Voto: 5.5/10 Titolo originale: Velvet Buzzsaw , uscita: 01-02-2019. Budget: $21,000,000. Regista: Dan Gilroy.
Velvet Buzzsaw: la recensione del film horror sull’arte con Jake Gyllenhaal
01/02/2019 recensione film Velvet Buzzsaw di Sabrina Crivelli
L'attore ritrova Dan Gilroy per un'intrigante satira made in Netflix sul mondo di galleristi e artisti, sopra cui il regista innesta una vena horror non esattamente ben amalgamata
Dan Gilroy, già regista e sceneggiatore di Lo sciacallo – Nightcrawler, torna ora a dirigere in esclusiva per Netflix un thriller che indulge evidentemente sulla riflessione sulla labile moralità della società americana, quella dello spettacolo e della spettacolarizzazione, dell’apparenza e dell’ipocrisia; questa volta però, in Velvet Buzzsaw, non si tratta più del mondo dell’informazione televisiva, in cui tutto è concesso pur di guadagnare qualche punto di share, ma del’elitario mondo dell’arte contemporanea.
I contesti sono lievemente diversi, ma ne sono praticamente condivisi personaggi e dinamiche, oltre a uno degli attori principali: Jake Gyllenhaal, che nel film del 2014 incarnava un intraprendente videomaker disposto a tutto per ottenere la fama mediatica, qui è un affermato e cinico critico, Morf Vandewalt, che con un semplice articoletto può stroncare per sempre o innalzare verso la gloria un qualsiasi artista. Poi, c’è una latente vena horror paranormale, interessante di per sé, ma poco amalgamata con il resto, col satirico e caustico ritratto sociale che finisce per inglobare e annichilire ogni possibile tensione.
La storia si incentra difatti su una serie di tele trovate per caso da Josephina (Zawe Ashton), aspirante gallerista senza scrupoli che, dopo essersi imbattuta nel cadavere del suo anziano vicino di casa, Ventril Dease – l’autore dei dipinti -, entra nel suo appartamento e scopre un impensabile ‘tesoro’. Le opere del misterioso inquilino sono infatti estremamente affascinanti – e parecchio inquietanti -, ma nelle sue ultime volontà l’uomo insiste che vengano tutte distrutte. Lei, tuttavia, decide di ignorarlo conscia del loro potenziale valore, ancor più poiché capita assai di rado di incappare in un grande artista, mai scoperto e già postumo!
Così, la voce inevitabilmente inizia a circolare nell’ambiente, con la giovane che mostra le tele prima all’amico e saltuario amante Morf Vandewalt, che ne rimane estasiato quanto lei, poi alla sua mentore, la potente gallerista Rhodora Haze (Rene Russo), e infine a una serie di altri avidi protagonisti del jet set dell’arte contemporanea di Los Angeles, che vedono immediatamente una possibilità di grande lucro dietro alla limitata produzione (resa tale …) e ci si avventano voraci. Le fosche creazioni, però, celano un terrificante segreto e il venirne in contatto – con finalità egoistiche – si rivelerà presto fatale.
Sin dai primi fotogrammi di Velvet Buzzsaw lo spettatore è subito proiettato in una sagace satira sul mondo dell’arte, in cui direttori degli acquisti (Toni Collette) di musei privati diventano consulenti per ricchi privati optando per una vita più agiata e un’automobile più bella, in cui i galleristi, melliflui e adulatori, cercano di rubarsi vicendevolmente gli artisti di punta o dal futuro più promettente, mentre i protégé di ciascuno fingono di disdegnare lo sporco soldo, ma poi …
Quindi ci sono gli amori fuggevoli e di facciata, i voltafaccia opportunistici, e i post-moderni cloni di Jean-Michel Basquiat che dalla comune di artisti di strada, se attirati dalle lusinghe della fama, passano alla galleria in pieno centro. E’un mercimonio, fatto di bugie e di pura immagine, in cui una non troppo velata caricatura del critico alla Tom Wolfe (aka Gyllenhaal) spadroneggia capriccioso e in cui si prova a far ‘sparire’ in sordina parte della miriade di opere di Ventril Dease per ritrovarle magicamente in seguito “in tempi difficili” e intanto vendere a cifre da capogiro le poche emerse.
Le strategie, i lanci, la mentalità delle gente del settore sono descritte con grande vivacità e con un tocco di pungente ironia, talvolta sconfinante nel ridicolo / black humor. In fondo quasi si desidera una qualche ‘punizione’ per questo microcosmo di egocentrici ed eccentrici personaggi.
Se questo “falò delle vanità” è indubbiamente intrigante e visivamente ammaliante, Dan Gilroy – che è anche sceneggiatore – insinua sulla sua tela in modo in parte innaturale la deriva orrorifica, che non è certo secondaria. Le scene di tensione non sono costruite in maniera particolarmente convincente o spaventosa e i toni lasciano confusi.
Così abbiamo solo una serie di ingredienti promettenti: lo sviluppo stesso è una sorta di ibrido tra il meccanismo narrativo alla Final Destination, con morti pirotecniche che si susseguono inesorabili una dopo l’altra (ma per una diversa forma di ‘maledizione’) e concetti già visti in The Devil’s Candy di Sean Byrne (la nostra recensione), dacché anche qui il manufatto artistico rivela un’anima decisamente oscura, demoniaca, e in Il medaglione insanguinato di Massimo Dallamano, declinazione pittorica del cliché del genere sull’oggetto foriero di sventura.
A ciò si sommano gli affascinanti tocchi di colore, così come i momenti a La sindrome di Stendhal di Dario Argento, nei quali però la confusione tra realtà e dimensione pittorica non si limita allo psicologico, estendendosi anzi al tangibile e risultando decisamente letale, un po’ come succedeva col quadro di Amedeo Modigliani che prende vita nella recente versione di IT di Andrés Muschietti.
In ultimo, a qualcuno potrebbe pure venire in mente Ghostbusters II, col suo minaccioso ritratto di Vigo il flagello di Carpazia. In questi momenti, in Velvet Buzzsaw il grottesco si frammischia allo splatter, con installazioni minimaliste cannibali o scimmie che si animano e commettono brutali omicidi.
Sulla carta sembra tutto eccitante, eppure il lungometraggio pecca di attenzione per i dettagli, soprattutto in termini di causalità dell’immaginario sovrannaturale (che non per questo deve mancare di una qualche logica interna …). Indubbiamente l’origine della sciagura che si abbatte sui protagonisti (a dire il vero nessun attore spicca con forza sugli altri) è precisa, ma il suo materializzarsi un po’ a casaccio, secondo modi e tempi ineffabili, non aiuta a comprendere appieno la natura della punizione (e il vago racconto sul passato di Ventril Dease e il suo usare il sangue per dipingere non aiuta molto in tal senso).
Minuzie forse, specie per chi sceglie di leggere il film soltanto come attacco a un certo mondo vanesio e labile o si gode le performance del cast, ma considerando che la componente horror è piuttosto importante nell’insieme, chi si approccia cercando emozioni forti rimarrà deluso (è comunque un V.M. 14).
Un suggerimento importante: se potete, evitate il doppiaggio italiano, che appiattisce le prove spesso smaccatamente caricate degli attori, soprattutto di Jake Gyllenhaal.
Di seguito il trailer italiano di Velvet Buzzsaw, nel catalogo Netflix dall’1 febbraio:
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