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Riflessione: esplorando la fascinazione di David Bowie per la fantascienza

10/01/2018 news di William Maga

Il rapporto della star scomparsa nel 2016 con la sci-fi non si ferma alla partecipazione al film L'uomo che cadde sulla Terra, ma si spinge molto oltre, come si può capire dai testi delle sue canzoni

In un episodio della serie HBO Vinyl, Zak (Ray Romano) incontra David Bowie (al secolo David Robert Jones), che stava provando con la band di Ziggy Stardust, gli Spiders from Mars. Il discografico chiede al futuro Duca Bianco se tornerà sulle scene come l’alieno che avevano imparato ad amare o come lo scrittore dell’album Hunky Dory [1971] che aveva fatto impazzire il pubblico. E’ lì che il cantante suggerisce che Ziggy si è ritirato su Marte. Ci sta, anche se lo show è ambientato negli anni ’70 e questa battuta fa molto 1982 … Bowie era d’altra parte un artista dell’altro mondo, immerso in ogni forma di fantascienza, tanto da esser stato persino inserito nella Science Fiction and Fantasy Hall of Fame nel giugno 2013.

Quando Bowie è scomparso il 10 gennaio del 2016 non solo si è lasciato dietro tutta una serie di produzioni indimenticabili, ma anche in tutti i fan il rimpianto di aver avuto ancora molto da dire. Il suo ultimo album, Blackstar, uscito solo pochi giorni prima della morte, racchiudeva la promessa universale delle infinite possibilità celate nel vasto vuoto dello spazio.

Bowie per prima cosa consolidò la propria immagine pubblica come performer stellare, tanto che non si può davvero rimproverare nessuno per aver spesso scambiato l’uomo con lo Starman, ‘l’uomo delle stelle’. D’altra parte, l’extraterrestre del rock and roll venuto da un’altra dimensione ha fin dal debutto (1967) sempre asserito che non avremmo dovuto “aver paura dell’uomo sulla Luna, perché sono solo io” (dalla canzone Man in the Moon).

Nato a Londra nel 1947, fece irruzione nella cultura popolare collettiva con la hit Space Oddity, che l’ex – e futuro – attore cantò nei panni del personaggio immaginario dell’astronauta Major Tom. La canzone, registrata il 20 giugno 1969, venne diffusa cinque giorni prima del lancio dell’Apollo 11, che atterrò sulla superficie lunare il 20 luglio dello stesso anno. E la NASA in un certo senso ha adottato questa canzone una generazione dopo, quando gli astronauti dello Space Shuttle Columbia dissero che proprio la musica di Space Oddity era stata impostata come sveglia mentre si trovavano nello spazio nel giugno del 1996. Anche i membri dell’equipaggio dello Space Shuttle Atlantis dichiararono di intrattenersi con una selezione dei successi di Bowie nell’ottobre del 2002. Inoltre, fu l’astronauta canadese Chris Hadfield a imporre nuovamente all’attenzione generale Space Oddity suonandone una versione acustica dalla Stazione Spaziale Internazionale il 12 maggio del 2013. Infine, quando Bowie ha lasciato per sempre il nostro pianeta, lo stesso Hadfield ha twittato: “Cenere alla cenere, polvere alla polvere di stelle. Il tuo genio ci ha ispirato tutti. Addio Starman”. Major Tom è più che una mascotte dei viaggi spaziali, è decisamente un astronauta ad honorem.

Tale personaggio, sorta di alter ego, avrebbe peraltro continuato a essere una voce spettrale attraverso alcuni dei racconti più personali di Bowie, tra cui Hallo Spaceboy del suo album Outside (1995). Nel video di Blackstar del 2015, un alieno femmina fonda addirittura una religione sulla sacra reliquia del cranio del Maggiore. In Ashes to Ashes, brano contenuto in Scary Monsters (and Super Creeps) del 1980, il cantante ammetteva invece che dietro a tutto il discorso dei viaggi spaziali si nascondeva in realtà un tipo di viaggio assai diverso e che l’astronauta era invero soltanto un “drogato, strafatto nell’alto nei cieli,  che stava precipitando ai minimi storici”. Bowie aveva già fatto ulteriore riferimento a tale caduta in disgrazia nel 1977, nell’album Low, incentrato in gran parte sul suo rapporto con le droghe.

Tornando a Space Oddity, il titolo si riferisce chiaramente al classico della fantascienza 2001: Odissea nello Spazio (2001: A Space Odyssey), diretto nel 1968 da Stanley Kubrick e tratto dal racconto breve del 1951 La Sentinella (The Sentinel) di Arthur C. Clarke. Capolavoro indiscusso del cinema di cui anche i Pink Floyd aveva provato a comporre la colonna sonora. Tuttavia il suo influsso non finisce qui. L’inizio della canzone ricorda anche Also sprach Zarathustra, op. 30, composta da Richard Strauss nel 1896, utilizzata dal regista nella sequenza della scoperta. Non solo.

Kubrick, come noto, lavorò anche a un altro libero adattamento del libro di Anthony Burgess Arancia Meccanica (A Clockwork Orange). A comporre la colonna sonora fu in quel caso Wendy Carlos (poi divenuta Walter Carlos dopo un cambio di sesso), maestra dei sintetizzatori Moog, come dimostrato dalla sua versione rielaborata dei lavori di Johann Sebastian Bach nell’album Switched-On Bach (1968). Dalla sua, Bowie palesò la propria familiarità con la realtà distopica di Arancia Meccanica riferendosi ai suoi amici come drughi nella canzone Suffragette City, contenuta nell’album che ospitò la nascita della rock star androgina Ziggy Stardust, creatura che si presenta sulla Terra solamente cinque anni prima della sua morte inevitabile. Diversi sono inoltre gli indizi che la star abbia letto e si sia ispirato al romanzo di Michael Moorcock del 1965 Alfa e omega, il principio della fine (The Final Program), che presenta l’androgino agente segreto Jerry Cornelius, il quale – fatto piuttosto singolare – è anche una rockstar part-time.

Insomma, Davi Bowie è stato da sempre un fan della fantascienza. Come potrebbe non essere così? Era un ragazzino negli anni cinquanta quando la sci-fi dominava i film e la letteratura. Tale genere, molto in voga in all’epoca, era anche un modo per scrivere verità autobiografiche e allegoriche, per raccontare la propria esistenza e le esperienze come una favola. E proprio a quel periodo risale un ricordo di Bowie, futuro Starman, che menzionò in diverse interviste quanto amasse moltissimo il romanzo per ragazzi Starman Jones di Robert A. Heinlein, che uscì nel 1953, quando l’artista aveva solo 6 anni. E non manca nemmeno un altro mostro sacro come Ray Bradbury: forzando un po’ il collegamento tra le vicende di Major Tom in Space Oddity e quanto raccontato in Caleidoscopio (Kaleidoscope) del 1949, è più probabile che Bowie avesse avuto in mente il libro Il gioco dei pianeti (anche conosciuta come L’uomo illustrato, più vicino al titolo originale The Illustrated Man), quando cantava nel 1967 Karma Man, il cui testo recita:

Fairy tale skin, depicting scenes from human zoos. Impermanent toys like peace and war a gentle face you’ve seen before. Karma man tattooed on your side, the wheel of life.

Infine, Bowie non avrebbe potuto certo dimenticare 1984 (Nineteen Eighty-Four) di George Orwell, reinterpretato magistralmente in Diamond Dogs. L’album del 1974 era nato infatti proprio come adattamento musicale del classico letterario pubblicato nel 1948, ma la vedova dello scrittore, Sonia Orwell, non ne concesse ufficialmente i diritti. Tuttavia il cantante, come molti scrittori di fantascienza, rivelò l’abilità di percepire il futuro impatto delle corporazioni governative, ovvero la possibilità che esse devastassero e spersonalizzassero l’essenza dell’uomo. Inoltre raccontava una Leggenda del Futuro (Future Legend), in cui pulci delle dimensioni di topi pungevano topi delle dimensioni di gatti e cadaveri con rossi occhi mutanti distoglievano lo sguardo mentre la lega anti-sesso trasformava i fornicatori in morti viventi.

