Voto: 6/10 Titolo originale: Alita: Battle Angel , uscita: 31-01-2019. Budget: $170,000,000. Regista: Robert Rodriguez.
Alita – Angelo della Battaglia: la recensione del film di Robert Rodriguez che adatta Yukito Kishiro
01/06/2020 recensione film Alita - Angelo della battaglia di Sabrina Crivelli
Rosa Salazar è una giovane cyborg senza memoria e dal grande cuore nella versione per il cinema semplicistica e visivamente brillante dell'omonimo manga supervisionata da James Cameron
Approcciandosi ad Alita – Angelo della Battaglia (Alita: Battle Angel) di Robert Rodriguez, si ripropone come in molti altri casi prima un’annosa questione: come rapportarsi a un adattamento milionario americano di un manga giapponese di culto? Per i puristi, coloro che ne hanno amato ogni albo, ogni pagina scritta e illustrata da Yukito Kishiro (erano gli anni ’90 quando uscì in Italia edito dalla Panini, nella collana Planet Manga), la resa per il grande schermo sarà quasi sicuramente l’ennesimo ‘oltraggio’. Inutile mentire. Ogni volta che si guarda alla ricchezza del materiale originale, le traduzioni semplicistiche e a-problematiche proveniente da Oltreoceano non possono che deludere.
Al contrario, se ci si reca in sala senza conoscere il materiale originario o comunque con poche aspettative sulla profondità di un prodotto pensato per essere estremamente commerciale, un fumettone pieno di effetti speciali e dalle palesi derive teen, in fondo ci si ritroverà a pensare “Beh, non è poi male come me lo aspettavo!”, stupendosi di quanto si sia divenuti possibilisti dopo tante delusioni e tanta indignazione.
Forse, dopo il vilipendio a scapito di alcuni dei ‘mostri sacri’ della tradizione nipponica sia su carta che in versione anime, ovvero le inqualificabili versioni live action di Dragonball Evolution di James Wong e il Ghost in the Shell di Rupert Sanders (la nostra recensione), si è toccato un punto talmente basso di trasposizioni che a suo paragone ogni altro – seppur meschino – tentativo non può che risultare ‘meno peggio’.
Bisogna essere chiari: la storia è elementare e non si eleva nemmeno di mezza spanna dal grado zero del sci-fi teen romance in cui si assiste impotenti a un miscuglio di eroici buoni sentimenti, ravvedimenti da parte dei cattivi controvoglia e di ‘ragazzacci’ caduti preda della società, nonché di un paio di villain monolitici e dalle psicologie granitiche. Protagonista è l’Alita del titolo (un’esoftalmica Rosa Salazar corretta discretamente in CGI, tanto che gli occhioni non danno alcun reale ‘fastidio’), la cui carcassa metallica smembrata viene ritrovata in una discarica dal cyber-chirurgo Daisuke Ido (Christoph Waltz).
Il buon medico – e benefattore del vicinato – le dona quindi un nuovo corpo (la testa, col suo umanissimo cervello, era rimasta miracolosamente intatta) e decide di tenere con sé e accudire la povera ragazzina, che non ricorda nulla della sua vita passata.
Non è un mondo facile quello in cui capita l’adolescente bionica. Sovrastata dall’avveniristica Salem (che vediamo solamente dal basso) dalla quale è ‘caduta’, la protagonista si ritrova così nella Città di Ferro, una moderna Babilonia sporca e assai popolosa, nonché ultimo baluardo dell’umanità tutta dopo “La Caduta”, tragica guerra finale coi marziani che ha portato alla distruzione di tutte le altre metropoli della Terra. Quivi, la polizia ha cessato di operare e a mantenere l’ordine si affannano un gruppo di spietati cacciatori di taglie, i Braccatori, che eliminano fisicamente ogni ricercato e ne portano i resti a un’Intelligenza meccanica in cambio di una ricompensa in denaro.
Per le strade si aggira anche un gruppo di predoni che rubano pezzi robotici alle sventurate vittime di turno, per poi rivenderli sul mercato nero dei ricambi per i concorrenti del violentissimo e ipercinetico Motorball, spettacolo sportivo controllato dal losco Vector (Mahershala Ali) e dalla sua amante Chiren (Jennifer Connelly). Se vi domandate di cosa si tratti, la risposta è semplice: ricordate Rollerball (la nostra recensione) di Norman Jewison? Bene, il principio è lo stesso, ma al posto di ‘pattinatori’ umani, a sfidarsi davanti a folle urlanti è un gruppo di umanoidi dalle dotazioni letali quanto fantasiose.
