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Riflessione | Cinema vs. coronavirus (Part IV): il business è morto, viva il business!

10/04/2020 news di Laura Da Prato

Si conclude il nostro approfondimento sul complesso momento storico che stiamo affrontando, cercando di anticipare i possibili scenari una volta conclusa la pandemia

cinema abbandonato

Dopo la primala seconda e la terza parte, terminiamo il nostro approfondimento a puntate sulle possibili ripercussioni della pandemia di coronavirus (COVID-19) sul mondo del cinema e dell’intrattenimento una volta che la situazione tornerà più o meno all’antica ‘normalità’.

Laura Da Prato (redattore e frequentatrice di sale cinematografiche)

Ormai superato il primo mese di quarantena mondiale e affacciatesi le prime proposte per la visione dei film non usciti in sala, mi pare chiara solo una questione: non c’è una vera soluzione per continuare a diffondere i film e portare avanti la filiera cinematografica come “prima”, ma senza la “reale” catena che c’era PRIMA. Non è solo una questione di socialità, dell’esperienza condivisa della sala (che non credo potrà a breve riprendere la sua attività, neppure rispettando le distanze e/o riducendo le capienze, mi pare una visione miope e semplicistica) o dell’interesse per la settima arte: ma nel 2020, dove TUTTO è immagine e dove le immagini in movimento viaggiano ancora più rapidamente grazie alla connettività, è altrettanto palese che siamo invasi da contenuti multimediali più o meno artistici e più o meno interessanti che stanno saturando quello che era il “mercato”.

cinema imax 4kE poi, parlo per il pubblico occidentale, abituati come siamo a reperire in qualsiasi modo, sia esso legale o meno, quello che ci interessa, perché dovremmo sottostare a nuovi abbonamenti o noleggi a prezzi che ci paiono, per la visione casalinga, esorbitanti (16€/19$ per gli ultimi titoli Universal)? Difatti, le ultime operazioni che hanno mosso in tal senso, attraverso lo streaming legale e nuove affiliazioni virtuali, per ora non mi paiono aver risolto o aiutato i problemi distributivi dei film legati alla chiusura delle sale. Parliamoci chiaro: non abbiamo, in Italia, molte sale all’avanguardia, perfettamente funzionanti e ben tenute e un pubblico educato alle regole non scritte del cinema, e spesso anche il prezzo di un biglietto è stato causa di proteste da parte dei moviegoers, ma ignorare il fatto che la sala sia un passaggio NECESSARIO, tutt’oggi, nella filiera cinematografica, è da sciocchi, e forse da ingenui.

Dall’uscita dei teaser poster ai teaser trailer (che hanno allungato la catena delle immagini e dei video promozionali dei film, da qualche anno a questa parte) fino a tutta l’attività stampa e marketing virale, ecco tutto questo lavoro immenso funziona sì per l’uscita in sala e il buon esito della “tenitura” del primo weekend, ma al tempo stesso è legato a doppio filo e quindi garantito dalla certezza della visione in sala, che garantirà, allo stesso modo, visibilità e passaparola praticamente a costo zero, attivando, nuovamente, quella catena di comunicazione diretta e immediata rappresentata dai social media, dove ognuno riversa immediatamente le proprie impressioni.

Ecco, vedo difficile interrompere questa complessa catena, per questo -e parlo da pessimista costruttiva- nonostante siamo lontani dalla riapertura delle sale, credo che si potrebbe tornare a ragionare della centralità del luogo fisico che è un po’ il collante della filiera, non solo per i cinema in sé e per la loro sopravvivenza – si sa, le sale non godono di grandi capitali- ma proprio per l’intero settore produttivo e distributivo che ha bisogno anche di vedere, di far vedere, dei suoi numeri e delle sue cifre, da dimostrare e su cui poter dialogare.

