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Titolo originale: スウィートホーム , uscita: 21-01-1989. Regista: Kiyoshi Kurosawa.

Riflessione: Sweet Home, l’horror di Kiyoshi Kurosawa senza cui Resident Evil non esisterebbe

14/05/2018 news di Redazione Il Cineocchio

Ripercorriamo la storia di come il film giapponese pressoché sconosciuto uscito nel 1989 è stato fondamentale per la nascita della celebre saga di videogame

Dopo aver debuttato lo scorso anno a Cannes ed aver fatto il giro dei festival (tra cui Neuchâtel, Sitges e in ultimo il BIFFF di Bruxelles ), Before We Vanish (la nostra recensione) di Kiyoshi Kurosawa è stato infine distribuito anche negli Stati Uniti. Il 62enne regista nipponico ha mostrato ancora una volta il suo estro creativo con una pellicola sci-fi alquanto inventiva e a tratti grottesca che certo ricorda L’invasione degli ultracorpi (Invasion of the Body Snatchers), riuscendo a stupire il pubblico del cinema fantastico. D’altra parte, i più accaniti fan del J-horror, lo ricordano bene come colui che nel 2001 ha girato uno dei capostipiti del genere, ovvero Pulse (Kairo). Certo, non tutta la sua filmografia è stata altrettanto esaltante, eppure un’altra pellicola, che forse molti meno conoscono, è stata determinante per la mitologia horror occidentale dell’ultimo decennio e ha influito su uno dei più celebri franchise di videogame – e poi saga di film – di sempre… Si tratta di Sweet Home (Sûîto Homu), che ha ispirato Resident Evil.

Sweet Home – Il Film

Siamo nel 1989 e Kiyoshi Kurosawa, astro emergente con una manciata di titoli a curriculum, inizia a scrivere la sceneggiatura di Sweet Home. Al centro della storia c’era una casa stregata, immersa in un suo proprio immaginario e con innumerevoli opportunità di inserire spaventi che potessero deliziare il pubblico. La produzione cominciò grazie all’interesse dell’attore e regista Juzo Itami, che aveva in precedenza recitato per Kurosawa nella musical sex comedy The Excitement of the Do-Re-Mi-Fa Girl (Do-re-mi-fa-musume no chi wa sawagu) e che, salito a bordo come produttore, aveva assicurato un ruolo nel film alla moglie, Nobuko Miyamoto. Infine, per la distribuzione di Sweet Home ci si era garantiti addirittura il supporto della storica Toho.

La trama riprendeva i caratteri tipici del genere della ‘casa stregata’ e tra le possibili fonti ispiratrici ci sono senza dubbio Gli invasati (The Haunting) di Robert Wise e Poltergeist di Tobe Hooper. Una troupe cinematografica si intrufolava in una vecchia, sgangherata villa dai terrificanti trascorsi (e sappiamo come non sia mai una buona idea …). La magione un tempo apparteneva a Ichirō Mamiya, un celebre artista assai tormentato. Gli intrusi speravano difatti di rinvenire i suoi affreschi da tempo perduti e celati da qualche parte tra le fosche mura, registrando il tutto per cavarne un documentario. La troupe era composta dal regista Kazuo (Shingo Yamashiro), segretamente invaghito della sua adorabile produttrice Akiko (Nobuko Miyamoto), che lo aiutava a prendersi cura della figlia adolescente, Emi (Nokko). Se infine immediata era l’empatia che gli spettatori potevano provare per il trio di protagonisti, si scopriva ben presto che il resto del cast di contorno costituiva praticamente solo materiale utile per il body counting

Man mano poi che il minutaggio avanzava, la vicenda cominciava a seguire lo schema consueto del sottogenere. Qualcuno veniva posseduto dallo spirito della moglie di Mamiya, disperata per la morte prematura del figlio in un tragico incidente. Altri finivano vittime di un’oscura forza che rivendicava la vita di coloro che erano rimasti intrappolati all’interno della magione maledetta. La narrazione comunque risultava piuttosto secondaria, mentre massima attenzione era stata destinata agli eleganti set colorati e agli effetti speciali. E nonostante il tono più leggero e sciocco della prima parte, la situazione diveniva presto decisamente più cupa in un lungo crescendo di angoscia, il cui apice veniva raggiunto nel finale.

È un peccato che Sweet Home – ovviamente inedito in Italia – non abbia avuto il seguito che avrebbe meritato. Si tratta infatti di un un film divertente e capace di regalare dei sani brividi, in grado di esaltare i fan dell’horror anni ’80 con i suoi effetti speciali eccentrici. Insomma, si tratta di qualcosa di diverso da ciò a cui Kiyoshi Kurosawa ci avrebbe abituato in seguito, tra corpi liquefatti, asce piantate nei crani dei personaggi e torsi smembrati che gattonano … Il pezzo forte, tuttavia, è una battaglia che culmina con un gigantesco demone realizzato in animatronic davvero impressionante solo per la sua pura presenza sullo schermo. Ciò non dovrebbe sorprendere, tuttavia, poiché il maestro del trucco prostetico Dick Smith (L’Esorcista) fu chiamato apposta in Giappone per crearlo e animarlo.

Quindi, perché Sweet Home è così poco conosciuto e nessuno ne parla mai?! La verità è che non fu distribuito al di fuori dal Giappone e, ad eccezione di un rarissimo laserdisc, il film visse e morì in VHS. Peggio ancora, il produttore Juzo Itami fu apparentemente scontento di alcune scelte creative prese da Kiyoshi Kurosawa e dopo una prima uscita nelle sale cinematografiche locali, volle girare nuove scene, riducendone anche la durata per provare a renderlo ancora più mainstream. E proprio questa da 100′ è l’unica versione che esiste ancora ai giorni nostri, mentre la director’s cut di Kurosawa non ha mai visto nessun tipo di distribuzione in home video. Secondo quanto riferito però, quest’ultima esisterebbe ancora celata in un caveau della Toho, in attesa che qualcuno la riscopra e la riporti alla luce … In tutto ciò, il regista ha rinnegato pubblicamente il film nel suo stato attuale.

Sweet Home – Il videogioco

Ripercorrendo le fasi che hanno portato dal film di Kurosawa a Resident Evil, un passaggio fondamentale è costituito dall’uscita di un videogame. In una mossa di marketing abbastanza geniale, il film venne infatti distribuito praticamente in tandem con un videogioco per Famicom (il Nintendo giapponese) che aveva proprio lo stesso titolo, Sweet Home. In effetti, i due erano stati anche pubblicizzati insieme, il che causò una certa confusione su quale sarebbe uscito per primo. Comunque sia, distribuito dalla Capcom, il gioco fu realizzato da Tokuro Fujiwara, che aveva da poco terminato uno dei suoi titoli più conosciuti, Ghosts ‘n Goblins, e al quale Kiyoshi Kurosawa aveva lasciato grande libertà in termini di sviluppo della storia.

Gran parte del videogame di Sweet Home è comunque molto simile al film. Si tratta di un RPG top-down (in stile Zelda), in cui cinque filmmaker vengono intrappolati all’interno di una casa di fantasmi infestata da spettri e zombie e devono raccogliere oggetti e risolvere enigmi per sopravvivere. L’aspetto rivoluzionario era tuttavia la necessità di giocare incarnando ogni personaggio, dato che ciascun specifico enigma richiedeva l’abilità detenuta solo da uno di essi. Una volta che un giocatore moriva nel gioco, significava game over per tutti! Ogni scelta fatta culminava quindi in uno dei diversi finali possibili. Similmente al film, anche il videogioco non approdò mai sul suolo statunitense, forse a causa di una grafica che difficilmente avrebbe avuto successo tra i player americani. Comunque sia, Tokuro Fujiwara era sicuro che l’horror avrebbe sbancato nel mercato dei videogiochi come lo aveva fatto nell’industria cinematografica. A distanza di quasi un lustro, nel 1993, iniziò quindi lo sviluppo di un remake di Sweet Home, sempre della Capcom, con Fujiwara come produttore, che nel 2012 dichiarò a GlitterBerri:

La premessa di base era che sarei stato in grado di realizzare le cose che non avevo potuto inserire in Sweet Home. Fu soprattutto sul fronte grafico che la mia frustrazione era stata maggiore. Ero anche convinto che i giochi horror avrebbero potuto diventare un genere a sé stante.

Come sappiamo, il videogame fu diretto da Shinji Mikami e fu intitolato Resident Evil. Il resto è storia. Le somiglianze con Sweet Home sono effettivamente numerose, dall’avere la possibilità di scegliere tra più personaggi al fatto che prendere una decisione determinasse differenti evoluzioni della trama, fino alla gestione limitata dell’inventario a disposizione e l’uso di note musicali inquietanti mentre la narrazione incede. In conclusione, senza Sweet Home, Resident Evil non sarebbe mai esistito (almeno nella forma che conosciamo oggi).

Di seguito vi diamo un assaggio comparativo tra film e videogioco di Sweet Home, con un trailer (in giapponese) che combina entrambi:

Fonte: BD

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