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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Lost in La Mancha , uscita: 11-02-2002. Regista: Louis Pepe.

Recensione story | Lost in La Mancha di Keith Fulton e Louis Pepe

07/01/2020 recensione film di William Maga

Nel 2003 usciva il documentario che raccontava la storia del kolossal 'abortito' The Man Who Killed Don Quixote di Terry Gilliam, perseguitato dalla sfortuna, tra alluvioni, prostate malate e rumorosi caccia F-16

Johnny Depp e Terry Gilliam in Lost in La Mancha (2002)

Andare a girare un film nel deserto, e vedersi distruggere il set da un’alluvione, significa essere perseguitati dalla sfiga. Soprattutto quando, un paio di giorni dopo, il protagonista si ammala di prostata e dev’essere ricoverato in clinica a Parigi, mentre il regista e la troupe lo attendono invano a Madrid. Sì, non aveva torto il direttore della fotografia (l’italiano Nicola Pecorini) quando parlava, appunto, di «sfiga»: e poiché sta parlando in inglese, spiega l’etimologia della parola come «the negation of pussy», là dove «pussy» è quella cosa che si ottiene togliendo alla sfiga la «s» iniziale. Tutto questo per dire che «sfiga is different from bad luck», la sfiga è una cosa diversa dalla sfortuna. Come dargli torto?

La sfortuna può essere cosmica, e quella che ha cancellato dalla storia del cinema il film di Terry Gilliam The Man Who Killed Don Quixote lo è stata davvero, almeno prima dell’uscita, 20 più tardi, di L’Uomo che uccise Don Chisciotte naturalmente (la nostra recensione). Aveva proprio ragione il regista americano, quando alla fine disegnava un Don Chisciotte preso a mitragliate da soldati nascosti nei mulini: quella raccontata era una storia in cui i mulini a vento vincevano, un po’ come nel romanzo di Miguel de Cervantes. E – prima del lieto fine – forse i mulini a vento erano destinati a vincere sempre.

lost in la mancha film poster 2002Viaggio nel tempo

La storia raccontata da Lost in La Mancha, il documentario di Keith Fulton e Louis Pepe distribuito nei cinema italiani nel 2003 non è certo unica nella storia del cinema, ma certo è paradossale in modo quasi esagerato. È la storia di un film non fatto: Terry Gilliam, ex Monty Python, geniale e visionario regista di film come Brazil, Le avventure del barone di Munchausen, La leggenda del Re Pescatore e Paura e delirio a Las Vegas, all’epoca aveva sognato per un decennio di raccontare la storia dell’hidalgo più folle di Spagna. Aveva anche trovato la chiave giusta per farlo: partire dall’oggi e far compiere a uno scrittore moderno (l’avrebbe interpretato Johnny Depp) un viaggio nel tempo, fino a fargli incontrare lo squinternato Don (l’attore francese Jean Rochefort), che immediatamente lo scambia per Sancho Panza e lo coinvolge nelle sue deliranti avventure. Come noto, quella dei viaggi nel tempo è un’ossessione di Terry Gilliam sin dai tempi di I banditi del tempo, forse il suo film più riuscito e originale assieme a Brazil.

The Man Who Killed Don Quixote sarebbe stato una riflessione sul tempo, sulla creatività, sugli universi paralleli, sulla libertà della fantasia e sul suo carattere sempre e comunque rivoluzionario. Un film in costume, con effetti speciali a iosa, quindi molto costoso eppure assai poco «hollywoodiano»: e, peraltro, Hollywood è un luogo dove Terry Gilliam – che pure era l’unico americano dell’inglesissima squadra dei Monty Python – è considerato un pazzo pericoloso almeno dai tempi del Munchhausen, film che andò over-budget, oltre i costi previsti, dopo nemmeno 6 settimane di riprese e si rivelò un colossale, costosissimo fiasco al botteghino. Per cui Terry Gilliam, che per altro da anni ha una casa in Italia (a Città di Castello), era riuscito a chiudere produttivamente il film in Europa, con produttori inglesi francesi e spagnoli e un costo (modesto) di 32 milioni di dollari.

Sembrava tutto pronto. Ma poi, come dicevamo all’inizio, arrivò la sfiga. Ben evocata, bisogna dire: perché le immagini raccolte da Keith Fulton e Louis Pepe in Lost in La Mancha hanno un crescendo di sottile tensione. La catastrofe sembra sempre imminente perché la produzione appare tutt’altro che irreprensibile. Anzi, è abbastanza sinistro vedere Terry Gilliam che si diverte come un pazzo a preparare il film, a supervisionare costumi e marionette, soprattutto a scegliere tre panzoni spagnoli per il ruolo dei giganti; e, contemporaneamente, capire che i soldi stanno finendo, le assicurazioni non coprono nulla e nessuno e gli attori – soprattutto Johnny Depp e Vanessa Paradis – non arrivano mai sul set.

Da un lato c’è Terry Gilliam che sghignazza, si entusiasma e trasuda ottimismo; dall’altro c’è il suo aiuto – Phil Patterson – che smania, trema, si incazza e non ottiene mai nulla di concreto. Il sentore del disastro si ha nettamente quando la troupe arriva negli «studi» di Madrid e scopre che sono vecchi magazzini non insonorizzati; lì, persino il placido Terry alza la voce, e un uomo meno anglosassone di lui annuserebbe immediatamente la «sòla», tanto per usare un’altra parola italiana (anzi, romana) più espressiva del semplice «fregatura».

Jean Rochefort in Lost in La Mancha (2002)Ricoveri, deserti, piogge torrenziali

Poi, però, iniziano le riprese di The Man Who Killed Don Quixote e gli dei cominciano a divertirsi. Jean Rochefort riesce a girare alcuni ciak a cavallo e rischia di morire: lo riportano a Parigi, gli trovano la prostata in fiamme e lo ricoverano seduta stante.

Vanno a girare nel deserto, a due passi da una base Nato: prima gli F-16 di passaggio rovinano il sonoro, poi Giove Pluvio apre le cateratte, la pioggia si porta via il set e le residue speranze di continuare (anche perché il deserto, quando piove, fiorisce tutto: e al diavolo la continuità). Johnny Depp riesce a girare un paio di inquadrature (con la gogna al collo e la faccia tutta zozza: ma rimane belloccio anche in quelle condizioni) e poi deve tornare in America a girare altri 7 o 8 film.

Alla fine, Terry Gilliam resta solo con il suo storyboard (splendido): i disegni preparatori delle varie sequenze di rimarranno l’unica testimonianza – assieme a pochi ciak stampati – di un possibile capolavoro, perché sulla carta questa versione del Don Chisciotte avrebbe potuto essere un gioiello, quasi sicuramente differente da quella arrivata ‘ridimensionata’ nel 2018.

Va ricordato che la ‘maledizione dell’hidalgo’ colpì anche Orson Welles, che si andò a sfracellare contro i mulini a vento, sport nel quale era, per altro, campione del mondo senza rivali. Tuttavia, in realtà, di Don Chisciotte al cinema se ne sono visti tanti. E se il più memorabile rimane il Fjodor Scialiapin (sì, il grande cantante russo) nel film di Georg Wilhelm Pabst del 1933, il più caro ai cuori di molti italiani rimane probabilmente Ciccio Ingrassia. Lui e Franco Franchi sembravano nati per quei ruoli: e li fecero in un film del 196, diretto da Giovanni Grimaldi, intitolato proprio Don Chisciotte e Sancio Panza. Chissà se Terry Gilliam l’ha visto …

Di seguito il trailer internazionale di Lost in La Mancha: