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Voto: 6/10 Titolo originale: Ad Astra , uscita: 17-09-2019. Budget: $87,500,000. Regista: James Gray.

Ad Astra: la recensione dell’odissea verso le stelle di James Gray con Brad Pitt (Venezia 76)

03/09/2019 recensione film di William Maga

Il regista gira un film ambiziosissimo, che si affida a modelli 'alti' ma il cui messaggio finisce per edulcorarsi sotto il peso della composizione visiva

Brad Pitt in Ad Astra (2019)

È ambiziosissimo, almeno quanto lo era stato nel 2016 il sopravvalutato Civiltà Perduta (la nostra recensione), James Gray torna dietro alla camera da presa con Ad Astra, film da 50 milioni di dollari di budget presentato in concorso alla 76a edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Un’ambizione inzuppata nella fantascienza colta e ‘credibile’ (mutuata dal collega Christopher Nolan) che può allo stesso tempo affascinare, se ci si lascia trasportare dalle immagini, spesso potenti, oppure lasciare indifferenti per la – almeno apparente – superficialità e prevedibilità dell’odissea nello spazio (e nell’uomo) che coinvolge il freddo astronauta interpretato adeguatamente da Brad Pitt.

Siamo nel vicino futuro: il Maggiore Roy McBride (Pitt) guida una squadra impegnata a localizzare forme di vita aliena nella stratosfera, quando un improvviso sbalzo di corrente gli costa quasi la vita. Questo incidente è l’ultimo di una lunga serie di recenti catastrofi che si sono verificate sulla Terra, provocate proprio da impennate elettriche causate da esplosioni radioattive.

Adastra.jpgL’intelligence statunitense capisce che il problema è il risultato di raggi cosmici emanati da esplosioni che si verificano nei pressi del pianeta Nettuno, dove aveva luogo il Progetto Lima, una vecchia missione la cui navicella spaziale è scomparsa nel nulla sedici anni dopo la partenza. Fatto non secondario, il comandante del Progetto era il padre di Roy, H. Clifford McBride (Tommy Lee Jones), un astronauta leggendario di cui si sono perse le tracce e che si crede ormai morto.

Roy continua tuttavia a idolatrarlo, avendo lui stesso ereditato dal padre un’incredibile tolleranza al rischio e la convinzione che tutte le risposte agli enigmi fisici e metafisici della vita risiedano nello spazio più profondo. Un giorno, i funzionari del governo degli Stati Uniti si presentano a Roy per dirgli che suo padre in realtà è vivo e che si trova ai confini del sistema solare, chiedendogli di prendere parte a una nuova e pericolosa missione per mettersi quanto prima in contatto con l’uomo, ritenuto capace di compromettere il futuro dell’umanità intera. Roy inizia così un viaggio nel cosmo in direzione Nettuno alla ricerca di verità e risposte.

Il punto focale di Ad Astra è evidentemente la necessità da parte di Roy di colmare una mancanza profonda che non riesce a esprimere. La storia, scritta dal regista assieme a Ethan Gross, riguarda infatti essenzialmente la profonda solitudine del protagonista, la sua incapacità di comunicazione con gli altri, il fatto che non conosca realmente tali individui, e che anche queste persone abbiano interesse a preservare questa distanza. Più legami ci sono, più cresce il rischio per la missione, nonché il pericolo personale.

Roy incontra questi esseri umani entrano ed escono dalla sua traiettoria, ma non si interessa affatto alla loro realtà, si sente pienamente vivo solo quando si trova ai confini dell’atmosfera terrestre, lontano, in esplorazione. Sta bene solo così. Ha una relazione con una donna – tratteggiata in modo leggerissimo – di nome Eve (Liv Tyler) che lo ama e che anche lui sembra amare, ma c’è qualcosa che lo blocca e che lo allontana da lei. La causa del suo malessere è suo padre, che lo ha abbandonato da piccolo, causandone l’incapacità a stabilire una qualsiasi intimità nella sua vita.

Roy emerge quindi non soltanto come un personaggio solo, ma come un solitario, una persona che preferisce l’isolamento, perlomeno nella prima metà di Ad Astra. E questa situazione frustrante genera crescente ansia e una repressione emozionale che solamente una volta superate gli permetteranno di cominciare a esplorare i legami umani sulla Terra e dare una chiusura al suo percorso introspettivo.

Ad Astra non parla poi di un futuro ipotetico, non necessariamente possibile, e neppure profetico, ma è semplicemente un film che racconta, ancorandosi fortemente alla realtà (anche la CGI è limitata), cosa potrebbe accadere se l’esplorazione dello spazio continuasse e se colonizzassimo prima o poi davvero la Luna, Marte e altri pianeti. E se con questo traguardo – oggi utopico – trasportassimo con noi anche gli errori e le paure insite nell’uomo. In sostanza, porta avanti la tecnologia spaziale degli anni ’60 e ‘70, immaginandone però un’evoluzione priva degli elementi che popolano la maggior parte degli attuali titoli di fantascienza. La visione stessa del progresso è piuttosto ottimista, non cedendo alla facile tentazione di sfociare nel terrorizzante, ma nemmeno nel troppo idilliaco.

Tommy Lee Jones in Ad Astra (2019)James Gray ha racconta senza troppi problemi di aver tratto ispirazione per Ad Astra dalle sue letture sul fisico premio Nobel Enrico Fermi, “l’architetto dell’era nucleare”, ma anche dal romanzo Cuore di tenebra di Joseph Conrad (già scrutato proprio in Civiltà Perduta) e dal film Apocalypse Now di Francis Ford Coppola, ibridandole coi racconti molto concreti delle missioni spaziali Apollo e Mercury.

Emerge però dalla visione anche il forte influsso del seminale Moby Dick di Herman Melville, nella figura di Clifford McBride novello Capitano Akab ossessionato dalla “balena bianca”, che nel film prende le sembianze degli alieni, forme di vita non umane in grado di aiutarci e di fornire risposte alle nostre domande esistenziali.

Questa impostazione ‘alta’, encomiabile senz’altro nelle intenzioni, non può che rendere tuttavia Ad Astra inevitabilmente derivativo, oltre che sconnesso (si vedano le episodiche e movimentate scene d’azione sul suolo lunare e poi su quello marziano), con una narrazione che certo non è aiutata dalla voce fuori campo che declama l’ovvio, facendo rimpiangere la penna di Michael Herr in quello che assomiglia più a un brutto omaggio a Terrence Malick. E dove il voice over non arriva, ci pensano i dialoghi espliciti oltre misura.

La quantità di talenti coinvolta è certo enorme, da Donald Sutherland al direttore della fotografia Hoyte Van Hoytema (Dunkirk, Interstellar), fino al compositore Max Richter (Shutter Island, The Leftovers), che concorrono a confezionare un’opera visivamente magnifica attraversata da lampi di meraviglia (si vedano l’inseguimento sulla Luna degno di Mad Max: Fury Road o il catastrofico set di apertura sull’altissima torre spaziale), ma fredda e poco emotiva, almeno quanto il suo protagonista

Risultato voluto o meno, un coinvolgimento maggiore dello spettatore non sarebbe stato inopportuno, così come pure sarebbe stata interessante una maggiore esplorazione del mondo in cui naviga Roy, qualche volta descritto con sagacia (coperta e cuscino per il volo commerciale verso la Luna fatti pagare 125 dollari, come su un qualsiasi low cost). Senza contare che il viaggio di Brad Pitt si dipana amini blocchi‘, con sequenze che si susseguono spesso senza alcun peso specifico. Esempi lampanti ne sono l’introduzione del condensatissimo personaggio interpretato da Ruth Negga, teoricamente l’altra faccia della medaglia di Roy, che si presenta, espone i suoi dialoghi con professionalità e se ne va, o l’imprevedibile momento horror che coinvolge un babbuino spaziale rabbioso.

In definitiva, James Gray ha costruito un mondo vibrante e visivamente stimolante nella composizione e nelle inquadrature, che però schiaccia sullo sfondo il suo messaggio, enfatizzandone eccessivamente la potenza.

Di seguito il full trailer in internazionale (per meglio apprezzare le voci originali) di Ad Astra, nei nostri cinema dal 26 settembre: