Home » Cinema » Horror & Thriller » Mosul | La recensione del film di Matthew Michael Carnahan (su Netflix)

Voto: 6/10 Titolo originale: Mosul , uscita: 14-05-2019. Regista: Dan Gabriel.

Mosul | La recensione del film di Matthew Michael Carnahan (su Netflix)

05/12/2020 recensione film di Francesco Chello

Arrivato in sordina, l’esordio dietro alla mdp del regista merita attenzione per il modo in cui unisce l’adrenalina dell’azione alle riflessioni sugli orrori della guerra e del terrorismo. Producono i fratelli Russo.

mosul film 2019 netflix

Dallo scorso 26 novembre, la library di Netflix può contare anche sulla presenza di Mosul. Un’uscita quasi in sordina per un titolo che invece sentiamo di consigliarvi. Proiettato in anteprima il 4 settembre del 2019 in occasione della 76ª edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (e poi il 9 dello stesso mese al Toronto International Film Festival), il film impiega più di un anno per poter godere di una release che avviene grazie al colosso dello streaming in una versione più lunga di 15 minuti rispetto a quella montata per i suddetti festival.

Mosul prende il titolo da quella che è la seconda città più grande dell’Iraq. Nel 2014 viene conquistata dall’ISIS che, dopo averla occupata, ne detiene il controllo fino al 2017, anno in cui torna agli iracheni. Il merito di questa liberazione va ad una squadra speciale SWAT della provincia di Ninive, dopo una lunga e logorante battaglia durata circa un annetto. Sulla loro impresa, il New Yorker scrive un reportage intitolato The Desperate Battle to Destroy ISIS da cui, a sua volta, Matthew Michael Carnahan (fratello del Joe di Smokin’ Aces) decide di trarre una sceneggiatura che sarà lui stesso a dirigere per quello che diventa il suo esordio dietro la macchina da presa, con benedizione di Joe ed Anthony Russo che nel progetto figurano come produttori.

mosul film poster netflixLa presenza dei Russo Bros. ha solleticato la mia curiosità. Non tanto per l’ampia questione marveliana, quanto per quella bombetta di Tyler Rake (la recensione) – che esce prima ma è stato realizzato dopo Mosul – che vedeva i due fratelli ricoprire il ruolo di produttori (oltre che sceneggiatori, in quel caso). Ma questo non è l’unico elemento ad incuriosire, anzi, gli spunti di interesse non mancano. Come quello del punto di vista, la singolarità del raccontare la storia attraverso gli occhi degli iracheni, utilizzando attori di origine araba, girando in lingua per quello che diventa il primo film in iracheno distribuito da Netflix. Una serie di scelte e caratteristiche per niente scontate, specie se parliamo di una produzione statunitense.

Mosul è quello che potremmo definire un action drama. Non c’è nessuna spettacolarizzazione della guerra, nessun tratteggio dell’eroe tutto d’un pezzo. Il tono è serio, serissimo. Un contesto in cui anche chi sulla carta risulta vincitore, in realtà ha perso qualcosa. L’idea è quella di sottolineare l’orrore della guerra (e del terrorismo) come farebbe il più crudo dei war movies, ma di farlo attraverso un prodotto che utilizza l’azione e i momenti di guerriglia per veicolare il messaggio.

La struttura è quella di un assedio itinerante, i protagonisti si muovono in territorio ostile superando un ostacolo dopo l’altro, ogni volta a caro prezzo. Qualcosa che guarda più o meno vagamente a titoli come I Guerrieri della Notte, per intenderci sul tipo di ‘modello’. In questo caso, però, il nemico sembra avere una connotazione astratta, i visi dei militanti ISIS non vengono quasi mai mostrati in maniera nitida, sempre di sfuggita, quasi come se lo Stato Islamico fosse un’inquietante entità, il male percepibile ma non identificabile.

