Voto: 6.5/10 Titolo originale: Piercing , uscita: 03-01-2019. Regista: Nicolas Pesce.
Piercing (2018): la recensione del film murakamiano diretto da Nicolas Pesce
18/10/2018 recensione film Piercing di Sabrina Crivelli
Il regista del raggelante The Eyes of My Mother torna dietro alla mdp per dirigere Mia Wasikowska e Christopher Abbott nel perverso e straniante adattamento del romanzo di Ryû Murakami
Piercing è un film decisamente strano, non potrebbe essere definito altrimenti. La sua peculiarità riguarda anzitutto il soggetto, un serial killer in erba, Reed (Christopher Abbott), che vuole uccidere una escort ‘che parli inglese’, ma che si imbatte in una masochista decisamente disturbata, Jackie (Mia Wasikowska), che prima si pugnala la gamba con un paio di forbici, rovinando i suoi piani, poi si attacca morbosamente a lui per qualche motivo, infine lo adesca in casa sua, rivelando mire ben differenti dal lasciarsi uccidere passivamente. L’eccentricità del film non pertiene però solo il copione, tratto peraltro dall’omonimo romanzo giapponese di Ryû Murakami, ma anche la messa in scena, lo sviluppo della narrazione e, soprattutto il finale, troncato ex abrupto, che lascia decisamente straniti.
Non è una novità che Nicolas Pesce, che non solo ha diretto Piercing, ma ne ha scritto anche l’adattamento, sia propenso a trattare di tematiche scabrose, di soggetti psicolabili, e che lo faccia attraverso un girato surreale e un’estetica morbosa. Ne era un perfetto esempio il sorprendente – e a tratti agghiacciante – debutto The Eyes of My Mother, presentato anch’esso al Festival di Sitges nel 2016 (la nostra recensione). Indubbio è quindi che le perversioni, le ossessioni di menti deviate siano l’interesse primario del regista.
Il precedente horror in bianco e nero era un connubio di prigionia, stupro e malato rapporto tra il seviziatore e la figlia della vittima, il tutto condito da sevizie varie. Il nuovo lungometraggio, come il predecessore, torna ora a concentrarsi su un duo di psicopatici: un assassino seriale e la sua insolita preda.
Anche in questo caso, in una meticolosa analisi psicologica, vengono delineati tutti i processi mentali, le riflessioni prima dell’atto violento, la meticolosa progettazione dell’omicidio, perfino le molte prove di dialoghi e tempistiche.
Percorso intrigante, seguiamo dunque Reed che progetta ogni tappa del suo delitto in una lussuosa camera d’albergo, che accenna alle parole che dirà alla sua sventurata ospite, che mima uno strangolamento, oppure che cronometra con attenzione ogni passaggio. Ne risulta un ritratto affascinante, che Christopher Abbott rende con mimica apatica, algida, forse un po’ troppo inespressiva, ma adatta al contempo al ruolo che incarna.
Poi ci sono le voci, la figlia neonata, la moglie, una telefonata misteriosa, tutti gli intimano di ‘uccidere’, e lasciano lo spettatore confuso su quali siano le comunicazioni realmente avvenute (soprattutto nel caso della moglie) e quali invece frutto di una latente schizofrenia, di una sinistra allucinazione uditiva.
Suo complementare altrettanto alienato, Jackie, compulsiva prostituta con manie per la casa e avvezza all’autolesionismo spinto (è piena di cicatrici per i tagli auto inflitti) costituisce un altro affascinante accesso per un mondo mentale stralunato. Mia Wasikowska, forse per la difficoltà della parte e le sue molteplici sfaccettature, è meno convincente, ma non del tutto inadatta, dando vita a un’eccentrica quanto altalenante personalità.
[SPOILER ALERT] La combinazione dei due protagonisti di Piercing , almeno sulla carta, è esplosiva. La preparazione del loro incontro (incentrata per la maggior parte su Reed) è conturbante, cattura l’attenzione e suscita un estremo desiderio di sapere come progredirà la sua parabola.
Quando poi entra finalmente in scena Jackie, l’eccitazione sale, altalenando il tono tra grottesco e lo scabroso. Assistiamo perplessi e divertiti alla scena di lei che si masturba, convinta di avere innanzi un cliente un po’ timido, ma lui reagisce con palese imbarazzato e al contempo è più disturbato che eccitato.
Noi ne sappiamo il motivo, ma l’ignara nuova arrivata no, e in preda ad una singolare crisi scappa in bagno, con sommo scorno del quasi serial killer che vede così sfumare il proprio piano tanto ben studiato nel dettaglio.
In questo, come in molti altri frangenti vige uno spinto black humor che si accompagna a repentini colpi di scena e svolte diegetiche, che portano il racconto a insoliti lidi. Si tratta di un gioco delle parti, in cui predatore e preda si confondono l’un l’altro, o meglio entrambi hanno in sé ambedue le nature. Il continuo cambiamento di rotta confonde chi guarda, percezione ancora più intensificata da oscuri inserti onirici che concretizzano gli spettri e il passato di Reed. [Fine SPOILER]
Quale sarà la realtà, quale l’allucinazione? Ad intensificare ulteriormente il nostro smarrimento sono poi alcune scelte stilistiche o visive portate avanti in Piercing da Nicolas Pesce: i metafisici modellini di palazzi inquadrati per gli esterni comunicano subito un senso di irrealtà; alcuni effetti speciali – comunque motivati dalla trama – come le pareti che palpitano o il pavimento che sembra fagocitare parti di un corpo sdraiato, sortiscono il medesimo effetto, suscitando – consapevolmente – un profondo turbamento.
Infine, a completare il tutto, di sottofondo, si aggiunge la colonna sonora tratta da noti esponenti del cinema giallo o comunque di genere italiani degli anni ’70, tra cui è possibile riconosce tracce da Profondo Rosso e Tenebre di Dario Argento, da La dama rossa uccide sette volte di Emilio P. Miraglia e da Tentacoli di Ovidio G. Assonitis.
La forma, come il contenuto, concorrono a un crescendo, che lascia quindi straniti e in parte disturbati, tutto ben si combina, siamo trasportati fino a un punto che pare essere l’apice poi … la grande delusione! E’ come se d’improvviso saltasse la luce sul più bello, scelta improbabile. Cosa abbia condotto il regista 28enne – attualmente impegnato sul set del reboot americano di The Grudge – a troncare tutto a tre quarti così, peraltro vista la durata assai limitata di circa 80 minuti compresi i – piuttosto dilatati – titoli di coda, non c’è dato saperlo, ma non può che lasciare un po’ delusi, viste le succulente premesse (chi scrive non ha però familiarità con il libro di Ryû Murakami).
Il finale aperto è ad effetto, non è casuale, ma così sembra di essere davanti al cliffhanger dell’ultimo episodio di una stagione di una serie TV, che deve mantenere alta l’attesa del pubblico fino alla successiva.
Non si può dire certo che Piercing sia un film da cestinare con sdegno, anzi, in molti aspetti è più che riuscito, ma si resta comunque insoddisfatti al suo termine, come un ottimo pasto troppo parco che lascia ancora la fame in chi ha appena mangiato.
Di seguito il trailer di Piercing, che arriverà direttamente in VOD e Digital HD l’1 febbraio 2019:
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