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Voto: 7/10 Titolo originale: The Irishman , uscita: 01-11-2019. Budget: $159,000,000. Regista: Martin Scorsese.

The Irishman: la recensione del film di gangster di Martin Scorsese (per Netflix)

05/11/2019 recensione film di Sabrina Crivelli

Il regista 76enne gira la mastodontica e magniloquente summa della sua poetica cinematografica, che vede nei fidati Al Pacino, Robert De Niro e Joe Pesci i perfetti interpreti

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The Irishman è la sintesi e l’apoteosi del gangster movie. Non potrebbe essere definito altrimenti. Martin Scorsese, l’autore (poiché qui non si può che parlare di autorialità) di quest’opera magniloquente e grandiosa come lo spaccato di vita e società che cattura, riesce a condensare l’essenza stessa della propria cinematografia e tutta la sua arte, sviluppata in una lunga e fruttuosa carriera dietro alla macchina da presa. Il film, prodotto da Netflix e purtroppo destinato di conseguenza alla quasi totale visione domestica, ha tutta l’ariosità del ricordo, del libero racconto, che non sopporta vincoli di minutaggio, come di montaggio.

Le sue 3 ore e 30 minuti di durata ne sono la riprova. Tuttavia, proprio per questo, assume i contorni di opera assoluta, che sa di esistenziale e non mediato dalla limitante logica diegetica del taglio e dell’editing (inteso come operazione intellettuale di riordino del girato). Dirompente e incontrollato, come un fiume in piena, The Irishman travolge lo spettatore più che traghettarlo da un punto a un altro, aspetto che rappresenta la principale criticità, ma in fondo anche il maggiore pregio del lungometraggio.

the irishman netflix film posterTratto dal libro I Heard You Paint Houses di Charles Brandt (inedito in Italia), viene narrata la vera storia, raccontata sul letto di morte, del killer della mafia Frank “The Irishman” Sheeran, che avrebbe avuto un ruolo di primo piano nella scomparsa e nella morte del noto sindacalista americano Jimmy Hoffa (un incredibile Al Pacino) nel 1975. L’orizzonte, però, è assai più esteso. Puro Epos americano, si apre con “L’irlandese” del titolo, incarnato da un indimenticabile Robert De Niro, ormai vecchio e malfermo.

Lo vediamo seduto su una sedia a rotelle in una stanza spoglia, mentre parla rivolgendosi direttamente in macchina e inizia a ripercorrere il suo passato, che prende presto vita sul grande schermo. Costruito a cornici e digressioni che si alternano a delineare fatti e personaggi, le parole dell’uomo ci riportano indietro di qualche decade. Lui e Russell Bufalino (un altrettanto notevole Joe Pesci) sono in viaggio in macchina da una parte all’altra degli Stati Uniti con le rispettive consorti. Sono infatti diretti alla volta di Detroit, dove li attende il matrimonio di Bill Buffalino.

Tuttavia, le tappe in cui è suddiviso questo percorso non sono solo fisiche (le pause per fumare, per cambiare una gomma …), ma anche e soprattutto mentali, costituendo così un filo conduttore a cui si ritorna di tanto in tanto, tra una digressione e l’altra. Come in una proustiana peregrinazione nella memoria, gli elementi circostanti diventano così in The Irishman una sorta di filmica madeleine, uno spunto per proiettarci ancor una volta indietro di diversi altri lustri. Una stazione di servizio, ad esempio, è il punto di partenza di un flashback a quando il nostro antieroe ancora lavorava come camionista e per caso incontrò per la prima volta quello che sarebbe diventato il suo “mentore” e figura di riferimento nella malavita organizzata, ossia Russell, il suo futuro compagno di viaggio.

Ogni aspetto è collegato agli altri, come per una forza centripeta, figlia del punto di vista soggettivo da cui è raccontata, ossia attraverso gli occhi del protagonista medesimo lungo la sua parabola esistenziale e la sua ascesa all’Olimpo di Quei bravi ragazzi al centro del capolavoro del 1990 di Martin Scorsese (con cui non si può non fare un paragone). Lo stesso vale per le infinite incursioni nel passato, nei ricordi, in un continuo flusso senza soluzione di continuità, in cui siamo immersi dalla prima all’ultima scena.

The IrishmanD’altra parte, se la meta ultima del lunghissimo tragitto – in cui è sviluppata quasi l’intera durata – è delineata sin da principio, è al contempo solamente un pretesto per soffermarsi su altro. The Irishman è infatti un diario segreto per immagini, la confessione di un affiliato e sicario (Frank) con diretti contatti con i capi della mafia italo americana operativa a Filadelfia (ma con connessioni su tutto il territorio statunitense).

Grazie alla sua esperienza in prima persona ne vengono rivelati lo strapotere e le infinite connessioni, a ogni livello della giustizia, della politica e delle più importati istituzioni del paese. Frank in prima persona, e l’organizzazione malavitosa che rappresenta, raggiunge le più alte sfere, alcune del tutto impensabili. Corruzione, favoritismi e rapporti personali sono inscindibili nel di operare dei suoi adepti, come nel caso dell’amicizia tra il protagonista e Jimmy Hoffa, il capo del sindacato dei camionisti, una figura di spicco “all’epoca famosa più Elvis e dei Beatles messi insieme”.

Insomma, la mafia arriva ovunque … Certo, a volte sono supposizioni (una in particolare farebbe chiarezza su uno dei grandi misteri irrisolti e dei più oscuri complotti della storia degli USA). Che siano fatti di cronaca inconfutabili o notizie non documentate, o pura invenzione, tutto assume una nuova dimensione nel mix tra il realismo dello stile narrativo e totale relativismo nell’approcciarsi alle fonti, due opposti che coesistono in The Irishman.

Incredibile è in tal senso la capacità affabulatoria di Martin Scorsese, nella sua abile regia e messa in scena senza sforzo salta da un episodio all’altro, come faceva l’Ulisse di James Joyce da un pensiero all’altro. Non c’è bisogno di un ordine stringente nel succedersi dei fatti, né di una gerarchia: si è trasportati dagli eventi banali, come dai momenti decisivi, che si fondono tra loro in un determinismo assoluto, quasi a dominare la macchina narrativa e l’esistenza narrata fosse un crudele fato, o meglio la misera inevitabile sorte dell’uomo destinato a precipitare infine nella triste vecchiaia e nel baratro.

Aspetto ovvio, vista la rilettura a ritroso da parte di Frank, che è il cuore e la lente attraverso cui è rappresentato The Irishman nella sua interezza. Così, attraverso le sue reminiscenze si materializzano frammenti di vissuto individuale e collettivo, ripercorrendo la piccola e grande storia, quella degli uomini comuni (come Frank), quella dei miti e dei potenti poi dimenticati, come Jimmy Hoffa, e quella dei grandi della storia, come i fratelli Kennedy, lasciati sullo sfondo. Tutti sembrano però soccombere alla giostra del Destino, e ciò che rimane è la solitudine e i rimorsi con cui è necessario coesistere.

the irishman film de niroA brillare come divinità del grande schermo sono infine alcuni dei mostri sacri di Hollywood, primi tra tutti Al Pacino e Robert De Niro, titanici e insieme umani come i personaggi che impersonano.

La loro performance raggiunge uno dei più alti picchi del cinema dei nostri giorni, e d’altra parte da simili interpreti diretti da Martin Scorsese non c’era da aspettarsi altro, d’altronde, come il regista in persona ha detto in una intervista, The Irishman è la sua “pellicola testamento“, le cui riprese sono durare ben 5 anni e che è costata ben 125 milioni di dollari (ma si parla di quasi 200 milioni).

Per concludere, non va trascurato l’uso interessante di una tecnologia in fase di ulteriore esplorazione negli ultimi tempi, quella impiegata per ‘ringiovanire‘ le star anziane attraverso un processo di VFX e di cui abbiamo curiosamento visto i risultati anche in moltissimi prodotti recenti dell’ ‘odiata’ Marvel, da Ant-Man a Guardiani della Galassia vol. 2.

In definitiva, l’unico appunto che di può (ri)fare a questo titanico sforzo, è che solo una piccola parte degli spettatori potrà goderselo appieno sul grande schermo.

Di seguito il full trailer internazionale (sottotitolato in italiano) di The Irishman, nei cinema italiani – per soli tre giorni, il 4, 5 e 6 novembre e poi nel catalogo Netflix dal 27 novembre.