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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Elvis , uscita: 10-02-1979. Budget: $2,100,000. Regista: John Carpenter.

Recensione story | Elvis, il re del rock di John Carpenter (1979)

10/04/2020 recensione film di William Maga

Kurt Russell iniziava il suo proficuo sodalizio col regista impersonando splendidamente il cantante in un film per la TV che provava a ripristinarne amorevolmente il mito, distrutto dalla voci postume

elvis, il re del rock film 1979 Kurt Russell

Il 21 giugno 1977, Elvis Presley si esibì in due dei suoi ultimi concerti a Omaha, Nebraska, e Rapid City, nel Sud Dakota. Questi due spettacoli vennero filmati per la TV, programmati per essere gli ultimi di una serie di ‘film concerto’ e di spettacoli televisivi di enorme successo che avevano mantenuto altissima la popolarità del Re del Rock and Roll nella prima metà degli anni ’70. Ed era proprio questa la volontà del cantante: dopo quasi un decennio passato a girare film stravaganti invece di esibirsi sul palco, Elvis fu rinvigorito dal suo famoso speciale televisivo del 1968, tanto che l’anno successivo abbandonò definitivamente la carriera di attore e riprese a esibirsi dal vivo con una serie di concerti a Las Vegas.

In studio, trascorse diversi anni a ritrovarsi musicalmente, abbandonando il rumore vuoto delle sue colonne sonore cinematografiche e abbracciando melodie più riflessive e ispirate al country. Intanto, la sua vita personale andava a rotoli – un divorzio, la dipendenza dalle droghe e il continuo, costrittivo controllo della sua carriera da parte del “Colonnello” Tom Parker, sembravano logorarlo: esibirsi con materiale nuovo e vecchio sul palco sembrava essere l’unica cosa che lo rendesse davvero felice.

elvis, il re del rock film 1979 posterSei settimane dopo aver registrato i suddetti concerti, Elvis morì improvvisamente nella sua casa di Memphis. Aveva 42 anni. Per un’icona della cultura pop, la sua carriera è stata relativamente breve. Il suo periodo di rilevanza effettiva è stato ancora più breve, ma la sua importanza è stata enorme e permanente. John Lennon disse in modo inequivocabile: “Se non ci fosse stato Elvis, non ci sarebbe stati i Beatles.” Bruce Springsteen descrisse la sua influenza come “se fosse arrivato e sussurrato un sogno all’orecchio di tutti, e in qualche modo lo abbiamo tutti sognato”.

L’arrivo di Elvis sulle scene è stato un punto cruciale della storia della musica, e sebbene la nascita del rock non possa in realtà essere ricondotta a un solo individuo, Presley ne è stato consacrato il re. Qualunque possa essere il modo in cui sperperò quel regno, la sua morte è stata una delle più grandi notizie del secolo scorso, accusata da tutti, dai fan occasionali ai più devoti. Come affermò all’epoca il presidente americano Jimmy Carter, “la morte di Elvis Presley priva il nostro paese di una parte di se stesso”.

Poi, due mesi dopo la morte di Elvis Presley, la CBS mandò in onda lo speciale che avevano registrato a luglio.

Sudando copiosamente, la pelle pallida e cerosa, Elvis Presley appare chiaramente malandato mentre lotta per farsi strada vocalmente attraverso il suo catalogo di grandi successi. Crivellato dal diabete e da un glaucoma, il suo corpo pieno di chissà quante sostanze chimiche, l’Elvis presentato nello speciale della CBS era soltanto un’eco traballante dell’elettrizzante performer che appena 21 anni prima aveva cambiato per sempre il corso della musica pop. Fino ad oggi, gli eredi di Elvis Presley si sono rifiutati di distribuire sul mercato home video quel programma (anche se alcune clip si possono facilmente trovare altrove e i bootleg dell’intera trasmissione sono disponibili online).

Eppure, queste immagini poco lusinghiere e sgradevoli furono le ultime che il mondo della musica avrebbe ricevuto dal suo re ancora in vita. Era un brutto modo di salutarsi e pose le basi per il fiorente mercato dei tabloid scandalistici che iniziarono a banchettare con la sua carcassa. Arrivarono così notizie sulla tossicodipendenza di Elvis (200 prescrizioni mediche!), sulle sue catastrofiche abitudini alimentari (pesava 260 chili!) e sulle sue ultime ore (a faccia in giù sul tappeto del bagno!). La caccia era aperta al cadavere di Elvis, un regicidio postumo.

Alla fine degli anni ’70, non c’era l’On Demand, quasi nessuna TV via cavo e in effetti nemmeno i videoregistratori. Non si era liberi di rivivere i nostri momenti di intrattenimento preferiti con il clic di un pulsante su telecomando. Quindi, quello sfortunato concerto speciale della CBS rimase l’ultimo saluto del re. E per un fandom che poteva già a malapena accettare la morte del suo idolo (teorie cospirazionistiche sulla falsa morte di Elvis spuntarono in fretta …), era troppo da sopportare.

elvis, il re del rock film 1979 Kurt Russell e Season HubleyCosì, in quella che sembrò una risposta della stessa coscienza culturale collettiva, l’anno successivo la Dick Clark Productions organizzò un ambizioso progetto: un film TV biografico che ripercorresse l’ascesa alla celebrità di Elvis Presley. Avrebbe mostrato i suoi umili inizi da white trash nella “Squirrel Town” a Tupelo, Mississippi. Avrebbe mostrato i suoi imbarazzanti anni dell’adolescenza, in cui i suoi lunghi capelli e la predilezione per i vestiti “colorati” lo avevano reso un bersaglio di bulli.

Avrebbe mostrato il momento in cui fu ‘scoperto’ al Sun Studio di Sam Phillips, la sua incredibile carriera musicale e le sue numerose vittorie personali di fronte alle avversità e alla tragedia privata. E si sarebbe concluso con il suo trionfale ritorno sul palco nel 1970. Non avrebbe mostrato il suo inarrestabile aumento di peso, o le sue lotte per l’abuso di sostanze illecite, e non lo avrebbe mostrato morire in un dannato bagno da solo. Sarebbe andato in onda solo 18 mesi dopo la morte di Elvis e avrebbe restituito il re al suo popolo nel suo luccicante splendore.

Il regista John Carpenter, appena uscito dal clamoroso successo di Halloween – La notte delle streghe (la recensione) e probabilmente guidato al progetto dalla sua personale abilità musicale, è famigerato per essere poco sentimentale e molto diretto. Ma nelle interviste per questo film per la TV – un progetto che, stando alla sue parole, “ogni regista in circolazione aveva rifiutato” – John Carpenter ha rivelato una ragione insolitamente personale per volerlo girare: “Ci sto mettendo dentro molti dei miei sentimenti e come mi sento nei suoi confronti … è un film personale, perché ho sempre amato Elvis e sono sempre stato un fan … Mi interessa il suo personaggio e mi importa della sua storia.”

E parlando del progetto 35 anni dopo, “Amo Elvis Presley” era ancora la ragione dichiarata del filmmaker 72enne per aver realizzato Elvis, il re del rock. Questo atteggiamento deciso sgorga da ogni fotogramma del film. Si tratta di un lavoro realizzato da persone che hanno amato il cantante e si sono unite per una ‘missione di emergenza’ condivisa per salvarlo e risollevarlo dal pozzo in cui la storia lo aveva sprofondato.

elvis, il re del rock 1979 Kurt Russell filmIl protagonista scelto da John Carpenter aveva a suo volta un legame personale con il re. La prima apparizione cinematografica in assoluto di Kurt Russell avvenne infatti di fronte a una 27enne Elvis Presley in Bionde, rosse, brune … del 1963. All’epoca, il giovane Kurt Russell non era ancora un grande fan di Elvis, ma era stato felice di interpretare un ragazzo che dava alla star un calcio negli stinchi, un episodio che lanciò la sua carriera di attore bambino. Quindici anni più tardi, ecco che Elvis Presley dava un altro forte impulso alla carriera del 27enne Kurt Russell.

Nel suo primo ruolo importante da adulto, l’attore offre in Elvis, il re del rock una performance inaspettatamente maiuscola, trovando perfettamente il punto d’incontro tra imitazione e ritratto penetrante. L’Elvis di Kurt Russell non è un ritratto con ogni singolo pregio e difetto, ma qualcosa di più vicino, per esempio, alla rappresentazione di Cristo nel film Il re dei re da parte di Jeffrey Hunter: ci si può relazionare a lui come a un idolo su un piedistallo. Ma è una performance perfettamente al servizio dell’intervento d’emergenza del progetto, ovvero riparare la memoria della nazione su Elvis. Offrendo un ritratto stratificato e partecipato del re del rock, Kurt Russell abbandona qui effettivamente la sua pelle di “attore bambino” e dà inizio a una lunga e proficua carriera (oltre che a una lunga collaborazione con John Carpenter) vestendo i panno di una delle star americane più versatili e familiari.

Elvis, il re del rock cerca di cavalcare la sottile linea tra la mitizzazione e il ricordare alla gente – forse rimproverandola – che Elvis era un essere umano. Il fratello gemello nato morto di Elvis, Jesse Garon, reso in termini praticamente biblici altrove, gioca un ruolo sia nel mito che nella realtà. La madre di Elvis (Shelley Winters), con il cuore spezzato per il suo bambino perduto, conferisce un tono funebre e simpatetico alle prime scene in famiglia del film. Man mano che il successo di Elvis cresce, Gladys Presley fa capire che l’energia portata sul palco da suo figlio deriva dal fatto che lui possiede la forza vitale di due persone dentro di se. Più avanti nel minutaggio, Elvis si rivolge alla sua ombra sul muro chiamandola Jesse Garon, parlando con il fratello dei suoi dubbi e paure.

elvis, il re del rock Kurt Russell film 1979L’ascesa di Elvis è descritta come tumultuosa e accidentata, ma John Carpenter e lo sceneggiatore Anthony Lawrence stanno raccontando la leggenda, e tutte queste lotte affrontate da Elvis sono velate di nobiltà, dipinta con grandi pennellate. La morte si sua madre non lo induce a rivolgersi alle pillole e al cibo e a vagare in ben 31 film, quanto piuttosto gli spezza il cuore e lo conduce su un sentiero spirituale.

Il suo corteggiamento alla quattordicenne Priscilla (Season Hubley) non è strano e controverso, ma possiede il fascino di un gesto di un gentiluomo del sud. Quando distrugge una stanza e terrorizza la moglie incinta, non è a causa di sostanze stupefacenti o di un ego incontrollato circondato da individui compiacenti; è perché “stanno facendo casino con le mie CANZONI!” e hanno messo le voci di sottofondo a Elvis troppo basse nel mix. L’unico dito accusatori è puntato contro la fama e verso un mondo troppo desideroso di prendere tutto ciò che conta dalla vita personale di Elvis. C’è del dramma, ma non scava mai troppo in profondità. Le ferite sono ancora troppo fresche ed Elvis, il re del rock sta trattando l’argomento con estrema premura.

Il film di John Carpenter termina così con Elvis sul palco, intrappolato in un finto fermo immagine, come se l’intera produzione si stesse rifiutando di riconoscere la terribile fine che si stava per prospettare al protagonista. È un addio dignitoso, anche se forzato, progettato per lavare via i ricordi del riprovevole circo mediatico dell’anno precedente. Finiamola qui, sembra supplicare il film. Cerchiamo di correggere la realtà e sostituirla con questo ricordo, questo avatar, questa rassicurante mezza verità. E ripristinato il mito.

Di seguito la scena in cui Kurt Russell canta ‘Blue Moon of Kentucky’ da Elvis, il re del rock, uscito solo nel 2019 per la prima volta in DVD in Italia (senza doppiaggio, solo sottotitoli):

Fonte: BMD

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