the irishman scorsese film netflixPotrei fare un esempio che suona strano, ma secondo me, che vivo questo mondo sia dalla parte degli esercenti che da quella di chi viene “ospitato” dalle sale, basta vedere l’affaire Netflix e mi riferisco alla gigantesca campagna di marketing che la piattaforma ha messo in piedi per due film molto importanti per i cinefili, Roma di Alfonso Cuarón e The Irishman di Martin Scorsese (la recensione): il primo è un film prodotto da Cuarón con la sua Esperanto Film e Participant Media, poi acquisito per la distribuzione da Netflix, mentre l’altro è stato proprio prodotto dalla società fondata da fondata da Reed Hastings e Marc Randolph ed entrambi hanno goduto di una promozione senza pari, che ha permesso loro di arrivare agli Academy Awards e proprio il passaggio in sala -tanto richiesto dai registi quando apparentemente osteggiato dalla distribuzione – ha dato alle due opere e a Netflix quella visibilità necessaria per l’approdo al Dolby Theatre e per l’incremento degli abbonamenti alla piattaforma.

Quindi, se anche per Netflix il passaggio / la cessione alla sala ha significato maggiore visibilità (e allo stesso modo per lo sbigliettamento in sala posso assicurarvi che l’investimento promozionale della piattaforma è stato fondamentale), mi risulta difficile pensare che in un futuro vicino, sia tra 4 mesi o tra un anno, si possano escludere o bypassare i cinema nella filiera che li vede ancora come mezzo e strumento di promozione. E non parlo di arte o cinema d’essai, ma intendo dal mero punto di vista economico, anche se continueranno a faticare, gli esercenti, e dovranno inventarsi nuovi modi per attrarre un pubblico sempre più pigro e sempre più settorializzato. Ma se riparte la filiera, ripartiranno anche i cinema.

Per quello che riguarda la mia esperienza personale, da collaboratrice di Festival e soprattutto di una società che gestisce un gruppo di sale, posso dire che queste sono realtà che non possono e non potranno vivere o sopravvivere affidandosi a piattaforme o a strutture virtuali, pezze d’appoggio in questo momento di emergenza (come Mymoviesacasa o l’approccio VOD che sta utilizzando il Cinema Beltrade, ad esempio): i Festival perché occasioni uniche di incontro e scambio tra professionisti del settore e vetrina imperdibile per il lancio dei film (basta pensare alle ultime edizioni della Mostra del Cinema di Venezia, rilanciata dall’acquisizione di una serie di titoli che hanno poi conquistato gli Oscar l’anno successivo, creando un circolo virtuoso) e/o, per quello che riguarda le manifestazioni “minori” perché vetrina e promozione del proprio territorio; le sale, come le “mie”, perché lavorano, in provincia, proprio su – e “grazie a” – lo stretto rapporto con il pubblico, o meglio con i diversi pubblici che si vengono a creare con una programmazione mirata e come dicevo prima settorializzata e che poi vanno a influenzare l’offerta cinematografica.

Venezia 74 (3)Nei cinema come quello di Pietrasanta – città d’arte e d’adozione dello stesso Alfonso Cuarón, ndr – o quello della cittadina di Camaiore (uno dei comuni più estesi d’Italia), che non aderiscono a catene e lavorano talvolta come sale d’essai di comunità, il lavoro di programmazione va di pari passo con le piccole campagne di marketing che sono indissolubilmente legate a un pubblico reale, fisicamente presente, per cui l’affiliazione avviene proprio attraverso le singole iniziative sul luogo, per le scuole del territorio e per le nicchie di pubblico che si viene a creare attraverso un lavoro massiccio sulla comunicazione e sui social media (contest, eventi con ospiti, abbonamenti) che riportano tutto allo sbigliettamento.

Ripartire per noi quindi potrebbe essere complicato, se dovessero mancare quei titoli – 5 o 6 in un anno – che raccolgono il cosiddetto “grande” pubblico, come i film Disney, Pixar o Marvel, ma sicuramente potremmo godere di una “piccola fetta di mercato” degli aficionados delle nostre sale per cui non mancheranno, stando alle ultime dichiarazioni dei distributori, titoli italiani e europei, che stanno posticipando l’uscita. Stare fermi farà male a noi lavoratori, ma se tutta la filiera si fermasse e poi ripartisse compatta  e non contingentata, ma in totale sicurezza, forse tra 4 o 5 mesi.

Fine …