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Voto: 7/10 Titolo originale: Ghost Stories , uscita: 20-01-2018. Regista: Andy Nyman.

Ghost Stories | La recensione del film horror di Nyman e Dyson

07/06/2020 recensione film di William Maga

I due registi portano al cinema la trasposizione della loro omonima opera teatrale, inciampando nel finale ma riuscendo a imbastire domande importanti su un'impalcatura da thriller soprannaturale classica

ghost stories film 2018

Ghost Stories è l’adattamento per il cinema operato da Jeremy Dyson e Andy Nyman del loro omonimo spettacolo teatrale, presentato per la prima volta a Liverpool nel 2010, ricevendo ottime recensioni. È interessante notare che i due hanno lavorato duramente per preservare il mistero e l’ambiguità della loro produzione, pubblicizzando l’opera attraverso immagini delle reazioni terrorizzate dal pubblico e chiedendo a coloro che l’avevano vista di non rivelarne i colpi di scena a chi ancora non era accorso. Questo ha fatto sì che Ghost Stories divenisse in breve tempo una sorta di fenomeno teatrale di culto in patria.

Tenendolo a mente, la trasposizione per il grande schermo ha presentato prevedibilmente la sua dose di sfide. Non solo un lungometraggio richiede maggiore pubblicità e passaparola di uno spettacolo di teatro, avendo un profilo e un meccanismo distributivo molto più ampio, ma implica anche un delicato processo di traduzione. Ghost Stories era fino a pochi anni fa un concept saldamente ancorato al suo formato nativo e alle convenzioni di quel medium. Trovare un modo per preservarne il cuore all’interno di un film sarebbe stato pertanto piuttosto complicato.

Considerato che si tratta di un debutto assoluto dietro alla mdp, il lungometraggio si attesta su standard piuttosto discreti per la media di quello che passa dalle nostre sale ultimamente, anche se probabilmente funziona meglio come – non troppo approfondita – meditazione psicologica sul rapporto del genere umano con il soprannaturale, piuttosto che come un’usuale antologia del terrore. Pacato nello stile di riprese e impreziosito da prove attoriali convincenti, viene affossato però da alcune goffe scelte narrative nell’atto finale. Ciononostante, se il twist rivelatorio in chiusura non è di quelli che vi disturbano irrimediabilmente, Ghost Stories resta un piccolo film coinvolgente, capace di regalare qualche sano spavento nonostante un paio di jumpscare di troppo.

In superficie, Ghost Stories è strutturato come una classica antologia. Riprendendo il suo ruolo nell’opera teatrale, Andy Nyman si concede il ruolo del Professor Phillip Goodman, un uomo che ha dedicato la sua vita a confutare l’esistenza del soprannaturale, una necessità che la sequenza di apertura collega alla relazione profondamente travagliata con il padre. Goodman è il protagonista di un reality show televisivo che attraversa il Regno Unito e smaschera davanti alle masse i ciarlatani, quei cinici che sfruttano il dolore del pubblico e la volontà di credere nel paranormale per il loro tornaconto.

Inevitabilmente, Goodman si ritrova coinvolto in qualcosa di decisamente più misterioso e sinistro delle usuali e seducenti sessioni teatrali. Confrontandosi con un anziano scettico e moribondo che si ritrova però attratto dalle credenze ultraterrene, Goodman riceve in ‘omaggio’ tre fascicoli che l’uomo sostiene contengano le prove definitive sull’esistenza di qualcosa che va al di là dell’esperienza mortale.

“Dimostrami che ho torto”, dice il vecchio, e Goodman si propone di accontentarlo. Ovviamente, la questione non è così semplice. Poggiando su questa cornice basica, Ghost Stories mette così insieme un trittico di orrori. Goodman incontra le tre persone descritte nei tre file e scopre le rispettive storie: Tony Matthews (Paul Whitehouse) è un ex guardiano notturno che sostiene di aver avuto un’esperienza orribile mentre lavorava presso una struttura psichiatrica abbandonata per sole donne; il giovane Simon Rifkind (Alex Lawther) ha investito una creatura caprina lungo una strada desolata; Mike Priddle (Martin Freeman) si è ritrovato un pestifero poltergeist nella sua bella villa nelle brughiere dello Yorkshire.

Le tre storie funzionano abbastanza bene e sono efficaci a vari livelli, anche se sono presenti alcuni problemi minori nel tono nel passaggio tra l’una e l’altra; il racconto di Simon Rifkind – che sta nel mezzo – è il più apertamente grottesco e votato alla dark comedy (e ricorda vagamente gli episodi di X-Files), e la trovata ai limiti del surrealismo che coinvolge Mike Priddle contrasta aspramente con il cupo orrore della sua esperienza precedente.

Tuttavia, Ghost Stories riesce in qualche modo a mantenere le vicende ragionevolmente ben bilanciate, con queste transizioni che non appaiono mai eccessive (anche se a conti fatti …). In effetti, i tocchi ironici tipicamente britannici aggiungono sapore e sfumature a quelle che potrebbero facilmente essere storie di fantasmi ben più convenzionali.

