Home » Cinema » Horror & Thriller » Beau ha paura: la recensione del criptico terzo film di Ari Aster

Voto: 5.5/10 Titolo originale: Beau Is Afraid , uscita: 14-04-2023. Budget: $35,000,000. Regista: Ari Aster.

Beau ha paura: la recensione del criptico terzo film di Ari Aster

27/04/2023 recensione film di Sabrina Crivelli

Joaquin Phoenix è al centro di un'opera complessa e ambiziosissima, che alla fine lascia però ricolmi di perplessità e frustrazione

beau ha paura film phoenix

Non è sempre detto che il livello di incomprensibilità di un film vada di pari passo con la sua statura artistica e autoriale. È facile difatti soccombere alla comune credenza che l’illeggibilità dei contenuti e l’indecifrabilità della trama siano indice di qualità.

In parole più semplici, a volte il confine fra genialità e fregnaccia è labile, e non sempre si tratta del primo caso, ma come è possibile discernere il secondo? Ebbene, dopo aver assistito – sempre più attonita – alle quasi tre ore di Beau ha paura (Beau is afraid), nuovo enigmatico lavoro di Ari Aster che parte da un cortometraggio del 2011, l’interrogativo si fa più cocente che mai.

Indubbiamente, Ari Aster arriva in sala con notevole credito di fiducia e altrettante aspettative dopo Hereditary – Le Radici del Male del 2018 (la recensione) e Midsommar – Il Villaggio dei Dannati del 2019 (la recensione). Lo stile unico e visionario e l’estrema stratificazione visiva e simbolica ne hanno definito la precedente filmografia accattivandogli un nutrito stuolo di estimatori, specialmente tra gli amanti del cinema di genere e horror.

Al contempo, la presenza del premio Oscar Joaquin Phoenix nei panni del protagonista di Beau ha paura costituirebbe un’ulteriore garanzia. Eppure, sembra che qualcosa sia andato storto nell’ingranaggio filmico, che s’inceppa in un crescente processo di accumulo ed esula così nell’eccesso – lasciandoci del tutto disorientati.

Beau ha paura film 2023 posterGià il fornire una breve e chiara sinossi di Beau ha paura è operazione tutt’altro che immediata. A grande linee, il film segue il viaggio contorto e surreale di Beau per tornare a casa dalla madre iperprotettiva. Un vicino pazzo ruba al protagonista le chiavi di casa appena si distrae un attimo.

La colorita popolazione del quartiere gli occupa l’appartamento. Viene investito, accoltellato da un pazzo nudista, ‘salvato’ da una famiglia psicotica che lo tiene prigioniero, rincorso da un ex-marine in modalità d’assalto mentre si rifugia nel bosco con una compagnia teatrale errante e tutto quello che vuole è tornare a casa dalla mamma.

Beau ha paura è un insieme caleidoscopico di personaggi assurdi e situazioni all’insegna del nonsenso spinte al massimo. Ne è epicentro efficace Joaquin Phoenix, che dà vita a un protagonista in qualche modo ripugnante e affascinante insieme. Se ci risulta infatti difficile ammirare questo peculiare antieroe di mezza età, frustrato, fobico, represso ed estremamente solo e insicuro, con lo scorrere del tempo, dei flashback e delle angherie subite un po’ da tutti, non possiamo che empatizzare almeno con lui un po’.

Sin dai primi fotogrammi di Beau ha paura, intorno al protagonista si addensano individui sempre più minacciosi, grotteschi e allucinanti. Veniamo subito introdotti nel colorito vicinato fatto di mitomani, drogati e squatter tatuati da capo a piedi, prostitute malconce e accoltellatori psicopatici che cercano di entrargli in casa ogni volta che apre il portone dell’edificio fatiscente dove abita. In un degenerare degli eventi si imbatte poi in Grace e Roger incarnati da Amy Ryan (Birdman) e Nathan Lane (“Only Murders in the Building”).

I due attori conferiscono una verve irresistibilmente comica e insieme macabra all’amichevole coppia borghese che cela una psicopatia in stile Misery non deve morire segregando il poveretto nella loro villetta in provincia. Kylie Rogers e Denis Ménochet aggiungono poi un ulteriore tocco di brio e follia  al quadretto familiare disfunzionale nei panni di Toni, la figlia problematica, e Jeeves, l’inquietante amico del figlio, affetto da sindrome da stress post-traumatico che, di tanto in tanto, è colto da un raptus.

Il senso di angoscia e claustrofobia sono costanti in un crescendo che ci trasmette, in modo viscerale, il vissuto ansiogeno di Beau. Ne è sorgente pulsante la madre manipolatrice e passivo aggressiva interpretata da una magistrale Patti LuPone (Driving Miss Daisy) e da un’altrettanto convincente Zoe Lister-Jones nella sua veste più giovane. Entrambe oscillano in maniera quantomai credibile tra l’amore genitoriale assoluto e incondizionato e l’ossessione patologica ai limiti della Munchausen per procura. La sua presenza incombente e fantasmatica è articolata tra presente e passato in un gioco di digressioni audace e straniante, rivelando il volto tossico della maternità.

Come i personaggi e chi l’interpreta, la regia di Ari Aster è impeccabile e i singoli segmenti di Beau ha paura sono innegabilmente avvincenti, ricchi di tensione, dark humor e rimandi altamente simbolici. L’azione serpeggia erratica e di certo ha risvolti imprevedibili; anzi, se mai, il problema del film è proprio contrario: la tendenza a non scegliere il percorso più scontato porta a trascendere ogni logica o coerenza.

beau is afraid film 2023 phoenixInsomma, l’eccesso di inventiva, se senza controllo alcuno, stucca e fa perdere ogni interesse alla lunga. È proprio tale eccesso di inventiva che, preso a piccole dosi – in ciascun singolarmente segmento – ha quel fascino perverso di uno specchio deformante che rende ogni soggetto riflesso ridicolo, ma alla lunga impedisce la visione d’insieme.

Sarà forse tutto frutto dell’immaginazione contorta e disturbata di Beau? Vicini e sconosciuti spaventosi e sempre pronti ad aggredirlo, il rapporto claustrofobia con Grace e Roger, forse proiezioni materne che lo accudiscono e insieme soffocano, l’alternarsi continuo tra realtà e ricordo tanto da confonderne i confini e il finale metafisico indurrebbero a farci pensare che l’intero film sia solo un lungo viaggio mentale e concretizzazione degli ambigui sentimenti di Beau verso la madre, tra colpa e rabbia, e che sicuramente partono da una grave Sindrome di Edipo.

Oppure, è Mona Wasserman, madre dispotica e manipolatrice, nonché potente e ricca donna magnate a capo di una onnipresente multinazionale, la MW (che spazia da tecnologie e sistemi di sicurezza alla chimica e farmaceutica), la quale, oltre a fingere la propria morte orchestra letteralmente ogni disavventura capitata al figlio per riaffermare su di lui il proprio materno controllo, a ogni costo. O ancora forse è lei, iper-apprensiva e maniacale, a immaginarsi il viaggio del figlio?

Sospeso allora tra Synecdoche, New York di Charlie Kaufman e The Truman Show di Peter Weir, con un tocco di inconcludenza alla Under the Silver Lake di David Robert Mitchell (la nostra recensione) o alla Southland Tales – Così finisce il mondo di Richard Kelly, Beau ha paura manca di una chiave di lettura univoca che ci permetta di definire, quantomeno, una prospettiva da cui interpretare ciò che viene messo in scena.

Attendiamo così, invano, che la somma di indizi più disparati –  e spesso discordi tra loro – ci porti da qualche parte, assuma un senso ultimo, ma è inutile mentire: ciò non avviene mai, e arriviamo alla fine di Beau ha paura ricolmi solo di perplessità e frustrazione.

In ogni caso, se cercaste una spiegazione del film vi agevoliamo una ‘guida all’interpretazione‘ dei suoi significati.

Di seguito – sulle note di Goodbye stranger dei Supertramp – trovate il trailer italiano di Beau ha paura, nei cinema dal 27 aprile: