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Titolo originale: El espinazo del diablo , uscita: 20-04-2001. Budget: $4,500,000. Regista: Guillermo del Toro.

Dossier | La Spina del Diavolo di Guillermo del Toro: una dolorosa storia di fantasmi

20/05/2020 recensione film di William Maga

Nel 2001 il regista messicano si prendeva una pausa da Hollywood, portando sul grande schermo un film progettato molti anni prima, intriso di malinconia e moniti

La spina del diavolo film 2001

In una intervista del 2006, Guillermo del Toro citava una frase di The Skins of the Fathers, un racconto di Clive Barker, “Il passato non è mai morto“, una frase che “si riferisce a un sentimento che si muove nel profondo in lei, in un luogo toccato solamente dai mostri. E penso davvero che la parte più creativa e più fragile del bambino che vive dentro di me sia un bambino che è stato letteralmente trasformato dai mostri. Sia sullo schermo che nel mito o nella mia immaginazione.”

Per coloro che hanno un debole per i meravigliosi mostri del cinema moderno, il regista messicano si è guadagnato la reputazione di miglior esponente vivente del ‘cinema delle favole‘. In sostanza, è un’anima divisa, un realista in sintonia con le curiose vibrazioni del soprannaturale, un cattolico decaduto (“Non proprio la stessa cosa di un ateo” dice lui) con un interesse per il sacrificio e la redenzione (che tuttavia rifiutò nel 2005 la possibilità di dirigere il film fantasy di successo Le cronache di Narnia: il leone, la strega e l’armadio perché “non era interessato alla risurrezione del leone”).

spina del diavolo film posterNel corso della sua carriera, Guillermo del Toro ha diviso le sue attività cinematografiche tra progetti personali “europei” (il moderno horror vampirico Cronos, le favole della Guerra civile spagnola La spina del diavolo e Il labirinto del Fauno) e successi di Hollywood dal grande budget (Blade II, i film di Hellboy, e, più recentemente, Pacific Rim, Crimson Peak e La Forma dell’Acqua), anche se ha sottolineato come “Non ho mai fatto un film solo per il gusto di farloHellboy mi rappresenta tanto quanto La spina del diavolo”.

I suoi lavori migliori combinano l’amore per la libertà della fantasia con l’impegno per le restrizioni della responsabilità sociale, creando favole dark con forti connotazioni politiche, storie fiabesche sul “mondo reale”, spesso viste attraverso gli occhi di un bambino. In questo contesto, La spina del diavolo (El espinazo del diablo) è una pietra di paragone, che unisce il personale e il politico in perfetta, appassionata armonia.

Guillermo del Toro ha iniziato a lavorare al film del 2001 sulla scia di due eventi terribili che avrebbe in seguito descritto congiuntamente come “la peggiore esperienza della mia vita”: il suo debutto a Hollywood, il fanta-horror Mimic (1997), per cui la Miramax dei fratelli Weinstein lo fece firmare dopo l’intrigante esordio, Cronos (1993); e il rapimento di suo padre, catturato a Guadalajara e trattenuto in attesa del riscatto per settantadue giorni (il suo resoconto).

Determinato a non rivivere un’esperienza così conflittualmente creativa, Guillermo del Toro rivolse le sue energie verso i potenziali adattamenti Mephisto’s Bridge (dal romanzo di Christopher Fowler Spanky) e The List of Seven (dal racconto di Mark Frost di un giovane Arthur Conan Doyle), entrambi abbandonati, così come al piano iniziale per il suo ambizioso adattamento dei fumetti di Hellboy (2004). Infine, arrivò l’offerta per la regia di Blade II (2002), la cui sceneggiatura attirò il suo interesse. Eppure quel progetto avrebbe dovuto aspettare perché, come ha detto Guillermo del Toro al giornalista Alan Jones, “a quel punto ero stufo della politica di Hollywood e volevo dirigere un mio film personale, che stava aspettando da sedici anni. Farlo mi avrebbe fatto ricordare di avere anche una carriera lontano dal sistema digli studios. Ero testardo, ma venni ripagato e riguadagnai la mia indipendenza. ”

“Guillermo ha attraversato un periodo terribile durante Mimic“, ha ricordato Pedro Almodóvar. “Conoscevo Cronos e ne rimasi molto, molto colpito: era un film horror davvero originale. Quindi mio fratello Agustín e io lo abbiamo contattato e ci ha raccontato della sua esperienza con la Miramax: quanto era stata terribile in termini di libertà creativa (il resoconto dell’esperienza); di come avesse davvero bisogno di tornare alla sua lingua natia e, soprattutto, di poter girare in completa libertà. Quindi ne abbiamo approfittato.” Creativamente, è stato un matrimonio perfetto, e uno che si sarebbe dimostrato decisivo per la seguente carriera di Guillermo del Toro. Nel suo sondaggio del 2012 sui cento migliori film horror di tutti i tempi, l’influente rivista Time Out di Londra ha osservato che La spina del diavolo “ha dimostrato in modo decisivo che, lavorando senza interferenze, questo promettente regista messicano era capace di fare un cinema straordinario – come riconfermato più volte da allora”.

La spina del diavolo di Guillermo del ToroAmbientato sul finire della guerra civile spagnola, La spina del diavolo è stato un progetto del cuore per Guillermo del Toro, che l’ha spesso descritto – come il suo “film gemello”, Il Labirinto del Fauno del 2006 (il nostro approfondimento sul significato esoterico dell’opera) – come il suo lungometraggio preferito e più personale. La sceneggiatura risale agli anni ’80, quando il futuro regista era ancora uno studente, prima di cominciare a sperimentare con la mdp coi cortometraggio Doña Lupe (1985) e Geometria (1987). Le sue fonti di ispirazioni sono ampie, spaziando dalla storia politica del ventesimo secolo ai toni spettrali dei racconti di M.R. James fino alla serie di romanzi spagnoli Paracuellos, di Carlos Giménez (che ha poi lavorato come storyboard artist nel film), passando per Lo spirito dell’alveare di Víctor Erice (1973), fondamentale per l’intera filmografia di Guillermo del Toro.

La storia si svolge in gran parte nell’orfanotrofio di Santa Lucia, dove il dottor Casares (la stella di Cronos Federico Luppi) e Carmen (Marisa Paredes) si prendono cura dei bambini della milizia repubblicana, mentre il sinistro custode Jacinto (Eduardo Noriega) persegue i propri misteriosi piani. L’azione – contenuta – si svolge all’ombra di un crocifisso e di una gigantesca bomba inesplosa, poggiata in mezzo al cortile della struttura, le cui dimensioni deliberatamente esagerate servono a riflettere la prospettiva dei bambini, i quali credono che se “appoggi orecchio, puoi sentirla ticchettare.”

Nelle sue prime incarnazioni, l’idea era di ambientare La spina del Diavolo sullo sfondo della Rivoluzione messicana, con le visioni di Gesù a giocare n ruolo centrale. Ma, come ha detto Guillermo del Toro ad Alan Jones, nonostante i suoi profondi legami personali con il Messico, divenne sempre più attratto dalla più ampia tela della guerra civile spagnola, un conflitto labirintico che era “il precursore di tutti i conflitti fascisti in Europa“. Vide anche chiari parallelismi tra la difficile situazione degli orfani e quella della Spagna, abbandonata dall’Europa “nel mezzo del nulla, nelle mani del fascismo”, un tema vividamente realizzato sul grande schermo.

La spina del diavolo filmIn questo orfanotrofio arriva Carlos (Fernando Tielve), che è stato assegnato al letto precedentemente occupato da Santi, ora deceduto e che si dice percorra i corridoi della struttura come “Colui che sospira“. Affrontando il bullo che inizialmente lo minaccia, Carlos viene attirato sempre più a fondo nei segreti dell’orfanotrofio, scoprendo lentamente il vero significato dell’enigmatico avvertimento di Santi che “molti di voi moriranno“.

Come capita in molte delle immaginifiche fantasie ultraterrene create da Guillermo del Toro, l’ispirazione per la presenza spettrale di Santi deriva da una sua personale esperienza reale. Da bambino, infatti, il regista ha stretto un patto con i mostri della sua camera da letto, superando il terrore notturno facendo amicizia con le apparizioni che perseguitavano i suoi sogni. Così, quando all’età di undici anni sentì il rumore di un suo zio defunto sospirare nella stanza in cui aveva un tempo vissuto, piuttosto che essere terrorizzato dall’esperienza, ne fece tesoro, conservandone il ricordo, nutrendolo, fino al giorno in cui sarebbe stato utilizzato per fini creativi.

Questa è sempre stata la chiave del lavoro di Guillermo del Toro: il trionfo della compassione e della malinconia sul terrore. Non c’è da stupirsi che il critico Roger Ebert abbia descritto La spina del Diavolo come “una triste e splendida storia di fantasmi [che] comprende come la maggior parte degli spettri sia triste e che stanno cercando non di spaventarci, ma di comunicare urgentemente qualcosa che deve essere conosciuto in modo che loro possano riposare in pace”. Significativo è anche che la presenza spettrale qui è vista attraverso quello che sembra essere un velo di lacrime, facendo eco al motivo ‘acquoso’ che si increspa nel film, un cenno forse alle tradizioni del kaidan-eiga giapponese (i film di fantasmi), assieme al volto bianco di Santi, che evoca la tipica entità del teatro Noh.

Il critico J. Hoberman ha descritto con astuzia La spina del Diavolo come “un esperimento nel supernaturalismo antifascista“, una definizione che incapsula ordinatamente i temi ricorrenti che perseguitano il lavoro di Guillermo del Toro: i fantasmi della storia, la libertà della fantasia, l’imperativo delle scelte, la relazione tra “reale” e “immaginato”. Alla base c’è la convinzione che l’orrore e la fantasia siano intrinsecamente politici. Come ha dichiarato il filmmaker messicano alla rivista Time nel 2011, “Proprio come nelle favole, ci sono due aspetti dell’orrore. Uno è pro-istituzioni … l’altro è completamente anarchico e anti-establishment.” Aprendosi con la domanda “Che cos’è un fantasma?” La spina del Diavolo equipara l’eredità della storia con la mitologia dei morti viventi, fornendo una potente metafora del modo in cui il passato plasma il presente e quindi modella il futuro. All’interno di questo paradigma, uno spettro può quindi essere “una tragedia condannata a ripetersi più volte. . . Un attimo di dolore, forse. Qualcosa di morto che sembra ancora essere vivo.”

La spina del diavolo film Junio ValverdeAl momento della sua uscita, molti critici avevano paragonato La spina del diavolo con la più famosa storia di fantasmi a tema ‘guerra’ uscita fino ad allora, The Others di di Alejandro Amenábar (2001), anche se, al momento in cui Guillermo del Toro avrebbe “presentato” The Orphanage di Juan Antonio Bayona diversi anni dopo, era diventato chiaro che La spina del diavolo era stato per esso il lavoro più influente. Guardando all’esperienza della realizzazione del film e agli eventi traumatici che hanno portato alla sua creazione, il regista messicano rimane tuttavia piuttosto positivo: “Posso attestare, in modo non masochista, che il dolore è un grande maestro. Non lo apprezzo, ma imparo da esso. Dico sempre, anche come ex cattolico, che Dio manda la lettera ma non il dizionario. Devi forgiare tu il tuo personale dizionario.

Questa volontà di affrontare il dolore e di forgiare il proprio dizionario cinematografico ha contribuito a creare quella miscela di innocenza e brutalità che è un marchio di fabbrica del cinema fantasmagorico di Guillermo del Toro. Nel caso specifico di La spina del diavolo, sono la sofferenza e la tragedia della guerra civile spagnola a risvegliare sia il senso di orrore che lo spirito di sfida che riecheggiano per tutto il film. È un’opera sulla repressione che celebra, sebbene in modo straziante, l’irreprimibilità dell’innocente spirito umano. Questa dualità è anche alla base di Il Labirinto del Fauno, una favola sull’esplorazione iniziatica di un mondo sotterraneo da parte di una ragazzina. Entrambi i film bilanciano le tensioni politiche con una ‘faida’ tra fantasia e realtà, tra il modo in cui il mondo appare e il modo in cui invece è davvero. Ed entrambi contrappongono il ricorrente motivo fiabesco della scelta contro lo spettro del fascismo: la mancanza ultima di una scelta.

Entrambi le opere mettono poi al centro “un bambino che affronta una situazione molto adulta e la vive da un punto di vista di grazia o di purezza“. E anche se la sua straordinaria carriera lo ha in seguito portato al timone di blockbuster hollywoodiani apparentemente ‘senz’anima”, questo senso di innocenza è rimasto un elemento essenziale del lavoro di Guillermo del Toro – quel bambino la cui vita è stata “trasformata dai mostri”, che si è dedicato all’esplorazione della relazione inestricabile tra dolore e bellezza, morte e rinascita, dannazione e salvezza, mai così intensamente come nelle misteriose atmosfere di La spina del diavolo.

Se volete approfondire il significato della bomba e dell’orfanotrofio, vi rimandiamo alla spiegazione precisa data da Guillermo del Toro stesso.

Di seguito il trailer internazionale di La spina del diavolo:

Fonte: Crit