Voto: 5/10 Titolo originale: Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile , uscita: 02-05-2019. Regista: Joe Berlinger.
Ted Bundy – Fascino criminale: la recensione del film di Joe Berlinger con Zac Efron
20/03/2020 recensione film Ted Bundy - Fascino criminale di Sabrina Crivelli
Joe Berlinger prende una storia nota e portata al cinema già in tutte le salse provando a darne un'inedita - e improbabile - chiave di lettura fallendo su tutta la linea, non aiutato dagli interpreti (tra cui Lily Collins e John Malkovich)
Indagine sulla dualità di un sadico omicida, Ted Bundy – Fascino criminale (Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile) di Joe Berlinger cerca di sottolineare l’apparente normalità di un serial killer. Tuttavia, non è adeguatamente portata a compimento l’intrigante ipotesi alla base della sceneggiatura di Michael Werwie, né – soprattutto – di The Phantom Prince: My Life With Ted Bundy di Elizabeth Kendall / Elizabeth Kloepfer, autrice del libro e fidanzata del ‘geniale’ manipolatore. Viene quindi – nel film come nell’originale cartaceo – ribaltato il punto di vista, partendo dall’esperienza di chi per lungo tempo non ha sospettato nulla e che ha per molto creduto impossibile che l’uomo che amava potesse essere capace di seviziare e ammazzare giovani innocenti.
Come è stato possibile che un giovane e avvenente studente di legge alla University of Utah abbia potuto tenere per anni nascosto un così agghiacciante segreto? L’interrogativo viene volutamente lasciato aperto in Ted Bundy – Fascino criminale. Per questo a raccontare i fatti è un testimone – la Kendall – dalla conoscenza parziale, emotivamente coinvolta, ingannata da una maschera come molti altri. Il film si apre infatti con un Ted (Zac Efron) assai diverso da quello a cui ci hanno abituato giornali, thriller e documentari: il suo volto è affabile, comune.
Lo seguiamo in principio nella sua storia d’amore con Liz Kendall (Lily Collins), dolce madre divorziata incontrata in un bar e a cui sembra essersi sinceramente legato. Più di una sequenza si sofferma sugli atteggiamenti teneri o romantici di lui, che al primo appuntamento trascorre la notte abbracciato a lei, per poi svegliarsi e prepararle la colazione; oppure lo vediamo giocare con la figlia piccola di lei e che festeggia i suoi compleanni allegramente.
È talmente preso dalla relazione da correre dalla ragazza ogni volta che può; così si spiegano anche, all’apparenza, i frequenti spostamenti in auto, per tornare dal Salt Lake City, dove il giovane frequentava la facoltà di giurisprudenza alla Università dello Utah, a Seattle, dove risiedeva Liz. L’apparenza però inganna … Il primo momento di rottura, per la Kendall – e per noi spettatori – è costituito dall’arresto di Ted. Era il 16 agosto 1975, quando fu fermato a Granger, un sobborgo di Salt Lake City, dall’agente della polizia stradale Bob Hayward.
L’origine del tutto furono la macchina che guidava, un Maggiolone della Volkswagen, e una chiamata anonima per cui era stato inserito in una lunghissima lista di sospetti. Comunque sia, aperto il bagagliaio, il poliziotto trovò diversi indizi inquietanti, tra cui delle manette, un passamontagna, dei guanti, delle corde, un piede di porco, un cacciavite e altri arnesi. Da qui assistiamo a una tragica escalation: prima Carol DaRonch, vittima di stupro ripresasi dopo un coma, lo riconosce; poi arrivano nuove accuse dal Colorado, la fuga e la condanna capitale in Florida, dopo un processo che suscitò incredibile attenzione mediatica. La storia è risaputa.
Quello che però stranisce di Ted Bundy – Fascino criminale è il modo in cui gli eventi vengono riletti. Certo, è palese l’operazione che Joe Berlinger sta tentando: nel lungometraggio lo scopo non è quello di presentare obiettivamente i fatti, ma di esplorare un oscuro enigma, senza fornire un immediato giudizio, ma lasciandoci sospesi nell’incertezza fino alla sconvolgente rivelazione finale di colpevolezza. In tal maniera si vuole comunicare la duplice natura del soggetto a cui si riferisce.
Auspicabile è l’originalità, meno il risultato. Le premesse infatti sono assai dissimili da quanto fatto in precedenza nella cospicua lista di titoli dedicati al medesimo soggetto (tra gli altri Ted Bundy di Matthew Bright del 2002, Ted Bundy – Il serial killer di Paul Shapiro del 2003, oppure Bundy: An American Icon di Michael Feifer del 2008). Parimenti, il regista prende le distanze da Conversazioni con un killer: Il caso Bundy (la nostra recensione), recentissima docu-serie dal lui stesso curata e prodotta da Netflix, in cui ripercorre le registrazioni originali delle interviste rilasciate al giornalista Stephen Michaud e negli interrogatori dell’agente speciale FBI Bill Hagmaier.
Come detto, i curiosi intenti vengono vanificati da molteplici problemi, malamente mascherati con la riproposizione di alcune frasi così come davvero pronunciate dai diretti interessati. Anzitutto, invece che una riflessione sull’ambiguità del Male, Ted Bundy – Fascino criminale sembra più una difesa ex post a oltranza di un innocente. Più che instillare il dubbio in chi guarda, per infinite sequenze ci viene mostrato un serio e affabile giovane che combatte senza perdere la speranza per non essere incastrato con false accuse da una polizia pressapochista in cerca di un facile capro espiatorio.
Nemmeno per un attimo intravvediamo l’efferatezza del celebre serial killer. Zac Efron – qui anche produttore esecutivo – incarna più che altro un simpatico ragazzotto che si ritrova in una situazione paradossale. Non solo non assistiamo direttamente a un solo omicidio, né alla benché minima scena di violenza, ma nemmeno nella resa del personaggio viene in alcun modo vagheggiata quella doppia personalità e quella furia omicida che contraddistinguono Ted Bundy. Che sia colpa della recitazione dell’attore o della sceneggiatura, il fascino criminale – promesso dal titolo – è del tutto assente, come pure manca del tutto la suspense.
Al contrario, domina un tono altamente drammatico e lacrimevole. Si continua ad alternare Ted Bundy, vittima di un ‘sistema americano iniquo’, e Liz, che disperata lo aspetta a casa attaccata alla bottiglia. I sospetti di lei, che nella realtà furono molti e motivati da un insieme di comportamenti ‘strani’ del compagno (come lei stessa riporta) sono del tutto obliati nel film. Sembra invece che lo attenda fiduciosa, salvo poi di colpo semplicemente stufarsi, o soccombere alle pressioni dell’amica Joanna (Angela Sarafyan) e di un nuovo spasimante (Haley Joel Osment).
L’evoluzione della psicologia del personaggio, come il suo conflitto interiore e il suo ravvedimento sono malamente abbozzati, superficiali e poco credibili. Si vorrebbe conseguire un’articolata panoramica dei contraddittori sentimenti di lei, e invece si ottiene una accozzaglia di immagini frammentarie e sconnesse. E la performance di Lily Collins certo non aiuta.
Lo stesso vale per la spettacolarizzazione del crimine, i processi e le dinamiche mediatiche. Anche in questo frangente, la sofisticata manipolazione della psiche femminile pare semplicemente la parodia di seduta di ipnosi di un mentalista. Ne è perfetto esempio la discussione con una seconda amante, Carole Anne Boone (Kaya Scodelario), che litiga con Ted Bundy per gelosia, ma che viene prontamente soggiogata grazie a un dialogo ridicolo non si sa bene con quali trucco mentale Jedi.
Anche le testimonianze vintage dello stuolo di fan invaghite dell’uomo non è da meno. L’apice della comicità – involontaria – viene però raggiunto nell’aula del tribunale. L’interpretazione che dà Jim Parsons dell’avvocato dell’accusa Larry Simpson è identica (nell’aspetto e vocalmente) a quella abituale del Sheldon della serie The Big Bang Theory, mentre a John Malkovich nei panni del giudice Edward D. Cowart tocca la parte della macchietta (non che lui si impegni più di tanto).
Degna conclusione, dopo quasi due ore di lungaggini, quando ormai stiamo assistendo basiti a un apparente – e sconclusionato – tentativo di riabilitazione di un innocente, ex abrupto, con serio cipiglio, Ted Bundy dichiara la sua colpevolezza a una Liz che lo incalza. Perché lei alla fine sia così convinta e perché lui decida di confessare resta un mistero. Come tutto il resto, si tratta di un afflato intellettualoide non supportato da una degna sostanza.
Di seguito trovate il trailer italiano di Ted Bundy – Fascino criminale:
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