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Voto: 4/10 Titolo originale: The Predator , uscita: 05-09-2018. Budget: $88,000,000. Regista: Shane Black.

The Predator (2018): la recensione del film di Shane Black

03/10/2018 recensione film di William Maga

Un'attesa lunga otto anni demolita come preventivabile dagli infiniti problemi produttivi, sconfinati in un montaggio impazzito che intorbidisce il tono del film e apre voragini narrative incolmabili

The Predator (2018) film

Considerando il fatto che, tolto il suo debutto come sceneggiatore del memorabile primo film della saga di Arma LetaleShane Black abbia recitato nel Predator originale del 1987 in un piccolo ruolo come uno dei Marine di Arnold Schwarzenegger, il suo attuale ritorno ora alla regia di un soft reboot / seguito di quello stesso classico del cinema fanta-horror (e in realtà anche del suo vero sequel, ambientato nel 1997) possa essere decisamente visto come una sorta di cerchio che si chiude per la sua fin qui fortunata carriera hollywoodiana.

Chiaramente, proprio come accaduto per il franchise ‘cugino’ di Alien, qualcosa è andato storto con Predator nel corso degli anni. Nonostante i fastosi inizi e un grande primo sequel – anche se spesso diffamato -, tutto è stato in discesa da lì, fino alla non proprio riuscitissima pensata del crossover di Alien vs. Predator, che ha di fatto condannando entrambe le saghe al purgatorio del PG-13, una situazione che nemmeno gli ostentati sequel R-rated sono riusciti davvero a rettificare.

Predators di Nimród Antal aveva nel 2010 riportato un po’ di equilibrio (la recensione), fornendo un seguito parzialmente soddisfacente sotto certi aspetti, ma certo sempre molti gradini al di sotto dei primi due lungometraggi. Come detto, dopo quasi 10 anni di attesa un riavvio ‘soffice’ / sequel era pertanto una scelta comprensibile da parte dell’insicura Fox, e Shane Black sembrava una scelta solida, anche se piuttosto insolita e quasi azzardata (aveva sicuramente alle spalle alcuni buoni successi commerciali, ma mai si era cimentato con la fantascienza o l’horror in senso stretto).

Tuttavia, con il rincorrersi di conferme circa una produzione sempre più caotica, tra ritardi, personaggi improvvisamente cancellati e scene totalmente rigirate, la speranza che il risultato finale sarebbe stato alla fine decente ha iniziato a scivolare via, e con l’uscita nei cinema la realtà è davanti agli occhi di tutti, e non sarà certo un boccone facile da mandar giù per i fan di vecchia data.

La storia è tanto caotica quanto frenetica, e coinvolge per quasi 2 ore un Predator che si schianta nella giungla, con la sua navicella abbattuta per qualche ragione da un’altra astronave aliena. Il letale cecchino Quinn McKenna (Boyd Holbrook) si trova casualmente da quelle parti per una missione segreta e, dopo un curioso debriefing con alcuni loschi governativi guidati da Will Traeger (Sterling K. Brown) che vogliono levarlo di mezzo perchè ha visto troppo, viene spedito su un autobus diretto chissà dove pieno di altri militari con problemi psichici e dei quali ci si deve sbarazzare, più o meno nello stesso momento in cui lo Yautja ferito dall’impatto di cui sopra e poi catturato si risveglia e scatena la sua furia all’interno di una struttura di ricerca , dove è appena arrivata la Dott.ssa Casey Bracket (Olivia Munn).

McKenna decide così che è sensato unire le forze con il gruppo di disagiati che ha appena conosciuto, tutti quanti diventano grandi amiconi dal nulla, si liberano e vanno a caccia della creatura, incontrando sulla loro strada però anche un super Predator, più grosso e ancora più cattivo del primo, giunto da quelle parti con un suo personalissimo programma.

Al di là di una trama esile (Shane Black stesso l’avrebbe probabilmente definita “anoressica” se l’avesse descritta nei termini in cui pensava il Martin Riggs di Arma Letale), di una recitazione stonata, di un umorismo che spesso suona fuori luogo quando non è completamente inefficace, di effetti in CGI discutibili (quasi il 90% del gore presente in sostanza …) e più generalmente di uno stile e di un senso dell’importanza del materiale sensibile con cui si ha a che fare più consoni magari a un altro sequel di AvP, probabilmente il singolo e più grande – e assolutamente insormontabile per chi scrive – problema di The Predator è il montaggio completamente incoerente.

Guardandolo, sembra infatti che qualcuno (Harry B. Miller III) abbia letteralmente preso un film considerevolmente più lungo e abbia tagliato in modo casuale il girato soltanto per raggiungere una durata più agevole e gradita – per qualche ragione – ai vertici dell studio.

The Predator (2018) shane blackI personaggi si teletrasportano da una location all’altra senza alcun senso della distanza o del tempo, si impossessano in modo inspiegabile di armi, denaro e veicoli (in una scena sono nell’autobus, nella successiva sono sparpagliati per tutta la cittadina in non meno di quattro mezzi di trasporto diversi, tra cui una macchina della polizia!), scompaiono casualmente dallo schermo durante le sequenze d’azione – che sono, di per sé, già spesso irrazionali – e passano da sconosciuti schizoidi e compagnoni pronti a sacrificarsi gli uni per gli altri in un batter di ciglia.

I fili intrecciati di un cecchino che sa troppo, un gruppo di ex soldati disadattati e reietti in cerca di redenzione, un plotone di loschi agenti governativi alla Men in Black, una scienziata che si dà il caso possegga un addestramento militare tattico – quando naturalmente è richiesto che ce l’abbia – e non uno, ma ben due Predator con differenti ordini del giorno, non finiscono mai veramente per convergere, specie se poi – per avere la certezza di non farsi mancare proprio nulla – nella mischia si getta anche il figlioletto autistico di McKenna (Jacob Tremblay), rinforzando così il ruolo della diversità e mettendo sul tavolo anche il rapporto padre/figlio. La frittata è presto fatta.

Boyd Holbrook, che in Logan si era dimostrato una forza con dover fare i conti, non è certo la cosa peggiore di The Predator, ma non ha chiaramente un carisma paragonabile a quello di Dutch Schaefer o persino di Mike Harrigan, e i suoi “soci” di scampagnata – quasi una parodia irriverente e disincantata del ‘machissimo’ team del capostipite – sono a malapena tratteggiati (ripensate a quanto fosse iconica l’intera squadra di soldati in Predator, o anche solo quanto memorabili fossero i colleghi poliziotti di Danny Glover in Predator 2, e vi troverete facilmente a chiedervi come abbiano potuto fallire così miseramente qui), nonostante Shane Black garantisca a tutti quanti il tempo necessario per pronunciare battute che cadono nel vuoto e a comportarsi in modo bizzarro.

Thomas Jane, Alfie Allen, Keegan-Michael Key, Boyd Holbrook, Augusto Aguilera, and Trevante Rhodes in The Predator (2018)Nello specifico, Thomas Jane lotta con un personaggio affetto dalla sindrome di Tourette che regala un paio delle risate più sane del film, ma che fondamentalmente resta confinato a presenza poco comprensibile, Keegan-Michael Key – che viene fatto passare per il giullare del gruppo – porta a casa a malapena una singola linea di dialogo simpatica, mentre Alfie Allen (Il Trono di Spade) si limita saggiamente a tenere la testa bassa, finendo per passare inosservato completamente, e Augusto Aguilera combatte per allontanare con fermezza qualsiasi cosa provi a renderlo un personaggio solido, perché lui deve essere quello bislacco a oltranza.

