Voto: 6.5/10 Titolo originale: Vivarium , uscita: 07-09-2019. Budget: $4,000,000. Regista: Lorcan Finnegan.
Vivarium: la recensione del film di Lorcan Finnegan con Jesse Eisenberg
14/10/2019 recensione film Vivarium di William Maga
L'opera seconda del regista, in cui troviamo anche Imogen Poots, è una brillante riflessione sulla vacuità dell'esistenza umana che dimostra di aver assimilato al meglio gli insegnamenti di Ai Confini della Realtà
Quando un film o una serie TV si erge a punto di riferimento assoluto per il genere in cui si inserisce, diventa facilmente un’etichetta di qualità che i critici tenderanno ad affibbiare troppo spesso – e a sproposito – ad opere che non ne hanno né le stesse qualità formali, né la medesima profondità tematica.
Questo è particolarmente vero all’interno della fantascienza, quando ‘X’ volte ogni anno ci si ritrova di fronte a un qualche lungometraggio – o show – con un’atmosfera o un colpo di scena alla Ai Confini della Realtà, seminale prodotto per il piccolo schermo la cui vera forza non erano certo i suoi pur sconvolgenti colpi di scena a spiazzanti ma la pertinenza e pregnanza del commento sociale. Proprio questo è il merito maggiore di Vivarium, che giustifica finalmente per una volta l’invocazione dello spirito della celebre serie di Rod Serling, come già era stato legittimo fare nel 2017 con Scappa – Get Out di Jordan Peele (la recensione).
Su un semplice postulato, una coppia di giovani che intendono acquistare una casa dove poter metter su famiglia che si affida a un misterioso agente immobiliare, ritrovandosi intrappolata in un bizzarro quartiere, il regista Lorcan Finnegan (Without Name) sprofonda il suo film in territori fantastici per costruire una crudele, e tuttavia molto attuale, favola dark che non si limita a sottolineare il vuoto delle nostre aspirazioni materiali, ma che, soprattutto, ci mette di fronte all’inutilità delle nostre vite, anche rispetto alla cosa che per molti dovrebbe avere più significato di tutto: essere genitori.
Vivarium (dal latino, ‘contenitore per animali vivi’) offre infatti un viaggio unico e affascinante in un mondo che sfida ogni razionalità, in cui le leggi della fisica – e persino della biologia – sono diverse dal mondo in cui Tom (Jesse Eisenberg) e Gemma (Imogen Poots) hanno fino a lì vissuto, una coppia la cui vita sta per cambiare mentre progetta la costruzione di un futuro insieme.
Non appena entriamo nel labirintico e asettico sobborgo ‘dei sogni’, il primo pensiero va a The Truman Show (Peter Weir, 1997), con questa “esistenza sotto una campana” costantemente spiata da un’entità – o un’organizzazione – con finalità misteriose. La villetta al n. 9, nella quale i due sono costretti a sistemarsi, diventa così a tutti gli effetti uno ‘studio di laboratorio’ dove loro sono le cavie di un’esperienza di vita accelerata che mette in evidenza il vuoto della loro esistenza.
Lorcan Finnegan, che si è formato come graphic artist, lavorando poi nell’animazione prima di diventare un prolifico regista pubblicitario, affronta la storia – da lui scritta con Garret Shanley – con un’estetica, un senso dell’assurdo e un surrealismo che ricordano le opere di un altro regista che ha mosso i primi passi nella pubblicità, lo svedese Roy Andersson, ma anche del francese Michel Gondry.
L’ambientazione della vicenda ricorda un quadro di René Magritte (i colori, la forma delle nuvole, persino l’aspetto delle casette color menta), questo sobborgo residenziale e i suoi vicoli tutti uguali sembrano appartenere a un dipinto surrealista piuttosto che al nostro mondo. Sebbene non sufficienti di per sé, tali forti presupposti formali dovrebbero comunque spingere alla visione. Vivarium avrebbe potuto benissimo essere semplicemente un interessante cortometraggio allungato, ma tematicamente si rivela altrettanto interessante che formalmente.
Vivarium può allora essere analizzato come un’estensione del corto Foxes del 2012, in cui Lorcan Finnegan aveva già piazzato la sua telecamera in una di queste immense e impersonali residenze abitative suburbane. Simbolo di successo sociale per quelle coppie che vi andavano a risiedere in cerca di pace e comfort, il regista aveva saputo mostrare, attraverso la messa in scena e l’intervento del fantastico, che questi quartieri standardizzati, fatti di case tutte uguali allineate e di infinite stradine, potevano in realtà scatenare un senso di ansia, di oppressione, rappresentando il confinamento volontario a cui finiamo per sottometterci.
Tom e Gemma formano una coppia con cui possiamo perfettamente identificarci: lui è un giardiniere, lei è un’insegnante, il loro viaggio è quello di milioni di coppie e la loro esperienza sarà così la nostra, andando in tal modo oltre la gabbia del ‘semplice’ ingegnoso film di genere in cui avrebbe potuto rimanere intrappolato.
Il casting di Jesse Eisenberg e Imogen Poots è inoltre particolarmente azzeccato, in quanto entrambi attori dalla compatibile versatilità: un aspetto da ragazzo / ragazza della porta accanto nei quali compare una ‘crepa’, un fuoco interiore che permette loro di recitare secondo una tavolozza di emozioni molto ampia che consente allo spettatore di preoccuparsi del destino dei rispettivi personaggi, calandosi nelle loro reazioni mentre affrontano questa versione da incubo della vita familiare a cui aspiravano.
Se Gemma sembra a un certo punto rassegnarsi alla frustrante e disperata situazione fino a lasciarsi coinvolgere nel ruolo di madre putativa di uno strano ragazzo che mette costantemente alla prova la sua pazienza (la versione incarnata dal giovane Senan Jennings è da brividi veri), Tom invece sceglie di ‘scappare via’, seppellendosi in un piano di cui è l’unico a comprenderne il significato. L’essenziale sembra per lui il non essere un attore passivo di una vita che non ha voluto.
Questa situazione può essere vista come una metafora della vita coniugale, soprattutto il modo in cui tutti reagiamo alla noiosa e ripetitiva quotidianità e all’educazione di un figlio per il quale sentiamo di dare tutto senza però ricevere nulla in cambio (la TV che trasmette messaggi visivi incomprensibili agli adulti potrebbe simboleggiare l’incomunicabilità), fino a quando finalmente si ritrova la ‘libertà’ non appena si esce di casa.
Costellando il film di allegorie, Lorcan Finnegan gioca perfettamente con l’umorismo nero e l’irragionevolezza di questa esperienza di vita accelerata, questo incubo domestico in cui l’identità del ‘grande burattinaio’ è sostanzialmente irrilevante. La storia di Vivarium si evolve in una dimensione parallela alla nostra, come negli episodi di Ai Confini della Realtà, che vedevano i protagonisti confrontarsi con se stessi dentro a situazioni certamente fantastiche o fantascientifiche, ma che fondamentalmente risuonavano strettamente con le loro vite e le loro aspirazioni.
Pur risultando intuibile come andrà a finire e sfiancando un po’ per il suo girare a vuoto nella parte centrale, Vivarium mette sul tavolo le qualità di un regista dall’identità molto forte, un autore capace di piegare brillantemente il genere per sviluppare le sue tematiche e in grado di satireggiare sulle debolezze umane, attraverso un grande talento visivo. Non ci resta che aspettare il suo prossimo film.
In attesa di capire se prima o poi arriverà anche in Italia, di seguito trovate il trailer internazionale di Vivarium:
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