Voto: 7/10 Titolo originale: Favolacce , uscita: 15-06-2020. Regista: Damiano D'Innocenzo.
Favolacce | La recensione del film di Fabio e Damiano D’Innocenzo con Elio Germano
25/05/2020 recensione film Favolacce di Sabrina Crivelli
Dopo La Terra dell'Abbastanza, i due fratelli tornano in regia per un'opera scioccante e metafisica, con protagonista un insolito Elio Germano
Lieve e subdolo, il Male di esistere s’insinua nella mediocrità delle pagine di un diario adolescenziale, divenendo un’interferenza esistenziale che ha dello straordinario, perciò è degna di essere riportata e ascoltata. Questa l’evocativa premessa che apre il crudo ritratto della periferia romana tratteggiato da Fabio e Damiano D’Innocenzo nel loro Favolacce. Da principio, infatti, come la distaccata – e a tratti prosastica -voce narrante ci induce a credere, la sensazione è quella di essere immersi in un microcosmo gretto, quanto ordinario. Una schiera di villette ospita diverse famiglie che si conoscono e sembrano all’apparenza affiatate tra loro.
Tuttavia, dietro una coltre di smancerie, falsi sorrisi e vacui riti sociali (feste di compleanno, cene in giardino e mercatini in cortile) si celano invidie, pettegolezzi e piccole meschinità; una ferocia latente, quella del piccolo borghese senza qualità, serpeggiano nel quieto circondario, emergendo qua e là in impercettibili, ma continue espressioni di una mal celata violenza.
Raffinata disamina delle origini e derive della banalità del male declinata ai sobborghi benestanti delle Capitale, Fabio e Damiano D’Innocenzo sembrano voler mettere in scena in Favolacce un’atavica cattiveria, fatta di gesti e di parole illogici e inizialmente apparentemente inoffensivi. Così, quando la piccola Viola (Giulia Melillo) prende i pidocchi, il padre Pietro (Max Malatesta) dà la colpa a Bruno Placido (Elio Germano), il vicino ‘pezzente’ nella cui casa la ragazzina sarebbe venuta a contatto con i fastidiosi insetti.
E professando con disgusto il suo giudizio, si percepisce una sorta di perverso piacere nel distruggere il presunto amico, quasi fosse un modo di innalzare sé stesso. Si tratta di un frammento di quotidianità banale, eppure estremamente significativo in quanto espressione del desiderio profondo di prevaricazione sul prossimo che tutti gli adulti – in un modo o in un altro – perpetrano tra di loro e ancor più sui loro figli, visibilmente incapaci di reagire.
Per compensare, infatti, l’apatia l’insoddisfazione, o la mancanza di un senso profondo – che li affliggono – proiettano sogni mai realizzati, o sfogano angosce e rabbia repressa su adolescenti soffocati dalla loro incombente presenza. Dal costringerli a esibirsi davanti a tutti nella lettura di pagelle perfette, al rasagli a zero i capelli, al buttare via qualcosa che hanno ricevuto, fino a picchiarli veementemente in un parcheggio (come nella sequenza scioccante dell’attacco di ira che vede protagonista Elio Germano). I genitori sono alla meglio del tutto indifferenti alle esigenze e ai sentimenti dei loro ragazzi, il più delle volte molto peggio.
Sono personaggi grotteschi, quasi caricaturali e profondamente malvagi, anche se di una malvagità antieroica, che un Elio Germano decisamente in overacting incarna alla perfezione. Le quattro mura domestiche divengono allora una prigione soffocante e scenario di aggressioni continue, verbali, fisiche e psicologiche. In questo modo, delineano in Favolacce un mondo che solo superficialmente – all’esterno e di facciata – è tranquillo e sicuro, ma che al suo interno è decadente e spietato quanto le periferie malfamate di La terra dell’abbastanza o di Dogman (la nostra recensione), che Fabio e Damiano D’Innocenzo non hanno girato (è di Matteo Garrone), ma per il quale hanno partecipato alla stesura del soggetto.
Tuttavia, in Favolacce si assiste all’emergere di un ‘nuovo corso’. L’estrema concretezza con cui la macchina da presa in precedenza catturava lo squallore delle case popolari e dei suoi abitanti qui lascia spazio a un tono più impalpabile, surreale. Ciò si spiega, in parte, con la struttura diegetica (introdotta in apertura): siamo innanzi al susseguirsi di ricordi registrati in un diario, peraltro che nemmeno appartiene al colui che ci sta raccontando le vicende al centro del film; ne consegue il carattere frammentario e a volte incompleto della narrazione (il destino di alcuni personaggi come quello di Vilma Tommasi, interpretata da Ileana D’Ambra).
D’altro canto, vige un percorso volutamente erratico che da trascurabili attriti famigliari e collettivi conduce, in un crescendo irregolare, all’inaspettato e disarmante epilogo. Indubbiamente, le scelte stilistiche, la crudezza dei fatti resi in uno stile surreale lasciano straniti, quasi si assistesse a uno spaventoso miraggio.
Alcuni spettatori saranno estasiati da Favolacce. Non a caso, la potenza della forma e del contenuto hanno ottenuto diversi riscontri positivi nella critica e sono valsi a l’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura a Damiano e Fabio D’Innocenzo. Al contempo, non è un film adatto a tutti, anzi, è decisamente anticommerciale sia per alcuni dei già citati punti di forza, come lo stile e il soggetto, sia per la lentezza e l’essenziale anti-narratività dell’insieme. In ultimo, e soprattutto, è un film profondamente cinico, disincantato, e ciò difficilmente potrà incontrare i gusti dei fautori della commedia all’italiana in cerca di svago e di un intrattenimento leggero, o di chi aspira a un dramma retorico dalla morale edificante.
Siamo innanzi al puro e doloroso vuoto proprio dell’esistenza di tutti, e ciò non può che lasciare lo spettatore disturbato e attonito una volta che appaiono i titoli di coda sullo schermo.
Di seguito il trailer ufficiale di Favolacce, già in rotazione sui canali Sky e On Demand:
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