E poi c’è Olivia Munn, che muta da timida biologa esperta di evoluzione con la passione per gli UFO a super-soldato cazzuto in pochi secondi, riuscendo peraltro perfettamente a sembrare a totale disagio in quasi tutte le scene in cui finisce per ritrovarsi (avete presente quell’espressione schifata del tipo ‘ma ho davvero firmato per girare questa roba?’ stampata perennemente sulla faccia).

L’altro grosso problema di Shane Black non è comunque il cast, che finisce per comportarsi per lo più dignitosamente visto il quantitativo di assurdità che la sceneggiatura gli lancia addosso, o le inconsistenti freddure che talvolta funzionano, o il tentativo di conferire all’opera uno spensierato retrogusto anni ’90, quanto piuttosto il suo lavoro dietro la telecamera. Il regista si sforza di mettere in scena singole sequenze action compatte, optando per lo splatter spinto per compensare i cattivi angoli di ripresa e l’ancor peggiore montaggio postumo. E gli effetti speciali non proprio allo stato dell’arte.

Il suo script è stracolmo di idee: ok, mettiamoci pure gli affascinanti Hell-Hounds, ma il modo in cui vengono utilizzati è ai limiti del ridicolo; ok, parliamo pure dei cambiamenti climatici che sono importanti, ma non approfondiamoli troppo, visto che è solo parte fondante delle motivazioni del ritorno dei Predator sul nostro pianeta; ok, i Predator riescono a tradurre e comprendere il linguaggio umano, ma senza un accesso a Google Maps parte del loro lavoro investigativo appare del tutto privo di senso.

The Predator (2018) shane blackThe Predator troppo spesso rimbomba come un mix di scene e di dialoghi che Shane Black pensava sarebbero stati cool e divertenti, scaraventati tuttavia in un frullatore in cui sono stati tritati anche violenza e dramma, filmando il tutto randomicamente e appiccicandone i frammenti insieme con un ritmo vertiginoso e senza curarsi del tono assolutamente altalenante, nel tentativo nonsense di coprire le enormi lacune narrative inevitabilmente createsi.

È un vero peccato che ci sia davvero così poco da salvare. Il regista prova chiaramente un grande affetto per il film originale (e strizza l’occhio anche al sequel del 1990, anche se il cameo di Jake Busey, figlio di Gary, nel ruolo del figlio del suo personaggio di Predator 2, è lì per ricordare a tutti perchè il 47enne non farà mai la carriera del genitore), ma anche i suoi comprensibili omaggi sono giocati male.

Tralasciando l’ormai superata visione termica, la battuta sugli elicotteri fa registrare a malapena un fremito, mentre il rovesciamento da parte di Olivia Munn della storica battuta sul “mostro schifoso” pronunciata da Arnold Schwarzenegger suona semplicemente sciocca. Bisogna davvero scavare in profondità per trovare qualche soddisfazione in The Predator, forse in qualche sequenza individuale, come quando uno dei cacciatori alieni si ricorda di Wolverine e fa a fette un gruppo di scienziati troppo incauti.

Shane Black ha un fascicolo personale quasi impeccabile: ha sceneggiato Arma Letale 1 e 2, L’ultimo boy scout, Last Action Hero – L’ultimo grande eroe e Spy e ha scritto e diretto Kiss Kiss Bang Bang e The Nice Guys. Anche il suo più grande successo commerciale, Iron Man 3, ha ardenti sostenitori, ma The Predator è senza troppe difficoltà il suo primo grande passo falso.

È una sorta di film del tipo ‘occhio magico’ in cui, se davvero ci si impegna tantissimo, si può individuare una specie di forma precisa o di disegno intenzionale che si distacca dal caotico e maldestro ‘rumore visivo’ tutt’intorno, ma che in definitiva non può che mandare insieme lo sguardo (e la mente) di tutti quelli che vorrebbero soltanto una pellicola da gustare senza sforzi improbi.

Di seguito il final trailer italiano di The Predator, nei nostri cinema dall’11 ottobre: