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Voto: 5/10 Titolo originale: Mortal Kombat , uscita: 07-04-2021. Budget: $20,000,000. Regista: Simon McQuoid.

Mortal Kombat (2021): la recensione del film reboot di Simon McQuoid

30/05/2021 recensione film di William Maga

Nonostante le buone premesse, il riavvio R-Rated della nota saga prodotto da James Wan è tutt'altro che una 'vittoria sfolgorante'

mortal kombat film 2021 fatality

Arrivato sul mercato nel 1992 ideato da Ed Boon e John Tobias, il videogioco arcade Mortal Kombat ha scosso quasi immediatamente le fondamenta della cultura popolare. Non soltanto per il rivoluzionario character design impiegato (versioni digitalizzate di persone reali conosciute come “sprite”) o per la sua stessa mitologia, ma per la possibilità di infliggere danni molto concreti agli avversari, incluse le brutali fatality.

Se non fosse stato per la levata di scudi dei genitori inferociti per i possibili effetti a lungo termine sulla psiche dei ragazzini (ci furono addirittura alcune udienze al Congresso negli Stati Uniti), facendone una sorta di paria da evitare come la peste e pertanto rendendolo ancora più allettante, è possibile che Mortal Kombat non avrebbe mai dato vita alla saga ancora oggi tanto amata. Il videogame ha generato infatti nel tempo ben dieci sequel, diversi spin-off, una serie televisiva, fumetti, due film live-action, due animati e una serie web.

MORTAL KOMBAT - Poster film 2021Ora, a 29 anni dal debutto nelle sale giochi e 26 anni dal primo lungometraggio per il cinema diretto da Paul W.S. Anderson (la recensione), i guerrieri del Reame della Terra si riuniscono ancora una volta per impedire l’invasione da parte di Outworld in Mortal Kombat del regista esordiente Simon McQuoid.

È abbastanza evidente dalla messa in scena di ogni combattimento che Simon McQuoid comprenda bene il linguaggio visivo dell’ormai popolarissimo franchise, ma ciò non significa che la sua sia una ‘vittoria sfolgorante’. Rappresentare adeguatamente la massiccia dose violenza è solo metà dello scontro in una storia di Mortal Kombat; bisogna capirne i personaggi e le motivazioni, qualcosa che questo film fatica a fare nella sua corsa per garantire al pubblico una grandiosa carneficina.

Molto tempo fa, un gruppo di divinità conosciute come Gli Antichi Dei ha suddiviso il piano dell’esistenza in una serie di reami che avrebbero potuto essere unificati solamente attraverso la vittoria in combattimento. Al fine di garantire che un reame non potesse invaderne con la forza un altro, è stato allora organizzato un torneo (chiamato, appunto, Mortal Kombat) in cui un reame avrebbe dovuto primeggiare per dieci volte consecutive per poter rivendicare la propria superiorità e ‘fondersi’ con esso.

Con nove vittorie e un decimo torneo all’orizzonte, l’emissario del Regno Esterno, Shang Tsung (Chin Han), invia i suoi fedeli servitori per uccidere segretamente i campioni del Reame della Terra, assicurandosi così la vittoria finale prima ancora dell’inizio. In mezzo a tutto questo si ritrova Cole Young (Lewis Tan), uno sconosciuto lottatore di arti marziali miste che potrebbe essere la chiave per la salvezza del nostro pianeta, qualora riuscisse a sbloccare il suo arcana.

Seguono piccoli spoiler, necessari per affrontare determinati aspetti. Per chi ha già familiarità con la serie di Mortal Kombat, nulla di ciò che leggerete sarà una sorpresa, anche se potrebbe cambiare le vostre aspettative. Se, al contrario, siete per la gran parte all’oscuro di questo universo, guardate prima il film e poi tornate a leggerci.

Accanto al character design degli ‘sprite’, ciò che ha reso Mortal Kombat eccezionale rispetto agli allora competitor di genere arcade è stata la clamorosa dose di brutalità che i combattenti potevano scambiarsi. Agli albori, ciò si traduceva in schizzi di sangue che fuoriuscivano vistosamente da un personaggio ferito e – soprattutto – una morte molto dolorosa al meglio delle tre sconfitte. Nelle versioni più recenti il fattore gore è stato amplificato grazie all’uso spontaneo di attacchi chiamati Raggi X, capaci di assicurare la letterale rottura delle ossa dell’avversario.

Se è vero che una certa dose di violenza era presente già nel film del 1995 e poi nel suo sequel del 1997, il nuovo adattamento di Simon McQuoid riesce però a trasportare per la prima volta sul grande schermo il tono, l’aspetto visivo e la percezione della ferocia che erano / sono un punto fermo di Mortal Kombat. Nella sequenza di apertura ad esempio, ambientata nel Giappone del XVII secolo, l’Hanzo Hasashi di Hiroyuki Sanada (più noto come Scorpion) fa fuori diversi aggressori usando una versione improvvisata del suo tipico kunai, un coltello da lancio attaccato a una corda o una catena.

Con estrema precisione e abilità, Hanzo lancia il kunai intorno a sé, infilzando chiunque provi ad avvicinarsi e riprendendolo ogni volta riavvolgendo la corda cui è stretto. Sebbene non gratuita, la violenza è sanguinosa e definitiva (s’è guadagnato il Rated R non per niente). C’è quindi un certo peso nella lotta, prefigurando che ciò che verrà in seguito impiegherà una simile ‘accortezza’.

mortal kombat film 2021 goroI fan della saga, vecchi e nuovi, saranno senza dubbio solleticati dall’idea di vedere i personaggi impiegare i loro ‘attacchi speciali’ con un po’ di ingegnosità, al pari di una fotografia progettata per richiamare le stesse sensazioni viscerali dei giochi. Detto francamente, questa è la vittoria più importante per il Mortal Kombat di Simon McQuoid. Per la prima volta dalla meravigliosa serie web Mortal Kombat: Legacy del 2011, gli appassionati hanno la possibilità di assaporare ‘da vero’ le risse brutali e devastanti che sognavano.

Merito è anche del coordinatore degli stunt Kyle Gardiner (Godzilla vs. Kong) e al coreografo Chan Griffin (Shazam!) per aver progettato sequenze di combattimento che sembrano ‘autentiche’ per i personaggi, rispettando i rispettivi talenti senza pompare – o sottodimensionare – nessuno di loro. Lo stesso vale per gli attori, in quanto ognuno è del tutto credibile, un aspetto che, qualora mancasse, azzopperebbe qualsiasi film di arti marziali.

Non dovrebbe sorprendere nessuno che abbia una qualche familiarità con la storia lavorativa di Joe Taslim (The Raid) che fosse il candidato naturale per il gelido Sub-Zero, e lo stesso vale per Hiroyuki Sanada dell’infuocato Scorpion. La loro presenza individuale sullo schermo è magnetica, le loro scene di combattimento sono le migliori dell’intero film, piene di passione e di dolore. A completare il cast principale ci sono Jessica McNamee, Mehcad Brooks, Lewis Tan e Josh Lawson (House of Lies) nei panni del leader del Drago Nero, Kano, che sfruttano al massimo il loro screentime.

Sebbene il film posizioni il Cole di Lewis Tan come ‘surrogato’ dello spettatore e lo metta al centro della narrazione, sono McNamee, Brooks e Lawson a rubargli Mortal Kombat. Non è che il personaggi non sia interessante o che l’attore sia incapace, è che la trama ha troppi personaggi da presentare rapidamente per offrire molto di più di una introduzione rapidissima e procedere. La vera sorpresa del casting è però Josh Lawson, tra i punti di forza dell’intero film. Già. Ancora meglio della perfetta esecuzione delle mosse tipiche del personaggio videoludico è infatti l’inaspettata verve cupamente comica delle sue battute. Per coloro che hanno visto il Mortal Kombat del 1995, pensate alla performance di Trevor Goddard meno la relativa misoginia.

Mortal Kombat film Simon McQuoid 2021 (3)Qualunque cosa pensiate delle performance, comunque, ognuno dei membri del cast sembra all’altezza del compito di rappresentare i mitici personaggi di Mortal Kombat in termini di aspetto e ferocia. In termini di azione, nella maggior parte dei casi, la regia consente al pubblico di seguire facilmente i rispettivi combattimenti, mantenendo una distanza sufficiente per rendere l’azione facile da tracciare col montaggio che si interrompe in modo che le scazzottate diventino più coinvolgenti.

In tal senso, è indicativa la sequenza di apertura, in cui gli stacchi sono in sincrono coi colpi inferti. Questo timing perfetto aggiunge uno strato di verosimiglianza tale da farci quasi provare ogni impatto. Successivamente, tuttavia, il montaggio ha momenti che riducono la tensione in misura sorprendente, poiché il tentativo di bilanciare più di uno scontro immediato riduce l’immediatezza e il flusso della baruffa mentre la cinepresa cerca di mostrare allo stesso modo ogni scontro.

Facciamo allora la conoscenza del problema più grosso del Mortal Kombat di Simon McQuoid (che non è tanto la CGI di dubbio livello, dettata anche dagli ‘appena’ 55 milioni di dollari di budget): tutto nasce dallo script dello sceneggiatore esordiente Greg Russo e di David Callaham (Wonder Woman 1984), basato su una storia di Oren Uziel (22 Jump Street) e Russo stesso. Nell’intero franchise, con poche eccezioni, Liu Kang (Ludi Lin) è l’eroe del racconto, ma ora l’attenzione viene spostata in favore di una new entry, Cole. Liu Kang, invece, diventa più una figura in stile mentore e, senza entrare troppo nei dettagli, è adattato in modo tale da apparire come un insulto ai fan di lunga data di Mortal Kombat, specialmente quando scopriamo il suo passato, che spiega meglio come si è unito al protettore di Reame della Terra, Lord Raiden (Tadanobu Asano) dell’Ordine della Luce e la sua relazione con il compagno di combattimenti Kung Lao (Max Huang).

Poi ci sono Sonya Blade (McNamee) e Jax (Brooks), addestrati dalle forze speciali, che vengono introdotti all’inizio della parte odierna del film, ma che sono per lo più messi da parte in favore di Cole. Ciò è in parte dovuto alla volontà di stabilire precocemente la letalità di Sub-Zero, do trovare un modo rapido per montare a Jax le sue braccia cibernetiche e all’approccio della sceneggiatura per la selezione del campione: una voglia a forma di drago.

Il fatto che Sonya, uno dei pochi personaggi femminili, sia spesso trattata come inferiore – o non degna – da tutti tranne che da Jax e da Cole è destinato a frustrare molti, mentre la scelta che all’unico personaggio di colore venga affidata una strada più ‘austera’ verso l’eroismo rispetto ai suoi compagni non è proprio il massimo. È più plausibile date le sue ferite? Sì. Dà a Mehcad Brooks la possibilità di brillare un po’ come attore? Anche. Ma quando altri personaggi ridono per lo più delle loro lesioni, suona un disservizio per Jax, un personaggio decisamente cazzuto.

Infine, c’è Raiden, interpretato con la gravità appropriata da Tadanobu Asano, che in questo Mortal Kombat non sa decidere se essere un vecchio dio onnipotente che osserva in disparte oppure un individuo inefficace nella migliore delle ipotesi. Semplicemente la sceneggiatura non sa cosa fare con lui e, quindi, il personaggio è del tutto incoerente nell’impiego e nella presentazione.

Mortal Kombat film Simon McQuoid 2021 (5)E qui arriviamo al cuore dei problemi del nuovo Mortal Kombat: la sua sceneggiatura sembra essere stata progettata non per garantire fluidità, funzionalità o un qualche ‘senso’ all’insieme, ma solo per impostare i combattimenti e, potenzialmente, un sequel o due (c’è pur sempre l’esperto James Wan tra i produttori).

Piuttosto che usare il suo minutaggio (inferiore alle due ore) per consentire ai suoi protagonisti di sembrare ‘reali’ in circostanze ‘iperreali’ o per consentire agli elementi emotivi contenuti nella storia di generare un qualsiasi tipo di appiglio extra, lo script – tra una parolaccia e l’altra – si getta a capofitto in un altro scontro. Dite quello che volete sul Mortal Kombat del 1995, ma lo sceneggiatore Kevin Droney (la serie TV di Highlander) aveva capito che conoscere meglio i personaggi principali avrebbe reso i loro successivi combattimenti, per quanto ridicoli, più significativi. Qui, al contrario, i combattimenti sono il fulcro ma, per lo più, sono privi di significato, specialmente per il modo in cui il film organizza gli eventi come una corsa a perdifiato verso il decimo torneo tra i regni (che peraltro non vediamo).

In definitiva, se tutto ciò cercate nell’esperienza cinematografica di questo Mortal Kombat sono belle coreografie di arti marziali unite a sangue e budella, allora probabilmente finirete la visione soddisfatti. Da questo punto di vista, fa ampiamente il suo dovere. È ovvio dal prodotto finito che Simon McQuoid abbia compreso il linguaggio visivo della fonte originaria e lo abbia restituito con disinvoltura; però, la sceneggiatura (a) fatica a farci appassionare ai personaggi, (b) fa molto affidamento sugli spiegoni tra una scena e l’altra, (c) manca del peso necessario per far sì che qualsiasi cosa sembri importante e urgente, e (d) si rifiuta di incorporare l’essenza della sua storia ormai trentennale, col risultato che il film spesso manca di rispetto – senza apparente motivo – all’amatissimo materiale di partenza.

A parte questo, è infinitamente superiore a Mortal Kombat – Distruzione Totale del 1997 e (quasi con certezza) vi farà venire voglia di avviare la vostra console e iniziare subito dopo un torneo, permettendo in qualche modo comunque di onorare nel modo adeguato la saga.

Di seguito trovate i primi 7 minuti di Mortal Kombat, dal 30 maggio alle 21.15 in esclusiva su Sky Cinema Uno e in streaming su NOW (e parallelamente on demand):