Il cantore della fantascienza condivideva quindi molte delle visioni dei predecessori e dei suoi contemporanei letterati, almeno quando si trattava di immaginare organizzazioni erette a governare i futuri cittadini. Nella canzone Cygnet Committe del 1969 ad esempio, Bowie vagheggiava di una società emersa dopo che le persone avevano tagliato

the Catholic throat
Stoned the poor
on slogans such as
‘Wish You Could Hear’
‘Love Is All We Need’
‘Kick Out The Jams’
‘Kick Out Your Mother’
‘Cut Up Your Friend’
‘Screw Up Your Brother or He’ll Get You In the End’

We Are Hungry Men del 1967 racconta invece la storia di uno scienziato del futuro che risolve il problema della fame nel mondo. “Achtung, achtung, questi sono i vostri ordini”, impera alle masse riunitesi. “Chiunque venga giudicato colpevole di consumare più della quantità di aria assegnata sarà massacrato e cremato”. Esorta il governo a legalizzare l’aborto di massa e chiudere un occhio sull’infanticidio, nel tentativo di salvare la popolazione della Terra dalla scomparsa entro la fine dell’anno. Pensa che la folla affamata lo veda come un Messia, ma loro non sono interessati a quello che sta dicendo. “Siamo qui per mangiarti”, spiegano.

Nel già citato Hunky Dory compare il termine “Homo superior” nella canzone Oh! You Pretty Things, un termine peraltro spesso usato nei fumetti della Marvel dal mutante Magneto e collegabile direttamente all’idea dell’Übermensch nietzschiano.

Ma Bowie non si ferma ai mali che toccheranno ai semplici mortali. Nemmeno lui sembrava essere troppo fiducioso nei confronti dell’auto-consapevolezza della Intelligenza Artificiale e lo manifestò cantando proprio della I.A. protagonista in Saviour Machine, dall’album del 1970 The Man Who Sold the World, sottolinenado che “odia le specie che gli ha dato la vita”.

La canzone Life on Mars? d’altro canto uscì lo stesso anno del lancio delle sonde russe e dell’americana Mariner 9 verso il Pianeta rosso (il 1971). E se il chitarrista Mick Ronson, il batterista Woody Woodmansey e il bassista Trevor Bolder erano i componenti degli Spiders From Mars, Bowie non sembrava essere molto contento dei nostri vicini di Marte, tanto che nel singolo “Memory of a Free Festival” del 1970 aveva “parlato con gli alti Venusiani di passaggio”. Per lamentarsi forse delle scarse buone maniere …

Il pubblico d’Oltroceano invece non aveva molta familiarità con Bowie, così, quando approdò negli Stati Uniti per la prima volta, pensò che forse potesse essere Nato in un UFO (Born in a UFO). E se Lady Stardust avrebbe potuto accattivarsi gli ascoltatori con il suo volto truccato e una grazia animale, Ziggy Stardust era un vero Uomo delle Stelle, sicuro di far impazzire gli americani perché lui rappresentava il loro primo contatto con un extraterrestre simile.

La sua fama non potè che aumentare ulteriormente poi quando prese parte al cult di Nicolas Roeg del 1976 L’uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth), basato sull’omonimo romanzo di Walter Tevis del 1963. Nel film l’attore / cantante interpretava il protagonista Thomas Jerome Newton, alieno in fuga che precipita sul nostro pianeta in cerca della salvezza per il suo popolo lontano. Guarda a caso, il personaggio del film progetta una navicella spaziale una cui stanza poi comparirà sulla copertina dell’album Station to Station del 1976.

Non è assurdo ritenere che David Bowie stia ancora creando, lassù da qualche parte. L’universo si sta espandendo e, poiché è infinito, può espandersi solo in sé stesso. D’altra parte, l’album di Bowie del 2013 The Next Day termina con il medesimo accompagnamento alla batteria di Five Years, canzone iniziale dell’album The Rise and Fall di Ziggy Stardust e gli Spiders from Mars del 1972.

Di seguito il trailer di L’Uomo che cadde sulla Terra: