Voto: 7/10 Titolo originale: Naboer , uscita: 11-03-2005. Budget: $2,400,000. Regista: Pål Sletaune.
Naboer (Next Door) | La recensione del film di Pål Sletaune (su Netflix)
23/03/2021 recensione film Next Door di Elisa Pizzato
Dopo un'attesa lunga oltre 15 anni, il thriller psicologico norvegese esce in Italia
Così come per ogni questione ci sono diversi punti di vista, allo stesso modo quando una coppia si lascia, ci sono sempre due versioni della stessa storia. C’è chi dice che ci si è lasciati di comune d’accordo, chi invece si prende il merito per aver rotto la relazione, creando così un confine labile tra chi ha ragione e chi ha torto. La storia di Naboer (Next Door – 2005) inizia proprio con una separazione.
Il personaggio principale del film, John (interpretato da Kristoffer Joner), è stato appena scaricato dalla sua ragazza Ingrid (Anna Bache-Wiig), che ritorna nel suo appartamento per recuperare alcuni oggetti. Tra i due c’è una palpabile tensione, che viene ancor di più sottolineata quando Ingrid menziona il suo nuovo ragazzo, Ake, che la sta aspettando in strada nel caso le succedesse qualcosa. “Non voleva che venissi qui da sola. Se suona il clacson gli faccio un gesto per avvisarlo che va tutto bene”, spiega l’ex fidanzata. Lo spettatore è subito incuriosito dalla situazione. Qual è stato il motivo della loro separazione? In questo caso chi è la vittima e chi è il ‘carnefice’? Questo contorto gioco di ‘lupo e agnello’ viene inoltre ripreso quando John incontra le sue vicine di casa, le bellissime sorelle Anne (Cecilie Mosli) e Kim (Julia Schacht), che lo invitano nel loro appartamento con la scusa di aiutarle a spostare un mobile.
La loro abitazione dall’arredo scuro e l’atteggiamento misterioso ricordano quelli dei vicini di Rosemary’s Baby -Nastro Rosso a New York (1968), anche se il film di Roman Polanski è molto diverso da Naboer (e nettamente superiore). Le due ragazze, tuttavia, si comportano in modo strano: conoscono una strana quantità di dettagli riguardo a John e sembrano non volerlo lasciare andare, dando via così a un perverso gioco psicologico fatto di violenze e avvenimenti misteriosi.
La scena in cui John e Kim si lasciano andare a un rapporto sessuale tra schiaffi e pugni è difficile da digerire. Il sangue dei due si mischia, consolidando così la loro assurda unione in una scena visivamente potente. Stanco di essere manipolato mentalmente, John, come un topolino in trappola in un labirinto, cercherà così di fuggire dall’appartamento. Improvvisamente si imbatterà in una stanza nello stesso Ake e la conversazione tra i due svelerà un dettaglio che metterà a posto i pezzi del puzzle, ma sconvolgerà completamente la trama. Niente è come sembra in Naboer infati e, come in ogni thriller che si rispetti, non bisogna mai fidarsi del protagonista.
Pål Sletaune firma un’opera palesemente ispirata al cinema di Alfred Hitchcok (‘mito’ dichiarato dell’autore), in cui vengono raccontati i problemi della psiche umana e delle violenze domestiche. A causa dei suoi contenuti forti, Naboer è stato vietato ai minori di 18 anni, cosa che era accaduta solo a quattro film norvegesi in precedenza, vale a dire Douglas di Pål Bang-Hansen nel 1970, Mother’s house di Per Blom nel 1974, Stop it! di Lasse Glomm nel 1980 e Hotel St. Pauli di Svend Wam nel 1987. E finalmente ora, grazie al suo imprevedibile arrivo nel catalogo di Netflix, fa il suo debutto anche in Italia, dopo essere stato presentato alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia nel lontano 2005.
Alla fine risulta un film riuscito, nonostante qualche sbavatura: alcuni dettagli della trama rimangono confusi e nel suo corso il regista lascia pochi indizi per il pubblico. La conclusione, inoltre, appare eccessivamente riassuntiva, dove in un’unica scena vengono spiegati tutti i 72 minuti complessivi. Nonostante questo, Pål Sletaune traccia un vivo ritratto psicologico dei suoi personaggi e del protagonista, dirigendo impeccabilmente i suoi attori, tanto che Kristoffer Joner è arrivato a vincere nel 2005 il premio Amanda Award come miglior attore al Norwegian International Film Festival. L’eccellente lavoro di fotografia dai toni cupi per mano di John Andreas Andersen e l’inquietante colonna sonora composta da Simon Boswell, aiutano poi il regista a creare un’atmosfera tesa e angosciante.
Il genere thriller / horror era relativamente nuovo per Pål Sletaune, noto allora principalmente per i suoi film drammatici venati di comicità come Posta Celere (Junk Mail – 1997) e You Really Got Me (2001), e lui stesso ha ammesso: “Dopo aver girato due film che narravano in terza persona, volevo farne uno in prima persona; un film soggettivo, psicologico”. In effetti, ci si rende conto che John forse non è poi così innocente come avrebbe potuto apparire nei primi minuti. Come detto, in Naboer il ruolo tra vittima e carnefice cambia continuamente. Se all’inizio lo spettatore è portato a pensare che le due ragazze sexy siano malvagie e vogliano far del male a John, presto tutto viene sovvertito.
Il regista era comunque molto consapevole dei rischi di un protagonista inimmaginabile: “Ho lavorato sodo con Kristoffer Joner per trasformare il personaggio in qualcosa che interessasse il pubblico”. Il loro duro lavoro è stato chiaramente ripagato, poiché Naboer mescola in modo intelligente elementi classici del genere horror con la possibilità di sbirciare nella psiche di un uomo molto insolito.
Un thriller compatto dunque, con una buona carica di erotismo e costruito in maniera egregia per quanto riguarda le atmosfere pregne di tensione. Nonostante i continui passaggi non sempre riusciti tra la dimensione onirica e quella reale, Naboer nell’insieme va a segno e si presta come un’interessante e originale visione. Di sicuro una ulteriore rivisitazione potrebbe aiutare lo spettatore a goderne meglio, permettendogli di notare dettagli e allusioni che alla prima visione sfuggono.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Naboer:
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