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Voto: 7.5/10 Titolo originale: The French Connection , uscita: 09-10-1971. Budget: $1,800,000. Regista: William Friedkin.

Dossier: Il braccio violento della legge di William Friedkin, un labile confine tra bene e male

15/12/2022 recensione film di Carmine Marzano

Nel 1971 Gene Hackman e Roy Scheider erano i protagonisti di un poliziesco crudo e disilluso

Gene Hackman in Il braccio violento della legge (1971)

A distanza di oltre cinquant’anni dalla sua uscita nei cinema, Il braccio violento della legge (The French Connection) di William Friedkin (1971) potrebbe forse risultare ‘appannato’ nella memoria del grande pubblico, portato a identificare il regista di Chicago solamente come l’autore del di poco successivo L’Esorcista (1973), trascurando quindi tutto il resto delle sua illustre produzione.

L’arrivo del film nel folto catalogo di Disney+ risulta allora l’occasione ideale per recuperare questa gemma della New Hollywood.

E’ sorprendente constatare come tra tutti coloro che lavorarono alla produzione di Il braccio violento della legge praticamente nessuno si attendesse né il grande incasso ottenuto ai botteghini (oltre 50 milioni di dollari complessivamente), né un’enorme attenzione critico-mediatica – coronata dalla vittoria di ben cinque premi Oscar – che avrebbe lanciato nell’olimpo dei giovani talenti un allora semi-sconosciuto William Friedkin, reduce da quattro sonori flop di fila al box office che ne avevano messo in forte discussione la carriera.

Si può quindi dire che Il braccio violento della legge sia un “B-movie” miracolato, un film girato con un budget ristretto (poco più di 2 milioni di dollari), che tra l’altro costrinse il regista a ‘subire’ scelte dall’alto da lui piuttosto sofferte (la più importante fu Gene Hackman nel ruolo dell’agente Doyle, a cui avrebbe preferito Paul Newman, però troppo costoso).

Ilbraccioviolentodellalegge.jpgWilliam Friedkin si approccia al genere poliziesco con sfrontatezza e freschezza registica, mostrando una totale disinibizione artistica nella costruzione estetica delle immagini, messe in scena con sporca rudezza.

La fotografia granulosa di Owen Roizman conferisce un’aria cronachistica alla città di New York, ritratta dal regista in modo impietoso e senza alcun filtro. Ne emerge così una megalopoli in rovina, dagli ampi sterrati, piena di erbacce incolte, di rottami consumati e dalle periferie lasciate a loro stesse.

Luoghi ideali per il prosperare del traffico di stupefacenti, contro cui lottano da anni due agenti della narcotici: Doyle (Hackman) e Russo (Roy Scheider), i quali oramai mostrano segni di logoramento e di insofferenza, tanto da sfogarsi in servizio nei confronti di coloro che arrestano o interrogano.

Questa volta, però, casualmente sembrano aver imbroccato una pista giusta, riguardante un grosso traffico di eroina gestito da un misterioso francese di nome Alain Charnier (Fernando Rey).

Lo stile registico di William Friedkin consiste in un approccio estremamente rigoroso e realistico, che lo porta a girare Il braccio violento della legge in posti reali in modo tale da accentuare l’approccio da “cinema verità” nella costruzione narrativa del film.

Il regista si avvale di macchina a mano, rendendo così perfettamente lo spaesamento provocato dalla folla umana presente nella metropoli newyorkese, passando poi all’uso ottimale delle carrellate durante gli inseguimenti, che si combinano con inquadrature focalizzate su punti di vista poco canonici (come i piedi delle persone oppure nel focus sugli edifici della città, mentre fuori campo si sentono le voci dei nostri protagonisti nell’atto di snocciolare informazioni sulle indagini).

Abbondanti sono le inquadrature alle facciate dei locali di NYC, come se William Friedkin ci volesse dire che nulla è come sembra, di dover andare oltre la superficie apparente delle cose, perché dietro all’insegna di un bar o di un caffè si può nascondere un’attività illecita (pare quasi prefigurare Il Padrino in certe scelte). Una palese critica al sogno americano, dove dietro la facciata propagandistica si staglia una realtà miserevole di insofferenza sociale, degrado socio-economico e illegalità.

La frustrazione, l’impotenza e l’irruenza di Doyle vengono enfatizzate ulteriormente da un montaggio nervoso, che esaspera ulteriormente la psicologia violenta del protagonista, che trova esemplificazione in un Gene Hackman fuori di sé dopo un tentativo di omicidio ai suoi danni, mentre si lancia in un forsennato inseguimento in macchina del criminale fuggito sulla metropolitana sopraelevata di New York.

La corsa è folle, caotica e distruttiva, l’agente Doyle ‘cieco’ a tutto il resto, non ha rispetto per nessuna regola pur di raggiungere il suo obiettivo.

Il confine tra bene e male è più sfumato del solito – con tanto di sguardo ironico della macchina da presa su Doyle e Russo, costretti a mangiare un trancio di pizza al freddo mentre i trafficanti di droga se la spassano al caldo nei ristoranti di lusso, anche se non come si vorrebbe intendere di prima analisi.

Il personaggio di Gene Hackman è brutale, amorale, violento e anche razzista, ma la sceneggiatura e la regia non lo spingono mai alle estreme conseguenze nell’arco del film quanto si pensa potrebbero, per tracciarne piuttosto un ulteriore approfondimento psicologico, finale escluso ovviamente. Il suo essere un po’ fuori dagli schemi deriva dalla determinazione nel voler raggiungere i suoi scopi e dalla frustrazione di fallire costantemente.

il braccio violento hackmanIn effetti, l’unico – e grosso – appunto da fare a Il braccio violento della legge è relativo al focus dell’indagine di William Friedkin, sempre votata al microcosmo individuale, lasciando inevitabilmente il resto a margine. Ne deriva una quasi mancanza di analisi socio-politica, visto che alla fine Doyle, seppure talvolta si dimentichi di essere un poliziotto non mette mai in discussione l’autorità da cui dipende, né la legge che deve far rispettare (tra l’altro da lui mai contestata).

Così facendo, William Friedkin fallisce forse il salto decisivo verso il capolavoro, venendo tra l’altro superato concettualmente qualche mese dopo da Ispettore Callaghan : Il caso Scorpio è tuo di Don Siegel, dove il protagonista è molto più sfumato e sfaccettato per quanto riguarda l’analisi dei suoi metodi brutali in relazione alla sua visione della società in chiave “anarco-destroide”, che lo porta a scagliarsi sia contro le minoranze sia contro l’autorità borghese, che pretende ordine e sicurezza, senza sapere che questo richiede un prezzo salato sul campo, ben al di là delle ‘garanzie’ date dalla legge.

Vezzi a parte, bisogna riconoscere di ritrovarsi davanti a un signor film, con un protagonista perfettamente in parte e che sarebbe diventato di lì a poco uno dei talenti simbolo degli anni ’70.

Come detto, oltre al successo di pubblico Il braccio violento della legge ottenne cinque Academy Awards (miglior film, regia, sceneggiatura, montaggio e attore protagonista), nonostante parte della critica (tra cui la celebre Pauline Kael) lo avesse apertamente osteggiato accusandolo di fascismo e di giustizialismo d’accatto; etichette da rigettare fermamente alla luce di una visione più attenta e meno superficiale di un’opera che porta sul grande schermo gli scandalosi abusi d’autorità nei confronti dei sospettati, alquanto diffusi tra i membri della polizia del tempo (e non solo), chiamati al rispetto di una legalità difficile da far rispettare nel contesto in cui opera(va)no e pervasi dalla disillusione derivante dal fatto che nulla cambiasse mai.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Il braccio violento della legge: