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Voto: 7.5/10 Titolo originale: The Addiction , uscita: 10-01-1995. Regista: Abel Ferrara.

Riflessione | The Addiction: i vampiri newyorkesi secondo Abel Ferrara

06/03/2020 recensione film di Sabrina Crivelli

Nel 1995 Lili Taylor diventava un vampiro nichilista nell'oscuro horror in bianco e nero del regista, un'indagine sull'essenza del Male stesso

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Il vampirismo è stato percepito nel tempo come una mostruosa aberrazione o una demoniaca presenza che incombe sugli esseri mortali, oppure quale una vera e propria malattia pandemica che miete numerose vittime imbelli. Eppure, non potrebbe essere anche una dipendenza di creature che già per propria indole sono malvagie, e proprio per questo compiono atti maligni? Su ciò si interrogava nel 1995 Abel Ferrara, mostrando nel suo oscuro ed enigmatico The Addiction – Vampiri a New York il volto cinico di una Nosferatu dei nostri tempi, figlia del nichilismo novecentesco e del superomismo nietzchano.

The Addiction -Abel Ferrara - posterNon bisogna essere mostri per compiere i gesti più efferati, ci dice subito il regista, aprendo il film con le truci immagini in bianco e nero di cadaveri ammassati in un campo di concentramento, risultato di una truce pulizia etnica nei Balcani. In queste poche, scioccanti immagini si racchiude l’essenza stessa del Male di cui l’uomo è capace. Spettatrice attonita è Kathleen Conklin (Lili Taylor), studentessa di filosofia a un passo dalla discussione finale e travagliata protagonista del film, che troviamo a riflette in sull’insensatezza dello sterminio fratricida davanti agli schermi che ne proiettano le fotografie.

Ne percepiamo subito la complessa psicologia, epicentro di quello che palesemente, sin dai primi fotogrammi, non è destinato ad un semplice horror, ma una profonda e controversa indagine sull’essenza dell’orrore stesso, più umano che sovrumano.

The Addiction – Vampiri a New York infatti nasce da presupposti più speculativi che narrativi, partendo da una scena che ricorda da vicino un documentario Nouvelle vague sull’Olocausto (alla Notte e nebbia di Alain Resnais). D’altra parte, il lento addensarsi della tenebra non è che un elemento collaterale alla riflessione, che è sempre e anzitutto antropologica. Kathleen, dopo la dolorosa visione, sta tornando a casa. Il sole è calato sulla Grande Mela e sta percorrendo da sola una strada buia, quando si imbatte in una sconosciuta assalitrice (Annabella Sciorra) che la trascina in un vicolo e la morde sul collo, succhiandole una buona dose di segue e lasciandola sconvolta. Eppure è viva.

Non è la sua fine, anzi, è solo il principio di una degenerazione morale quanto fisica che porta la ragazza a mettere gradualmente in discussione, insieme alla sua natura umana, di ogni regola morale. Le droghe, la caccia ai suoi simili e i lunghi monologhi cinici ci conducono nel suo percorso erratico, che la porta a ergersi al di sopra della morale, addirittura della distinzione di Bene e di Male, fino a uno stadio ultimo di assoluto cinismo.

The Addiction -Abel Ferrara - 3Ciò che avviene lungo questo processo è una successione di fatti torbidi, di frammenti ambigui, in cui i dialoghi ermetici – magistralmente scritti dal (co)sceneggiatore abituale Nicholas St. John– prevalgono sull’azione, limitata ed efferata. Profondamente anti-narrativo e introspettivo, The Addiction – Vampiri a New York ci sprofonda dunque in una metafisica resa ancora più straniante dall’uso del bianco e nero e da tempi estremamente dilatati.

Così, la catena di scene paradossali e scambi di battute tanto pregni da risultare innaturali quanto testi sapienziali (sono citati Heidegger, Husserl, Burroughs, Nietzche e Sartre) si alternano in una New York metafisica, che si dipana in un crepuscolare realismo magico e prende forma nelle sfumature di grigi.

Da un lato, ci sono gli interni, aule universitarie in cui carpiamo frammenti di lezioni di filosofia del Novecento, l’appartamento di Kathleen in cui un suo ignaro professore (Paul Calderon) diventa preda della sete crescente, uno stanzino sotterraneo in cui assale l’amica Jean (Edie Falco), la casa in cui abita un suo misterioso (Christopher Walken) che ha imparato a controllarsi e mimetizzarsi ai mortali, o la biblioteca i cui lei adesca una studentessa di antropologia (Kathryn Erbe). Poi c’è la strada; insidiosa come in un film espressionista, è abitata da oscure presenze, dalla vampira che morde Kathleen in principio, a Peina che la imprigiona a casa sua e la dissangua una volta che anche lei si è trasformata, fino alla protagonista stessa.

Luoghi e persone, come spettri vuoti, popolano le sequenze di The Addiction – Vampiri a New York, predatori in cerca della prossima vittima o vittime nell’inconsapevole attesa di un predatore. Kathleen stessa, incarnata magistralmente da una tenebrosa Lili Taylor costantemente vestita di nero e con occhiali scuri, percorre questo su terreno di caccia le tappe di una geografia labirintica della perversione, interiore ed esteriore, mettendo in scena una dipendenza fisica che richiama terribilmente quella dall’eroina. I dettagli crudi, le inquadrature sulle siringhe che usa per procurarsi il sangue o sui ‘vizi’ che propone al suo professore per concludere una serata insieme, richiamano immediatamente l’uso di quella droga e l’assuefazione che ne deriva.

Il vampirismo, allora, diventa tossico-dipendenza da sangue umano in una rilettura fortemente contemporaneamente che turba assai più del solito mostro millenario, forse poiché radicata in scenari assai più vicini alla vita reali. D’altronde lo squallido immaginario urbano messo in scena è quello ricorrente nel cinema neo-noir più di rottura (ricordate Il cattivo tenente o King of New York) di Abel Ferrara.

The Addiction -Abel Ferrara - 5In tal maniera, la vampiristica tossicodipendenza diventa (come quella da altre droghe) la via di fuga di una società degenerata e in preda a una dolorosa un’apatia. In essa, come sul finale di The Addiction – Vampiri a New York Kathleen, ormai conseguita la sua laurea, afferma disincantata dal sedile posteriore di un taxi, mentre si mette sulle labbra un rossetto rosso:

La dipendenza ha una duplice natura, da un lato soddisfa lo stimolo che scaturisce dal male, ma dall’altro ottunde la percezione, cosicché viene meno la coscienza del nostro stato …

Tuttavia si tratta, come lei stessa ammette, di un circolo vizioso, in cui per dimenticare lo stato stesso di dipendenza ci si assuefà sempre di più a ciò che che ci permette tale oblio. Esiste una fuga possibile? Forse, uno spazio di redenzione è lasciato, dopo la cruenta apoteosi finale dominata da un banchetto di sangue per festeggiare la proclamazione della protagonista, quando lei, ormai in ospedale cerca nella confessione dei propri peccati una forma di espiazione …

Così arriviamo all’epilogo ambiguo, e la sensazione è quella di vuoto, di assenza di senso che si annida nell’esistenza e nel vissuto dell’uomo post-contemporaneo. Ci viene da chiederci: è davvero un horror quello a cui abbiamo assistito? Certo, non è immediato come Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola (la recensione) che solo tre anni prima aveva tratteggiato il vampirismo in toni assai più romantici. The Addiction – Vampiri a New York, al contrario, ci trasmette un orrore viscerale, e per questo ci turba nel profondo.

Di seguito il trailer ufficiale: