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Voto: 7/10 Titolo originale: Sea Fever , uscita: 12-06-2020. Regista: Neasa Hardiman.

Sea Fever – Contagio in alto mare | La recensione del film fanta-horror di Neasa Hardiman (Sitges 53)

11/10/2020 recensione film di Marco Tedesco

Hermione Corfield e Connie Nielsen sono le protagonisti di un'opera paranoide e claustrofobica ispirata a un paio di classici del genere, ma che risuona oggi più attuale che mai

sea fever film horror 2020

Ogni film nel 2020 è, in pratica, diventato un horror. Perfino guardare un’innocua commedia romantica significa provare brividi di disagio istintivo, innescati da scene di persone che si abbracciano o che assistono a un concerto o che non passano il tempo a disinfettarsi le mani. Certo, alcuni titoli potrebbero effettivamente beneficiare, per così dire, dell’ansia che stiamo gettando sullo schermo. Prendi, ad esempio, Sea Fever – Contagio in alto mare.

Ambientato a bordo di un peschereccio irlandese infestato da sconosciuti e letali parassiti acquatici, questo thriller sci-fi in scala ridotta non vincerà un premio per l’originalità: è ben interpretato e ragionevolmente intelligente, ma non può che rimanere schiacciato dall’inevitabile confronto con quel paio di classici ai quali evidentemente si rifà. La cosa (o La Cosa in questo caso …) è che è difficile soffermarsi troppo sul concept di questi creature feature quando la mente facilmente balza al parallelo tra gli eventi mostrati sullo schermo e quelli che si sta svolgendo nella vita reale.

In soldoni, i personaggi di Sea Fever costretti a coesistere in spazi ridotti, stressati da una minaccia di cui si conosce molto poco e altamente trasmissibile da un individuo all’altro, oggi non possono che apparire come un accidentale e incredibile coincidenza, un horror ‘perfetto’ per l’orribile presente che stiamo vivendo da diversi mesi. Potrebbe essere ancora più spaventosamente attuale solamente se si svolgesse su una nave da crociera.

SeaFever.jpgL’ ‘eroina’ di Sea Fever, una studentessa laureanda in biologia comportamentale con la tendenza ad allontanare in modo piuttosto scientifico tutti quanti quelli che le stanno intorno, può sembrare probabilmente un po’ più simpatica oggi di quanto non sarebbe stato solo sei mesi fa, quando il primo lungometraggio di Neasa Hardiman ha debuttato nel circuito dei festival.

“Io non sono una che si unisce”, dice Siobhán (Hermione Corfield) al suo professore quando lui la incoraggia ad allontanarsi dal microscopio per festeggiare con i suoi compagni di corso; la ragazza è una professionista del distanziamento sociale prima che diventasse cool. La sua innata scortesia, unita alla superstizione che i capelli rossi portino sfortuna in mare, la mettono subito in contrasto con l’equipaggio del peschereccio su cui si imbarca per effettuare qualche ricerca per la sua tesi.

Ma la sua natura freddamente analitica torna presto utile, quando un’anomalia sottomarina – un’enorme creatura tentacolare simile a un calamaro (o una medusa) – attacca i suoi tentacoli bioluminescenti all’imbarcazione, bloccandola come un’ancora. Il vero pericolo è però ciò che scatena attraverso lo scafo: una sostanza oleastra e azzurrognola da cui si schiudono minuscoli e brulicanti parassiti, che trovano immediatamente una ferita aperta o l’orifizio umano più vicino all’interno del quale poter proliferare. La parte più disgustosa? A loro piace stare negli occhi, il che è utile per il loro rilevamento ma è anche uno degli ultimi posti in cui vorresti che un organismo ostile venisse ad abitare.

Ancora una volta, tutto ciò può ispirare una sensazione di déjà vu in chiunque possieda anche solo una familiarità passeggera con quei film in cui un piccolo gruppo di ‘lavoratori’ (tecnici, operai, scienziati ecc.) si ritrovano ad affrontare una creatura invasiva in un luogo isolato. L’equipaggio di Sea Fever, che include un capitano che ne ha viste tante (Connie Nielsen), suo marito e primo ufficiale (Dougray Scott), il sensibile ‘stallone’ (Jack Hickey) su cui Siobhán fa colpo, una pescatrice stagionata (Olwen Fouéré) e due marinai stranieri (Ardalan Esmaili ed Elie Bouakaze) non è altro che una variazione marinara del ‘manifesto intergalattico’ della Nostromo di Alien (c’è persino una scherzosa scena a tavola subito prima che si scateni l’inferno).

A quel filamento di DNA ridleyscottiano Sea Fever aggiunge poi anche una goccia di sangue prelevato a John Carpenter, sostituendo una piastra di Petri e un lanciafiamme con una torcia che brilla direttamente nella pupilla del potenziale infetto. Nel frattempo, una deviazione a remi verso una nave più grande che i protagonisti vedono fluttuare minacciosamente in lontananza rievoca altre pietre miliari di entrambi i generi (fantascienza e horror), oltre alla loro innumerevole progenie di epigoni (tra cui Leviathan o Cabin Fever, se si parla nello specifico di virus mortali e acqua …).

Onestamente, la sceneggiatrice e regista Neasa Hardiman, una veterana della TV che ha diretto un paio di episodi della serie Jessica Jones, avrebbe potuto emulare le sue influenze in modo più spudorato, o almeno un po’ più enfaticamente. Al di là della sua gustosa reinterpretazione della famosa sequenza del chestburster di Alien, poche altre sequenze raggiungono infatti livelli comparabili di intensità, paranoia o nausea (ma d’altro canto, chi ci è mai riuscito??). Tuttavia, c’è anche qualcosa di rinfrescante nel minimalismo di Sea Fever: il modo in cui mantiene tutto nel regno dei comportamenti plausibili e di una parvenza di “realismo”, evitando di impegolarsi in eventuali leggende locali riconducibili alla ‘febbre del mare’ del titolo.

sea fever film 2020 Armata di un budget presumibilmente limitato, Neasa Hardiman resiste lodevolmente alla tentazione di trasformare l’azione in qualcosa di smaccatamente hollywoodiano, buttandola in esplosioni pirotecniche e mattanza; distribuisce gli effetti speciali con parsimonia, il che si rivela un vantaggio, perché sono meno convincenti delle reazioni angosciate del cast nei loro confronti. Allo stesso modo, non abbiamo in Sea Fever comportamenti particolarmente ‘sovrumani’: solo Siobhán, nel suo distacco emotivo, si avvicina a qualcosa di simile a un androide, mentre i suoi compagni di sventura rispondono alla situazione con paura, panico e lacrime credibili.

Si potrebbe forse desiderare che il film amplificasse meglio la drammaticità del suo scenario claustrofobico. Durando appena 89 minuti, è quasi fin troppo veloce per riuscire ad impostare adeguatamente il conflitto principale tra il costante pragmatismo della ‘secchiona’ e gli impulsi umani più disordinati di tutti gli altri a bordo; e per quanto schematico sia questo divario, Sea Fever lo affronta con troppa moderazione: materiale del genere avrebbe richiesto qualche altro momento da brivido (rischiando però la troppa prevedibilità e implausibilità).

Tuttavia, non si può negare che il film sul finale raggiunga un confronto di inquietante rilevanza. Di fronte alla probabilità che uno – o tutti – siano infettati da questo parassita, Siobhán sostiene che la nave non possa assolutamente tornare sulla terraferma finché non sapranno di per certo di essere sani; una conclusione logica che viene accolta da una comprensibile ma illogica resistenza. In altre parole, Sea Fever finisce per essere un fanta-horror su qualcuno che cerca di convincere la gente a mettersi in quarantena per il bene di tutti gli altri. È fantascienza, soprattutto nella possibilità che la ragazza possa avere successo nel suo intento.

Di seguito il trailer internazionale di Sea Fever – Contagio in alto mare: