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Titolo originale: American Guinea Pig: Sacrifice , uscita: 01-05-2017. Regista: Poison Rouge.

Recensione | American Guinea Pig: Sacrifice di Poison Rouge

17/09/2018 recensione film di Raffaele Picchio

Arrivato al quarto capitolo, il ramo statunitense della saga gioca la sua carta più particolare e anomala, rifiutando l'eccesso splatter a favore di un agghiacciante e quasi insostenibile viaggio nel dolore e l'espiazione con un prodotto difficile e imperfetto, ma innegabilmente efficace

Iniziamo a dire per prima cosa che Sacrifice è un prodotto orgogliosamente italiano. Nato al di fuori della saga -contenitore di Stephen Biro, segna l’esordio alla regia della body performer, ballerina e artista Poison Rouge (la nostra intervista esclusiva) già collaboratrice assoldata del prolifico Domiziano Cristopharo, qui presente nelle molteplici vesti di produttore, soggettista, direttore della fotografia ed effettista. Inoltre, Sacrifice – che è stato sceneggiato da Samuel Marolla – indossa la duplice veste di quarto capitolo ufficiale di American Guinea Pig e di primo segmento della “Trilogia della morte”, pensata dal produttore Cristopharo (a cui seguiranno Torment di Adam Ford e Xpiation dello stesso producer) ed è probabilmente proprio questo dualismo che incarna a renderlo paradossalmente un prodotto piuttosto ‘alieno’ e particolare.

Sacrifice apparentemente si presenta in modo molto semplice: un ragazzo con profondi traumi mai risolti e tendenze all’autolesionismo a seguito della morte del padre torna nella sua isolata casa d’infanzia e chiudendosi nel bagno, inizia ad affrontare i suoi demoni martoriando sé stesso e arrivando ad immolarsi e sacrificarsi alla dea Ishtar, raggiungendo così una sorta di zenith dell’anima, dove la linea che demarca dolore e piacere è esilissima e la morte diventa solo un mezzo per rinascere puri e liberi.

Raccontato così, può sembrare il solito canovaccio per mettere in scena i consueti deliri splatter che si attenderebbero da un Guinea Pig. Invece Sacrifice, pur mantenendo il leitmotiv della saga con la disintegrazione del corpo umano al centro di tutto, si rivela opera ben più sfaccettata e complessa di quanto possa sembrare ad una visione distratta: ermetico ma precisissimo nell’uso dei suoi simbolismi (e infatti risulta superflua la didascalia con cui si chiude), colto e ricercato nella messa in scena che si rifà spesso a tantissime riproduzioni “in carne” di capolavori dell’arte, riesce a fare anche un discorso non banale sul superamento dei propri limiti e sull’accettazione del proprio corpo come terreno sconosciuto anche a noi stessi, vero e proprio “portale” spirituale di ascesa verso la purezza. Lo fa ovviamente spingendo a tavoletta il pedale della rappresentazione filmica della violenza, in alcuni momenti capace di mettere a disagio anche l’appassionato più predisposto e navigato in un incessante vortice di scarnificazioni, mutilazioni e tremende torture genitali (tra il Jörg Buttgereit di Schramm, la follia del Miguel Angel Martin di Psychopathia Sexualis e le body performance estreme dei primi film di Luigi Atomico).

Rispetto i precedenti tre capitoli, l’eccesso splatter è più contenuto a favore di una rappresentazione del dolore magari meno “di genere”, ma estremamente più realistica e difficile da mandare giù. L’esordiente Poison Rouge dimostra mano sicura e profonda conoscenza dei temi che vuole mettere in mostra e trova nell’altrettanto debuttante Roberto Scorza, che regge letteralmente da solo l’intero film, il giusto corpo da spingere verso i limiti immortalandolo in una prova “muta” tanto difficile quanto convincente (mentre risulta invece troppo eccessiva ed “evitabile” la rappresentazione fisica della dea incarnata da un’invasata Flora Giannattasio perennemente nuda). Assolutamente degno di nota anche il minimalista ma efficacissimo commento musicale di Alexander Cimini, mai invadente e capace di belle aperture sinfoniche.

Anche se Sacrife risulta un prodotto abbastanza “alieno”, è innegabile e inevitabile comunque la fortissima impronta stilistica del prolifico (a dir poco) Domiziano Cristopharo, tanto che durante la visione del film è impossibile non riconoscere profonde connessioni con i suoi lavori da regista come Red Krokodil o l’allucinante Doll Syndrome (di cui Sacrifice sembra esserne la “crasi”). Non sono comunque tutte rose: anche qui si inciampa ogni tanto su alcune ingenuità (l’eccessivo utilizzo del voice over), qualche eccesso visivo fuori controllo che si avvicina pericolosamente al confine del “ridicolo” (il selfie?!?) e l’innegabile ristrettezza di mezzi tecnici, che se spesso viene arginata dalla claustrofobica messa in scena e da qualche bella intuizione registica (l’emersione in sequenza del protagonista da un limpido mare alla sua lercia vasca da bagno), ogni tanto mostra il fianco scoprendosi totalmente sopratutto nella povertà delle poche sequenze esterne.

Nonostante ciò, Sacrifice si piazza tra i segmenti più interessanti e difficili degli American Guinea Pig, che con il suo negare totalmente ogni sorta di divertimento splatter sembra volutamente “scremare” quella fetta di pubblico più “de panza” a cui si rivolgeva per esempio il capitolo precedente (The Song of Solomon, la nostra recensione), cercando una dimensione “autoriale” ancor più di nicchia, che seppur ancora acerba e con qualche incertezza, nobilita con la sua presenza questa saga-contenitore di film contribuendo a tenerla a un livello decisamente più alto dell’underground da cui proviene e a cui si vorrebbe facesse riferimento.

Di seguito il trailer originale di American Guinea Pig: Sacrifice: