Voto: 7/10 Titolo originale: 君の膵臓をたべたい , uscita: 01-09-2018. Regista: Shinichiro Ushijima.
Voglio mangiare il tuo pancreas: la recensione del film d’animazione di Shinichirō Ushijima
07/05/2020 recensione film Voglio mangiare il tuo pancreas di Sabrina Crivelli
Il regista giapponese esordisce al lungometraggio con un adattamento del pluripremiato romanzo di Yoru Sumino che commuove fino alle lacrime, parlando con delicatezza di vita, di morte e di amore
A volte, capita sempre più di rado, ci sono dei film capaci di commuovere fino a non poter trattenere lacrime. Sono momenti preziosi, dopo tante delusioni cinematografiche, che ripagano la ricorrente apatia che pervade sovente chi scrive a pochi minuti dall’arrivo nella sala buia davanti al grande schermo. Ebbene, uno di questi tesori viene (come già in passato) dalla delicata sensibilità nipponica, dove il dramma non è urlato, ma solo sussurrato e per questo più toccante, più poetico. Nuovo capolavoro giapponese, Voglio mangiare il tuo pancreas (君の膵臓をたべたい Kimi no Suizō o Tabetai) dell’esordiente al lungometraggio Shinichirō Ushijima (One-Punch Man) è un ritratto amaro e al contempo incredibilmente dolce della vita e della morte e una meravigliosa storia d’amore mai vissuta e pervasa di malinconia.
Riflessione esistenziale dalla profondità inusitata per uno spettatore abituato agli insipidi copioni occidentali, il tema al centro dell’adattamento tratto dal pluripremiato romanzo di Yoru Sumino è tutt’altro che leggero: il solitario Haruki Shiga un giorno per caso in ospedale si imbatte in un volumetto, dimenticato su una delle sedie della sala d’attesa. Così, essendo un divoratore di libri, è incuriosito, lo apre e scopre che si tratta del ‘diario della malattia’ di una compagna di classe, Sakura Yamauchi, affetta da una patologia terminale e incurabile al pancreas.
Nasce in tal maniera, per volere del fato o del destino, un’amicizia incredibile, un legame impareggiabile tra due opposti, lei sempre allegra e amata da tutti, ma incapace di rivelare a chiunque il suo triste segreto e in fondo assai più sensibile e travagliata di quello che mostra, lui schivo ed emarginato, chiuso in sé stesso per difesa.
E’ vero, il nucleo narrativo di Voglio mangiare il tuo pancreas potrebbe lasciar pensare a un epopea del lacrimevole, ma non è così, o almeno non è semplicisticamente così. La vicinanza della fine diventa un inno incondizionato alla vita, una trasposizione fanciullesca e purissima del celebre carpe diem, il cui messaggio è amplificato alla massima potenza. Ogni istante è prezioso, Sakura (il cui nome rimanda alla fioritura dei ciliegi in marzo/aprile) ne è conscia più di altri e lo assapora al massimo.
La sua condizione, tuttavia, e il suo desiderio di serbarla per sé per evitare che gli amici la trattino diversamente la rendono irrevocabilmente sola, anche se all’apparenza è – all’opposto – circondata di persone. Haruki (che ‘albero della primavera’ in giapponese, determinando così con la protagonista un’affinità karmica) con la sua involontaria apatia riesce a dare alla ragazza esattamente ciò che lei desidera, “verità e quotidianità”, ossia la possibilità di essere del tutto sincera sul suo male, ma allo stesso tempo di vivere normalmente ogni esperienza, seguendo una lista di cose che desidera fare.
Voglio mangiare il tuo pancreas tratteggia così, con pochi lirici tocchi, momenti comuni che assurgono al sublime per la fugacità a cui è destinato chi li esperisce. Il banale, come una gita in una cittadina, un gioco adolescenziale, o delle rivelazioni personali, diventa unico quando il tempo sta per terminare. Tale consapevolezza, la forza di spirito necessaria, alcuni dialoghi così semplici eppure così profondi che lasciano il segno, coinvolgono sempre più il pubblico creando un incredibile legame empatico con la piccola e sorridente Sakura e il timido e sensibile Haruki. Ogni loro lacrima, ogni loro sussulto, ogni lezione preziosa che il ragazzo impara dalla coetanea sono un dono prezioso fatto anche a noi, che li osserviamo assorti mentre i minuti avanzano e quasi non ce ne rendiamo conto, tanto è il trasporto.
I grandi misteri dell’esistenza sono allora racchiusi in poche limpide parole, come quando Sakura professa che il nostro destino è determinato dalle nostre scelte, una dietro l’altra, e poco dopo Haruki afferma che ogni sua decisione precedente l’abbia in fondo portato a lei. Non esistono in Voglio mangiare il tuo pancreas soliloqui pretenziosi, pesanti e ostiche disquisizioni o mediocri luoghi comuni; non esistono nemmeno melodrammi melensi e frasi fatte.
L’anime di Shinichirō Ushijima tratta la morte e il senso della vita (che in fonde risiede nell’affetto e nell’amore degli e per gli altri) con una prospettiva sopra le righe e una sensibilità unica, sapendo con un tenue sorriso affrontare anche il più drammatico dei momenti vissuti dai due meravigliosi e disarmanti protagonisti.
E non sono solo le parole, ma anche i dettagli, i piccoli gesti come un pugno che stringe un paio di scarpe, uno sguardo furtivo, un abbraccio, a rendere ancor più completa questa attenta fenomenologia dei sentimenti. Infine, a portare a compimento il tutto sono la grafica pulita, i disegni di luoghi e personaggi, alcuni lirici paesaggi come una scena notturna con fuochi d’artificio, oppure la luce accecante di una giornata di sole. Nulla di inedito, ma che concretizza alla perfezione l’essenza del racconto in un insieme di linee e colori.
All’altezza di grandi anime d’autore come Cinque centimetri al secondo (la recensione) di Makoto Shinkai, La storia della principessa splendente (la recensione), o Millennium Actress (千年女優 Sennen joyū) di Satoshi Kon, delizierà indubbiamente gli amanti della cinematografia nipponica e non solo.
Da segnalare che nel 2017 ne era uscita anche una versione live-action, diretta da Shô Tsukikawa.
Di seguito trovate il trailer italiano del film:
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