I membri della SWAT non sono supereroi, ma volti comuni accomunati da coraggio, skills da combattimento e dolore. Il dolore di aver perso qualcuno o qualcosa a causa del Daesh, nome con cui i musulmani preferiscono identificare l’ISIS. Un gruppo fantasma, che ha rinnegato il suo stesso comando operativo di cui non condivideva gli ordini. Un insieme compatto e solidale di cani scioltisi dal branco principale per formarne uno proprio. Soldati pronti a morire l’uno per l’altro, a morire per una causa comune. Resistenza allo stato puro, liberarsi dall’invasore ad ogni costo. Riprendersi la propria terra, la propria casa, la propria identità. Un’ultima missione che diventa metafora ideologica, la famiglia come simbolo di purezza da contrapporre all’oscurità dell’ISIS, la famiglia come ragione di vita (e di morte).

mosul film 2019Un cast corale quello di Mosul, in cui tre personaggi godono di un minimo di caratterizzazione in più degli altri di cui, invece, sappiamo poco o nulla. A cominciare dal maggiore Jasem affidato al volto spigoloso di Suhail Dabbach, a mio parere il più interessante del lotto; un leader che si fida e si affida ai propri uomini ricoprendo una figura quasi paterna, trasmette esperienza e preparazione. E che ha le sue crepe, vedi quel disturbo ossessivo compulsivo che lo spinge a raccogliere rifiuti da terra nonostante i luoghi devastati e fatiscenti, metafora del bisogno di ripulire il proprio mondo, e che gli costerà caro – in un episodio che ricorre ad un simbolico connubio perdizione/morte tipico dell’estremismo religioso islamico.

Al suo fianco c’è Kamal, interpretato da Qutaiba Abdelhaq, quello a lui più vicino tra i suoi uomini, character a cui vengono affidati alcuni dei momenti più emotivi. Chiude il terzetto Kawa, nei cui panni troviamo Adam Bessa (che parteciperà anche a Tyler Rake), giovane che si trova catapultato in una nuova realtà, più ostica ma anche più gratificante/determinante della precedente, viene coperto da un leggero velo di mistero che stuzzica la fantasia dello spettatore di cui dovrà conquistare la fiducia allo stesso modo in cui dovrà fare con i compagni di squadra.

mosul film netflixUna rappresentazione cruda e brutale della guerra che necessità di quadro adeguato che solo la desolazione dei ruderi di Mosul può offrire. Una città che sembra non esistere, palazzi che cadono a pezzi, strade ricolme di pietre, ruderi, mattoni, rottami di automobili. Un contesto che acuisce il senso di desolazione e disperazione che noi occidentali (privilegiati) possiamo solo immaginare attraverso le immagini di un film.

La regia dell’esordiente Matthew Michael Carnahan cerca uno stile realistico, a tratti documentaristico, con la camera spesso al centro dell’azione pur mantenendo una certa pulizia di riprese. L’azione, dicevo, ha un ruolo importante, il mezzo attraverso il quale il regista trasmette sensazioni differenti tra loro, dal pathos al dramma, dall’adrenalina al dolore. Un ingrediente a cadenza costante, che scandisce le varie tappe del viaggio dei nostri eroi. Un viaggio segnato dal suono delle pallottole, dal tintinnio delle lamiere, dal fragore delle bombe, dallo squarciarsi delle ferite, dal tonfo dei corpi che cadono. Conflitti a fuoco, quindi, che la fanno da padrone, senza disdegnare armi da taglio per i blitz più silenziosi. Una messa in scena diligente che denota anche una discreta attenzione per tattiche e strategie militari. Azione che viene inframezzata da frangenti più intensi emotivamente, come la scoperta di un tradimento, la perdita di un commilitone, il raggiungimento di una missione.

In definitiva, Mosul è un prodotto che può soddisfare più esigenze (e più palati), col suo menu assortito che comprende l’adrenalina dell’azione da guerriglia, riflessioni su guerra e terrorismo, uno sguardo su uno spaccato a noi lontano visto attraverso gli occhi di chi lo vive in prima persona.

Di seguito il trailer internazionale di Mosul, nel catalogo di Netflix dal 26 novembre: