Titolo originale: Beau Is Afraid , uscita: 14-04-2023. Budget: $35,000,000. Regista: Ari Aster.
Beau ha paura: guida all’interpretazione del film di Ari Aster; 3 teorie e domande irrisolte
27/04/2023 news di Redazione Il Cineocchio
Approfondiamo i significati della dark comedy psicanalitica con Joaquin Phoenix
Se avete appena visto la nuova dark comedy diretta da Ari Aster, Beau ha paura (la recensione), probabilmente avrete sarete arrivati ai titoli di coda con qualche domanda. O forse molte domande. Ad esempio, a cos’ho appena assistito?
Come per i suoi film precedenti, Hereditary – Le Radici del Male del 2018 (la recensione) e Midsommar – Il Villaggio dei Dannati del 2019 (la recensione), Ari Aster ha racchiuso molte cose in questo viaggio surreale, alternativamente divertente e da incubo, della durata di 3 ore, attraverso la mente di un uomo di mezza età di nome Beau (Joaquin Phoenix), il cui tentativo di tornare a casa per far visita alla madre si trasforma in un’odissea di ansie, senso di colpa e vergogna.
Eppure il regista – non imprevedibilmente – preferisce non aiutavi nel compito:
Ho realizzato qualcosa per il pubblico e spero che sia emozionante e divertente e che faccia provare qualcosa. Non posso – e non devo – dire cosa sia.
Le intenzioni di Ari Aster dietro a Beau ha paura sono note solo a lui, e forse a sua madre e al suo terapeuta, quindi non possiamo che tentare di decifrare il suo film con l’aiuto del LATimes (occhio agli SPOILER).
Verso una teoria unificata di Beau
Teoria 1: c’è Mona Wasserman dietro a tutto (e non solo nell’inscenare la propria morte)
La madre di Beau (Patti LuPone), in qualità di amministratore delegato e fondatrice delle onnipresenti MW Industries, ha certamente le risorse – e una profonda amarezza – per portare a termine una simile impresa. MW, che sembra essere un incrocio tra Pfizer (prodotti farmaceutici) e Proctor & Gamble (prodotti per la cura e l’igiene personale), appare su cartelloni pubblicitari, poster, elettrodomestici, scatole di surgelati e altro ancora. Si tratta di una società potente e di una donna potente. Ciò che Mona vuole, Mona ottiene.
Infatti, finge in modo così convincente la propria morte che Beau trova online i necrologi pubblicati, oltre a un notiziario marchiato “MW Digital” che riporta della sua triste sorte. In pochi giorni, ha pagato (o costretto …) un’amata dipendente a morire per suo conto; ha installato una targa commemorativa nel muro e issato un monumento al macabro incidente del lampadario che le ha tolto la vita; e ha organizzato uno sfarzoso funerale per se stessa.
Due oggetti, entrambi provenienti dalla breve indagine di Beau sul mini-museo delle MW Industries che Mona tiene in casa, sembrano avvalorare questa teoria. Il più convincente è il collage coi dipendenti della MW che va a comporre il volto gigante di Mona, che contiene non solo la foto di Elaine (Parker Posey), ma anche quella del senzatetto tatuato che insegue Beau nel suo edificio nei primi minuti del film e di Roger (Nathan Lane), che accoglie Beau dopo il suo sfortunato incidente d’auto / accoltellamento (ma è possibile che un fermo immagine confermi la presenza di altri attori).
In altre parole, Mona ha messo insieme la forza lavoro delle MW Industries per creare una sorta di Synecdoche, New York o di Truman Show per Beau, in cui l’ha messo al centro di una brutale odissea per testare la sua fedeltà materna.
Ciò sembra più plausibile, dal punto di vista pratico, se si considera che Beau, lungi dal ritagliarsi una vita indipendente in città senza il sostegno della madre, vive in un ‘quartiere riqualificato’ delle MW Industries, inaugurato da poco e raffigurato su un manifesto proprio dietro a Beau mentre lui esamina il collage. Se lei possiede quel set e impiega quegli attori, quanto sarà difficile sceneggiare anche il dramma che il figlio vive?
Teoria 2: è tutto nella testa di Beau
Se è vero quanto sopra, potrebbe essere altrettanto plausibile che Mona abbia costruito uno stadio sotterraneo dentro a uno scoglio affiorante in mezzo all’oceano quanto che abbia dato ordine all’intero staff di una grande multinazionale di picchiare a sangue suo figlio. Ma la ‘prova’ della colpevolezza di Beau presentata al processo finale, sebbene assuma lo stile visivo tipico dei filmati di sorveglianza, sembra molto più probabile che sia scaturita dall’autoflagellazione di Beau: un ricordo di essersi nascosto da una madre agitata, per esempio, o di aver permesso ai suoi amici di rubarle la biancheria intima.
Queste sono esattamente il tipo di immagini mentali provenienti dall’infanzia, molto specifiche e relativamente insignificanti, che potrebbero aggrapparsi a un adulto ansioso e in preda ai sensi di colpa.
Tutto questo per dire che, quando di guarda a Beau ha paura dal punto di vista del processo, si può facilmente vedere il protagonista immaginare che sua madre avrebbe ordinato all’intero staff di una grande multinazionale di picchiarlo a sangue, in modi sia ovvi che subliminali, così come possiamo immaginare che lei lo abbia fatto davvero.
Inoltre, c’è il mostro a forma di pene gigante. Non può essere reale, giusto?
Cronaca di una morte dell’ego annunciata
Se è vero che alcune immagini restino senza una spiegazione plausibile (per esempio, cosa succede al tizio che cade su Beau dal soffitto mentre è nella vasca da bagno?), le due teorie appena enunciate potrebbero essere combinate in un’unica teoria ancora più unificata.
Teoria 3: Siamo intrappolati nella testa di Beau, e lui a sua volta è intrappolato in quella di sua madre
Ari Aster ha suggerito in alcune interviste che il suo obiettivo centrale era quello di porre il pubblico all’interno della mente di Beau e dei suoi sentimenti, quindi è probabile che non dovremmo prendere alla lettera tutto ciò che vede e sperimenta, compreso il ‘mostro pene’.
Quindi, il viaggio di Beau è un’odissea psicologica fatta di paure, sogni, fantasie e ricordi repressi, nessuno dei quali aderisce alle consuete regole della logica. Chiedersi se la madre di Beau fosse davvero il burattinaio invisibile nella vita del figlio è un po’ come chiedersi se Gregor Samsa si sia davvero trasformato in un insetto gigante in La metamorfosi di Franz Kafka (per Beau, la sensazione di essere continuamente monitorato, manipolato e controllato dalla madre soffocante, di avere la vita circoscritta dalle sue preoccupazioni, aspettative e richieste, ha una verità metaforica ed emotiva, se non letterale).
Tra l’altro, il finale di Beau ha paura è già prefigurato in un momento fugace vicino all’inizio: dopo che Beau ha lasciato lo studio del suo terapeuta, mentre cammina in una zona della città meno minacciosa rispetto al suo quartiere infernale, vediamo brevemente un bambino che gioca con una barca giocattolo in una fontana pubblica. Mentre Beau passa, la madre del bambino afferra con rabbia il braccio del figlio e lo tira via, facendo rovesciare la barca proprio come quella su cui Beau si ritroverà nella scena finale. Il destino di Beau si preannuncia in quell’unico momento e da quel momento in poi non ha più speranza di sfuggirgli.
Alla luce di questo, Beau ha paura non va preso troppo alla lettera, e nemmeno troppo sul serio, e quindi non dovremmo vedere il suo viaggio come lineare.
A un certo punto, per esempio, il protagonista usa letteralmente il fast-forward per andare alla fine della sua storia, ripresa sul “Canale 78” nel salotto di Grace (Amy Ryan) e Roger. Vediamo Beau emergere dal bosco dopo l’attacco di Jeeves (Denis Ménochet) alla compagnia teatrale; Beau seduto sul cornicione sopra la bara della madre; persino, mentre Grace passa davanti al televisore, il colosseo vuoto dei titoli di coda, dopo che la barca di Beau si è rovesciata.
Ogni volta che Beau perde i sensi (e sono molte), si intravedono ulteriori scorci di questa logica inconscia, in cui Beau sembra esistere in più luoghi e tempi contemporaneamente. Dopo essere stato investito dal camion di Grace e Roger, c’è un flash del cielo nero e stellato che mostra quando è solo nell’oceano. Dopo aver sbattuto la testa sul ramo di un albero nella foresta, vediamo sua madre che chiude la porta della soffitta. Dopo essere stato colpito dal monitor di Roger, torniamo a quello che Beau stesso descrive come un ‘sogno ricorrente in cui resiste ai tentativi della madre di farlo entrare nella vasca da bagno, mentre Beau assiste alla scena dalla vasca.
Se dobbiamo trovare un senso in Beau ha paura, allora è che le relazioni genitori-figli, in particolare quelle madre-figlio, sono così elementari, così edipiche, che non ci può essere una comprensione razionale. C’è una battuta che rende più esplicito questo punto, quando Mona, chiudendo la porta della soffitta a Beau adulto, gli sibila: “Non capisci, stupido idiota? Quello non era un sogno. Era un ricordo“.
E visto che siamo in soffitta e che abbiamo tirato in ballo Edipo, tanto vale affrontare il mostro a forma di pene.
Testicoli e tabù
Mona dice a Beau che l’orribile creatura fallica in soffitta è suo padre, ma è chiaro che non possiamo fidarci di tutto ciò che dice. Forse, il vero padre di Beau è l’uomo misterioso che lo avvicina dopo la recita nel bosco e gli dice di aver conosciuto suo padre e che lui è ancora vivo. Beau, che ha appena vissuto una fantastica riunione padre-figlio all’interno del mondo onirico di quella commedia, crede certamente che possa esserlo, urlando “Papà, scappa!” poco prima che l’uomo venga fatto saltare in aria da Jeeves. E l’uomo ha una certa somiglianza con la foto sfocata del padre di Beau che abbiamo intravisto in precedenza nel suo appartamento.
Nel suo desiderio di controllare ogni aspetto della vita del figlio, Mona ha riempito Beau di paure profonde sulla propria sessualità, bloccandone di fatto lo sviluppo. La storia che gli ha raccontato sulla morte del padre serve a mantenerlo un uomo-bambino infantilizzato e dipendente (c’è un motivo per cui quest’uomo, che ha superato i 40 anni, si veste come un bambino di 8 anni del 1983 e ha le stesse abilità sociali, soprattutto con l’altro sesso).
Come dice Mona a Beau da giovane, “Solo le donne conoscono le donne. Gli uomini sono ciechi“. E per assicurarsi che Beau rimanga cieco e lontano dal suo vero padre – che potrebbe averlo aiutato a tracciare il suo percorso indipendente verso la virilità – ha inventato la storia fittizia della maledizione familiare.
Allora, chi o cosa è Jabba the Nuts e chi è l’uomo sudicio e affamato che vediamo incatenato con lui? Siamo chiaramente nel campo del simbolismo freudiano (soffitta = inconscio), per cui è probabile che il mostro rappresenti la sessualità repressa di Beau, un id rabbioso e insaziabile che, come i suoi testicoli dilatati, è cresciuto fino a raggiungere proporzioni da cartone animato. L’uomo incatenato, che sembra essere il fratello perduto di Beau, rappresenta il suo io più coraggioso e sicuro di sé, che anche la madre ha metaforicamente rinchiuso.
Quando Beau fa sesso con Elaine – nel letto di sua madre, per giunta! – e non muore, prova un sentimento di autentica liberazione e, per un momento troppo breve, diventa un uomo. Ma, in un crudele colpo di scena, Elaine – che si scopre aver lavorato per Mona (e, come Martha, muore per lei) – si accascia al suo posto, suggerendo a Beau che non potrà mai sfuggire alla vera maledizione che sua madre gli ha lanciato.
Come dice Mona a Beau pochi istanti dopo la morte di Elaine, “Sei in casa mia e la mia casa è la tua casa, e lo sarà sempre“. Ancora una volta, in un film in cui lucchetti, chiavi, catene e tecnologia di sorveglianza sono motivi ricorrenti, alla fine non c’è scampo.
Ah, un altro paio di Easter Egg che sfuggono facilmente alla prima visione: la prima volta che vediamo Beau (oltre che da neonato), è nell’ufficio del suo terapeuta e sta guardando un acquario. Alla fine del film, dopo aver soffocato la madre, lei cade di testa in un acquario vuoto, chiudendo il cerchio.
Inoltre, come si legge sul taccuino del terapeuta, Beau vive nella città immaginaria di Corrina, CR. C’è una canzone di Bob Dylan intitolata “Corrina, Corrina” nel suo album del 1963 “The Freewheelin’ Bob Dylan”, che include il ritornello implorante “I been worryin’ about you, baby / Baby, please come home” – un sentimento che esce direttamente dal cuore ansioso e bisognoso di Mona.
Paura e disgusto ad Asterville
Ma passiamo ora alla fantasmagorica accozzaglia di punti di riferimento cinematografici, culturali e politici del film. Come suggerisce la lettura del rapporto tra Beau e Mona, Beau ha paura si avvicina al sottogenere dei film horror (vedi Psyco, Carrie, Il Cigno Nero ed Hereditary dello stesso Ari Aster) sulle madri dominatrici e i figli traumatizzati, anche se il suo tono è più satirico che agghiacciante. Dove Beau ha paura si distingue, per me, è nelle provocazioni delle sue situazioni e ambientazioni che non hanno nulla a che fare con i Wassermann in sé.
Per cominciare, c’è la città in cui vive Beau, un incrocio esagerato tra la squallida e brulicante New York di Taxi Driver e i centri urbani infestati dal crimine immaginati da Fox News, popolati principalmente da aggressori, cadaveri e mendicanti. I graffiti ricoprono ogni centimetro dell’atrio dell’edificio di Beau; i vagabondi si muovono come i non morti di un film di zombie; la spazzatura si accumula agli angoli delle strade e le auto abbandonate lungo i marciapiedi.
All’inizio, la paranoia di Beau mette a disagio. Nel migliore dei casi sembra infelice che l’eroe di Ari Aster venga ‘sottoposto’ proprio al tipo di fantasia criminale dei centri urbani che così spesso travisa la vita urbana nella cultura pop americana. A pensarci bene, però, la visione del regista va letta più che altro come una critica a quella paranoia e ai tentativi di affrontare le disuguaglianze sociali attraverso la polizia e le ‘soluzioni del settore privato’ (forse la battuta più cupamente divertente in un film pieno di umorismo nerissimo è quella dell’agente di polizia che, con la pistola puntata, grida a Beau disarmato di non “costringerlo” a sparare).
In effetti, al di là dell’angolo che la MW Industries ha cercato di ‘riqualificare’, la città sembra … quasi normale? Il centro commerciale dove Beau acquista la statuetta della Madonna con bambino è certamente fiorente.
Anche i pericoli delle immediate vicinanze di Beau entrano ed escono dalla sua mente, man mano che il suo stato mentale si evolve. Quando si corica la sera prima del volo per Wasserton – prima che l’ansia prenda del tutto il sopravvento – il rumore ambientale è il leggero mormorio di una qualsiasi città poco prima della mezzanotte. Quando Mona lo rimprovera per il suo ritardo, però, la strada fuori esplode in spari, sirene e cani che abbaiano.
Ari Aster suggerisce che credere che la città sia una misera trappola mortale per tutti i suoi abitanti significa pensare come Beau (un vigliacco senza cognizione di sé) o, peggio, come sua madre (una capitalista rapace che si limita a immaginare città violente dalla sua enclave protetta).
Beau ha paura capovolge l’idea e la spinge all’estremo durante la convalescenza di Beau a casa di Grace e Roger, la sezione del film che mi ha colpito di più dalla prima alla seconda visione. La nozione di periferia come ventre oscuro del sogno americano non è esattamente nuova, ma l’iterazione di questo cliché da parte di Aster, che fa battere forte il cuore, fa pulsare la testa e fa bere vernice, è entusiasmante.
Amy Ryan che prende pillole per placare il dolore di una madre? Nathan Lane che parla come un vecchio padre di sitcom per conquistare la fiducia di Beau? La figlia Toni (Kylie Rogers), isterica e sboccata? L’amico catatonico del figlio defunto, ex-soldato / macchina da guerra?
Questa sezione del film, in cui la sicurezza fisica di cui Beau (brevemente) gode si accompagna allo sbocciare di un timore esistenziale molto più profondo, va letta come quella in cui Ari Aster si avvicina di più all’identificazione delle cause sociali delle paure di Beau e di Mona. Dopo tutto, è nei sobborghi di Beau ha paura – un luogo di automedicazione e di disturbo da stress post-traumatico, suicidio e sorveglianza, guerra e le sue conseguenze – che il mondo del film si avvicina al nostro. Chi non leggerebbe quell’elenco di sintomi e non diagnosticherebbe una società in difficoltà?
Ma spostiamoci ora su uno dei passaggi più interessanti di Beau ha paura: la recita nel bosco. Un microcosmo divertente e visivamente inventivo, con una vena di sentimenti genuini che lo attraversa. Le sue risonanze con le esperienze vissute da Beau nel resto del film sono onnipresenti, ma raramente precise. E, cosa forse più importante di tutte, la sua matrioska di storie fa almeno un cenno a un luogo, un tempo, un universo alternativo in cui il destino di Beau avrebbe potuto essere diverso. Dove avrebbe potuto non avere paura.
La recita nel bosco è in qualche modo la chiave per comprendere l’intero film e il suo punto più alto dal punto di vista emotivo. Quando entra nell’accampamento della compagnia teatrale, Beau passa davanti a un cartello che recita “Conosci te stesso“. Guardando – o meglio, immaginando – la vita alternativa che avrebbe potuto vivere se solo non fosse stato incatenato a sua madre, vive un autentico momento di comprensione e di catarsi. Nel momento culminante dell’opera, mentre abbraccia i tre figli che non avrà mai, Beau – che è venuto al mondo da neonato al suono di Mona che gridava “Perché non piange?” – finalmente si sfoga e si lascia andare. Finalmente si libera e versa lacrime vere.
Nella gentile ragazza incinta che lo accoglie, Beau – dopo essere stato scacciato come ‘un demone’ dalla sua madre surrogata, Grace – vede la figura materna idealizzata e altruista che ha cercato per tutta la vita. Travolto dalla gratitudine per la sua gentilezza, le dona allora la statuetta che portava con sé e che intendeva dare a Mona: il tradimento definitivo, per il quale sarà punito nei momenti finali del film.
Restano comunque molte altre domande che potremmo affrontare senza trovare una risposta chiara, come il perché Beau viva in un appartamento fatiscente quando sua madre è una ricchissima magnate d’industria, quali sono le ‘tre cose’ contenute nello spinello che Toni fa fumare a Beau, e come fa Jeeves a sopravvivere e a uccidere il mostro del pene dopo che l’abbiamo visto farsi esplodere il petto con una mitragliatrice.
Forse le risposte ci giungeranno in sogno, chissà …
Di seguito – sulle note di Goodbye stranger dei Supertramp – trovate il trailer italiano di Beau ha paura:
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Fonte: LAt