In ogni caso, le storie stesse non sono considerabili – forse sorprendentemente – il punto di forza del film. Anzi, presentano momenti tutto sommato archetipici dell’horror, funzionando più che altro come amorevole pastiche, ma nessuna appare particolarmente ispirata o creativa. Piuttosto, ciò che eleva al di sopra del grigiume degli ultimi tempi Ghost Story è il modo in cui si approccia a queste tre storie del terrore, che finiscono col diventare la cartina al tornasole dell’interesse centrale di Andy Nyman e Jeremy Dyson. C’è infatti una domanda interessante e polposa che alimenta la maggior parte dei 108′ di durata.

Ghost Stories suggerisce ripetutamente che questi incontri soprannaturali siano semplice espressione di angoscia profonda e persino di senso di colpa, il modo inconscio di articolare spavento o incertezza. In effetti,  paure ben più adulte e sociologiche provano ad esplodere attraverso Ghost Stories; Tony Matthews menziona come sia rimasto disoccupato a causa dell’ “immigrazione”, mentre Mike Priddle si definisce “il Profeta” per la sua abilità nel navigare abilmente nei mercati finanziari. Soprattutto, però, il lungometraggio suggerisce che il soprannaturale sia in realtà solamente una lunga conversazione con il proprio Io interiore.

È il modo in cui la mente riempie il silenzio e il vuoto. I personaggi sono tutti isolati e solitari quando incontrano queste forze inspiegabili. In effetti, sembrano anche essere completamente soli quando Goodman fa loro visita per prendere nota delle rispettive disavventure. Poco prima che Mike Priddle abbia la sua orribile esperienza, si ritrova a casa da solo, separato dalla sua famiglia. Il suono di un rubinetto gocciolante riempie la casa, assumendo un’importanza smisurata. Qualcosa sanguina attraverso esso.

Fin dalle scene di apertura, Ghost Stories si pone come domanda interessata al “perché?” del soprannaturale, almeno tanto quanto al “come?”. Dopotutto, Goodman si posiziona come un arci-scettico, un investigatore che cerca di smascherare la nozione stessa di paranormale, rivelandone i trucchi alla luce del sole.

Tuttavia, Ghost Stories scava – o almeno tenta – più a fondo, spingendo il pubblico a mettere in discussione il significato di questi incontri soprannaturali tanto quanto la loro plausibilità. Se questi eventi hanno avuto un impatto reale e tangibile sulla vita di coloro che li hanno vissuti, ciò non li rende “reali”, in un certo senso? Infatti, il film sposta il peso della prova esistenziale nello scorrere dei minuti, dal chiedere (e spiegare) perché qualcuno possa credere nel soprannaturale, al mettere in discussione perché qualcuno possa essere così fermamente convinto di confutare e smentire l’esistenza di qualcosa che vada al di là del puramente oggettivo e razionale.

Ghost Stories potrebbe sembrare un’antologia horror, ma gradualmente – nel bene o nel male – si evolve in qualcosa di più vicino a uno psicodramma surrealista. È una transizione affascinante da guardare, e Andy Nyman e Jeremy Dyson meritano almeno una pacca sulle spalle per il tentativo. Questi elementi tematici sono l’aspetto forse più efficace di Ghost Stories, un film del terrore che utilizza tre ambientazioni cinematografiche standard del genere per porre domande filosofiche molto più vaste sul desiderio dell’umanità di riempire il mondo di fantasmi e demoni.

La pellicola intensifica tutto questo in modo abbastanza incisivo, costruendo astutamente una sensazione di imminente rovina, mentre Goodman scava sempre più in profondità nei tre casi che gli sono stati affidati. Ghost Stories riesce a gestire la maggior parte dei suoi sviluppi narrativi abbastanza bene, con la storia che si dipana in modo organico e intrigante verso il suo apice, che però, come detto, potrebbe anche infastidire qualcuno a causa della sua furbizia. Se da un lato, infatti, non rivela mai le carte allo spettatore per quanto riguarda il suo grande colpo di scena, lo spiegone conclusivo che lo accompagna ripercorre tutti gli indizi velati – e insospettabili – disseminati dai registi in precedenza. Un risultato che funziona senza dubbio meglio sul palcoscenico di un teatro che sullo schermo di un cinema.

L’apogeo di Ghost Stories può essere avvertito come un colpo basso, una soluzione facile e già vista in svariati altri film più o meno riusciti e più o meno irritante, non facilmente prevedibile proprio perché non auspicabile. Detto questo, il debutto di Andy Nyman e Jeremy Dyson, pur non inventando niente, ricorda al pubblico dei multisala che l’horror non è soltanto slasheracci, sequel all’ennesima potenza e montaggio frenetico, ma può essere anche alternative intriganti, disposte a fare i conti con le basi esistenziali stesse del thriller soprannaturale, a prescindere dal risultato più o meno buono.

Le 10 curiosità e aneddoti sulla produzione del film.

Di seguito il trailer italiano di Ghost Stories: