Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori di provare a leggere il delicato momento, per capire cosa potrebbe succedere alla fine dell'emergenza
L’emergenza coronoviarus (o COVID-19) dell’ultimo mese ha senza dubbio stravolto anche il mondo del cinema. Probabilmente avrete letto delle iniziative della Universal Pictures di anticipare la sua tipica finestra distributiva (tre mesi) per rendere immediatamente disponibili al pubblico in VOD alcune importanti uscite come L’uomo invisibile, The Hunt (la recensione), Emma (peraltro già uscito su CHILI anche in Italia senza passare dalle sale) e Trolls: World Tour. Anche la Warner Bros. per Birds of Prey (la recensione), la Sony per Bloodshot e la Disney con Onward hanno adottato simili provvedimenti per provare a limitare i danni di uscite cinematografiche per alcuni titoli significativamente ridotte per numero di giorni. (La situazione per l’Italia, dove quasi tutti i film citati sono ancora inediti, non è data sapersi)
Se sommiamo tutti questi attacchi, ‘usare’ il coronavirus per accorciare definitivamente le finestre di distribuzione sembra quindi l’ultimo chiodo nella bara delle sale tradizionali, che non hanno la minima idea di come affrontare un panorama cinematografico in così brusca evoluzione. Ma alla fine di queste settimane di cinema chiusi, gli spettatori si saranno irrimediabilmente adattati allo status quo, avendo scelto di aderire nel frattempo alle decine di offerte delle più svariate piattaforme, oppure avranno ancora il bisogno di uscire a socializzare e vedersi un film su un bel maxischermo?
Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori cosa pensano della situazione e soprattutto del futuro dell’intrattenimento. Cominciamo coi primi due.
La prima cosa a cui ho pensato con il montare dell’affaire virus già qui in Cina è stato “e Cannes?“. Perché poi si inizia a preparare da prima. Sarebbe stato il quarto anno in cui avrei tenuto la conferenza Immersive China nell’area per la realtà virtuale, e ovviamente devi parlare con gli organizzatori e con gli sponsor e speaker molto prima. Quest’anno poi ci sarebbe stata una novità. Un’area ancora più grande per la VR e un premio che punta ad essere prestigioso quanto Venezia o il Sundance. Quindi noi a Polyhedron VR Studio avevamo anche ansia di portare qualcosa di valido perché non è che possiamo non vincere. Già quando il virus impazzava in Cina qualche mese fa, mi sono chiesto come fosse possibile fare il mercato senza l’apporto economico di Cina, Corea (nell’anno dell’Oscar) e Giappone. Quando si è trasmesso in Italia e poi in tutto il mondo, con i set bloccati: apriti cielo. Eppure fino all’ultimo hanno tenuto duro. Annullare Cannes vuol dire una serie di eventi a cascata. Tutti infausti. Data la natura turistica dell’evento, il clima, e quindi la stagione estiva, è obbligatoria. Molti titoli sarebbero costretti o a rimandare l’uscita o a uscire senza mantenere la promessa agli investitori di avere la Palma per la selezione. Poco importa, perché tanto non si sa quando si esce.
Sinceramente non credo che, finita l’emergenza, si faticherà a portare la gente al cinema. Una soluzione è quella adottata da alcuni di fare una scacchiera dei posti a sedere dove uno su tre sono disponibili, in modo da tenere la distanza. Il giorno in cui scrivo, 18 Marzo, i cinema riaprono timidamente in Cina. Quindi la chiusura è stata di due mesi. Il problema sono le riprese. Durante le mie 5 settimane in Italia, dopo le prime 2 di quarantena, ho iniziato a girare Spillover, un fanta-thriller proprio sull’epidemia che vedrà anche riprese in Cina. Qui a Pechino, mentre faccio altre 2 settimane di quarantena, lavoro per la pre-produzione e mi sono informato sulle regole per girare durante coronavirus, che probabilmente verranno adottate worldwide. A parte la mascherina obbligatoria, sono tutti limiti a cui sono abituato: troupe ed equipment ridotti, tempistiche lente.
Naturalmente si spera che la pandemia non duri così a lungo da rivoluzionare il sistema, ma sicuramente molti correranno ai ripari verso una modernizzazione del mezzo cinematografico. In breve, il coronavirus velocizza alcuni cambiamenti tecnologici che erano in nuce già da tempo, e chissà per quale incredibile coincidenza avviene nell’anno del 5G, dal paese che lo domina maggiormente.
Francesco Chello (redattore)
L’altro giorno ho visto la tabella di un cinema americano, il cui gestore aveva scritto una frase che mi è rimasta impressa. “Cinema closed until real life doesn’t feel like a movie“, ovvero “il cinema resterà chiuso finché la vita reale non smetterà di sentirsi come un film”. Tremendamente vero. Una delle affermazioni che mi sta capitando spesso di ascoltare / leggere in questo delicatissimo momento storico, è ‘sembra di essere in un film’. Come se Lenny Nero ci avesse venduto una delle sue clip, catapultandoci in uno di quei titoli di un filone cinematografico sempre prolifico come quello pandemico. Il virus, l’epidemia, il lockdown, le vittime, il dramma. Tutto reale. Purtroppo.
Un cinema che, come tutti i settori, deve fare i conti con questo evento nefasto. Quello su cui proviamo a ragionare oggi, sono proprio le eventuali conseguenze del coronavirus sul movie business. Perché se per noi appassionati, il cinema resta una porta sull’immaginazione, nella realtà (e per gli addetti ai lavori) resta pur sempre un’industria. E come tale bisogna considerarla. Un’industria che muove una mole abnorme di denaro, interessi e lavoratori, e che come altre deve (e dovrà) tentare di salvaguardarsi e fare i conti con una situazione difficile.
In questo periodo sappiamo di piattaforme streaming che regalano periodi gratuiti o concedono una forte scontistica, così come alcuni studios hanno deciso di anticipare i tempi di uscita dell’home video per quei titoli per i quali era troppo tardi posticipare l’uscita in sala. Gesti che l’utente finale percepisce come ‘caritatevoli’ (virgolette super d’obbligo), ma che nascondono vere e proprie strategie di marketing per attutire il danno e, contestualmente, effettuare una ‘semina’ ed una fidelizzazione del cliente in funzione futura. A mio parere, il coronavirus non stravolgerà le dinamiche di un’industria come quella cinematografica, bensì accelererà una serie percorsi e mutazioni già abbondantemente avviati. Il cinefilo da sala resterà tale, e mi riferisco all’appassionato fedele che va al cinema una volta (se non di più) a settimana e non perde nemmeno un titolo tra quelli di suo interesse; una categoria che già adesso avverti in astinenza e che alla riapertura si rifionderà in sala come e più di prima.
Ho specificato legale perché, chiaramente, un fenomeno da non sottovalutare è quello della pirateria, che in questo frangente potrebbe vedere intensificare il proprio parco spettatori, aprendo un mondo anche a chi magari prima non ne faceva uso. In questo senso, alcune campagne distributive potrebbero rivelarsi un clamoroso autogol se gestite nel modo sbagliato; penso, ad esempio, alla sopracitata Universal che lancia il noleggio de L’Uomo Invisibile solo su territorio americano, solleticando inevitabilmente la curiosità dello spettatore straniero. Per combattere il fenomeno, le major (ma non solo) dovrebbero finalmente arrivare alle tanto agognate distribuzioni in contemporanea mondiale, come già avviene su molti titoli e chissà che dopo tutta questa storia non si possa andare totalmente in quella direzione. Ad ogni modo, qualunque sia la sua evoluzione, l’augurio è che il cinema torni presto ad essere una semplice fuga dalla routine quotidiana e non un modo per combattere l’angoscia. Vorrà dire aver finalmente visto scorrere i titoli di coda su questo brutto film in cui siamo finiti.
Continua … (la seconda parte)