato protagonista
Nella sua costante fame di thriller ‘riempicatalogo’, Netflix spesso viene criticata per la scarsa qualità dei titoli che rifila ai suoi abbonati su base settimanale, spesso più avvincenti e intriganti sulla carta che poi nell’effettiva realizzazione. Ora, per rimanere fedele alla linea, è il turno di Fractured. Il film diretto dall’ex promessa del genere Brad Anderson è solo il più recente degli ‘omaggi’ più o meno diretti al classico La Signora Scompare del 1938, del quale adegua ai giorni nostri il canovaccio (una storia alla Agatha Christie di cospirazione e alterazione della percezione), donandogli peraltro una nuova ambientazione.
Diversamente da Flightplan – Mistero in volo di Robert Schwentke del 2005 ad esempio, che era spostava semplicemente l’azione dalla locomotiva originaria a un aereo di linea mantenendo comunque il focus sugli aspetti più mistery, Fractured prova ambiziosamente – e suggestivamente – a inserire nella sua paranoica equazione una critica nemmeno troppo velata al divisorio sistema sanitario americano, noto per essere decisamente elitario e in qualche modo cinico.
Qui, invece che una donna anziana, a ‘smaterializzarsi’ improvvisamente nel nulla sono la moglie e la figlioletta del protagonista Sam Worthington (Avatar), inghiottite nelle viscere di un ospedale dopo aver imboccato l’ascensore diretto verso la sala della TAC e le prove della loro esistenza addirittura occultate dietro a una pila di scartoffie e cavilli legali e assicurativi.
Purtroppo però, la sceneggiatura scritta da Alan B. McElroy (autore dietro alla saga slasher di Wrong Turn) – pur attenta ai dettagli (il ricorso alla telecamere di sicurezza) – abbandona presto questa potenzialmente interessante traiettoria per privilegiare situazioni troppo derivative e confusamente hitchcockiane, oltretutto facilmente prevedibili per uno spettatore che sia vagamente sgamato (pensiamo al recente Shutter Island, ma anche a Tutti i colori del buio, Repulsion o Il profumo della Signora in Nero).
Come gli appassionati sanno, il 55enne Brad Anderson è un regista di genere che ha dimostrato in passato – specialmente con Session 9, Transsiberian eL’uomo senza sonno – di saper comprendere bene i meccanismi intimi della tensione e dell’alienazione mentale (e dei luoghi chiusi collegati alla sanità …), ed è quindi facile capire cosa lo abbia attirato di un copione in cui l’impotenza del protagonista è la fonte principale di tensione.
Comunque. Roy Monroe (Worthington) è un alcolista in via di guarigione il cui secondo matrimonio è in crisi da tempo, come suggerisce la scena dell’incidente di apertura, mentre prova ad appianare le cose con sua moglie Joanne (Lily Rabe) lungo il tragitto di ritorno da una cena del Ringraziamento. La loro figlioletta Peri (Lucy Capri) guarda fuori dal finestrino dal sedile posteriore, ignara della situazione famigliare che sta precipitando e di quanto Roy si senta profondamente frustrato per la sua incapacità di risolvere l’impasse creatosi, una spirale discendente apparentemente fuori controllo che potrebbe presto riportarlo dalle parti della bottiglia.
Ma è qui che le cose prendono una piega assurda, quando una breve deviazione per una sosta porta a un improvviso confronto tra Peri e un cane randagio. Quando Roy tenta di intervenire lanciando una roccia verso la bestia — una decisione tanto sconcertante quanto stupida — la bimba cade dal ciglio dello scavo su cui si trova, sbattendo la testa sul terreno sottostante, nonostante il tentativo di salvarla al volo del padre. Da lì la disperata corsa contro il tempo verso l’ospedale più vicino, che offre a Roy l’opportunità di dimostrare tutto il suo disperato valore paterno.
Tuttavia, il sistema sanitario americano – come spesso abbiamo già avuto modo di sentire – sembra progettato per frustrare i genitori in crisi, con Roy che perde presto la pazienza, non appena ha a che fare con la receptionist fredda e insensibile al banco delle accettazioni, che lo irrita con domande sull’assicurazione della moglie, i costi delle visite e insiste che Peri venga inserita nell’elenco dei donatori di organi. Fremendo di collera che trattiene a stento, Sam Worthington riesce ad esprime in modo adeguato sia il desiderio di Roy di aiutare sua figlia che l’eguale bisogno di dimostrare le sue qualità umane.
Ma più l’uomo si accapiglia contro tutto e tutti, il dubbio che intorno a lui sia in atto una misteriosa e inspiegabile cospirazione comincia a farsi largo sempre più veementemente nella sua mente, suggerita dai comportamenti loschi e mal interpretabili dello staff medico. Roy è incredibilmente paranoico? Colpa dello stress eccessivo? O c’è del vero? Fatto sta che, risvegliatosi da un riposino da sfinimento, scopre che sua moglie e sua figlia sono entrambe scomparse nel nulla, e che infermieri e medici (Stephen Tobolowsky) non solo affermano con convinzione che non si trovino nella struttura, ma che non ci siano nemmeno mai entrate. La goccia che fa definitivamente saltare Roy alle conclusioni più sinistre.
Tolta l’estrema genericità del titolo (negli ultimi 5 anni sono usciti almeno tre i film e una serie TV chiamati nel medesimo modo), Brad Anderson – e il direttore della fotografia Björn Charpentier – immergono lo spettatore in un clima di paranoia, avvilimento, rabbia e dolore crescenti, chiaramente comunicati attraverso l’occhio acuto del regista per i dettagli, le inquadrature e le tempistiche, capaci di evocare un forte senso di spaesamento e oppressione in alcune delle scene più intense di Fractured.
Da parte sua, lo spesso criticato per la monoliticità Sam Worthington offre una delle sue prove più riuscite, dando corpo a una delle interpretazioni più cupe e sentite di un uomo che non ha idea di chi fidarsi, incluso se stesso.
Purtroppo, la quasi totale attenzione posta dallo script sul personaggio di Roy impone il ‘sacrificio’ di tutti gli altri co-protagonisti, relegandoli a mere effimere comparsate. A farne le spese maggiori sono così i dotati Lily Rabe e Stephen Tobolowsky, mentre quasi nulla veniamo a sapere delle altre persone che il padre di famiglia incontra, ovvero poliziotti, infermiere, guardie di sicurezza e una psichiatra che si presenta nel terzo atto a mo’ di deus ex machina / meccanismo per spiegoni.
In definitiva, per gli spettatori non molto avvezzi a questo tipo di thriller, Fractured risulterà un prodotto di Netflix tutto sommato efficace, che conferma le già note capacità di Brad Anderson di girare un copione familiare e renderlo ugualmente avvincente, che si appoggia oltretutto sulla prova di un Sam Worthington adeguato.
Per gli altri, si tratterà di un film che lascerà l’amaro in bocca per la decisione di pescare dal mazzo la carta più prevedibile e meno originale, senza azzardare qualcosa di più rischioso (come affondare il colpo nel sistema sanitario americano). Tutti quanti, però, probabilmente finiranno per odiare gli ospedali.
Di seguito il trailer in versione italiana di Fractured, nel catalogo di Netflix dall’11 ottobre:
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