Poi c’è la storia d’amore tutta adolescenziale tra la generosa Alita – ‘più umana degli umani’ – e l’irrequieto Hugo (Keean Johnson), ossessionato dall’ascesa al mondo superno, ovvero Salem, e disposto a qualsiasi cosa pur di raggiungerlo. I prevedibilissimi sviluppi drammatici (non si può dire oltre, ma tutti gli amanti del fumetto ricorderanno l’indimenticabile ‘scalata ‘…) sono affrontati con una leggerezza e una superficialità che lascia quantomeno perplessi, manca una degna attenzione alle dinamiche emotive (specie nel rapporto padre/figlia che si viene a creare), al giusto affondo nella tragedia (il passato di Daisuke Ido per dirne una), o nell’apice della tensione.
A ciò si somma il blando tentativo di esplorare il travaglio interiore e la ricerca della propria identità e delle proprie origini da parte della protagonista, nonché il suo ruolo di eroina / donna emancipata, sicura di sé e del proprio corpo in barba alle convenzioni. Anche quest’ultimo aspetto, che avrebbe potuto conferire allo sviluppo tutt’altro spessore, è trattato con estrema semplificazione, quasi fosse un mero e abbozzato sottofondo ‘dovuto’ al flusso quasi costante dell’azione che non merita tuttavia particolare attenzione o approfondimento, pena la caduta dell’attenzione dello spettatore medio.
D’altronde, se le premesse sarebbero indubbiamente promettenti sotto svariati punti di vista, come molti sono gli spunti forniti dall’originale nipponico, non vengono affatto sfruttate come auspicabile.
Difficile è sapere se le sfumature e le profonde riflessioni filosofiche e sociologiche presenti nel manga di Yukito Kishiro siano state consapevolmente del tutto trascurate già nell’iniziale script dall’elaborazione pluridecennale redatto da James Cameron (appassionatosi al soggetto già nei primi anni 2000 e poi affiancato alla sceneggiatura da Laeta Kalogridis, decidendo infine di rimanere solo in veste di produttore e supervisore creativo), oppure se ad eliminarle dall’equazione per evitare inutili complicazioni sia stato il necessario e inevitabile processo di ‘scrematura’ cominciato nel 2015, quando è stato coinvolto Robert Rodriguez e insieme hanno lavorato per combinare e riassumere le 168 pagine di copione e le 600 di note scritte sui primi 4 tankōbon (si, il finale è aperto).
Lo sviluppo narrativo, come le psicologie dei personaggi, non sono esattamente ‘memorabili’. A tal riguardo, è necessario non sottovalutare il possibile (probabile?) influsso stesso del regista di Dal tramonto all’alba e Sin City, il cui pregio migliore non è storicamente di certo la complessità delle trame. Il risultato poteva quindi essere in fondo prevedibile. Purtroppo però, va altresì sottolineato che, a parte una sonora scazzottata in un bar punto di ritrovo abituale per i cacciatori di taglie, non si percepisce più di tanto il solitamente riconoscibile manierismo rodrigueziano nella direzione del film, che risulta invece girato in uno stile piuttosto impersonale, completamente al servizio delle più costose tecnologie avanguardistiche sul mercato.
Lo splatter e le risse ci sono certo, ma non ai soliti livelli (qui c’è di mezzo anche il su primo PG-13 …) e della nota grottesca che l’ha da sempre contraddistinto non si vede nemmeno l’ombra. E a ciò si somma pure l’assenza dei caratteristi coi quali è solito lavorare l’eccentrico filmmaker texano, eccezione fatta per Jeff Fahey, che compare in quello che si rivela solo una sorta di simpatico cameo (ce ne sono anche altri due, tutti da scoprire).
A funzionare invece in Alita – Angelo della Battaglia è anzitutto la distopia low-tech fatiscente in cui veniamo subito immersi, che lo avvicina al District 9 di Neill Blomkamp o all’Automata di Gabe Ibáñez. Non sarà inedita o particolarmente inventiva come concetto, ma indiscutibile è il fascino dell’urbe in rovina, coi suoi grattacieli un po’ smangiati e il grande stadio che attrae le folle con i suoi tecnologici – ma sempre sanguinolenti – ludus circensi.
La variopinta calca, i ragazzi di strada, le mille declinazioni dei cyborg, che spaziano dal bounty hunter cinofilo a quello vanesio con tanto di mitologica ‘katana extraterrestre’, fino al mastodontico Grewishka (Jackie Earle Haley), la gamma di fenomeni è varia e conturbante.
Anche i non pochi scontri – a colpi di letale Panzer Kunst – si rivelano visivamente efficaci, con tanto di arti mozzati, occhi trafitti, teste e ventri tagliati di netto (ma niente fontane di sangue alla Tarantino). Probabilmente, in altri contesti Robert Rodriguez avrebbe osato di più, ma essendo davanti a un blockbuster hollywoodiano non ci si può troppo lamentare. Computer grafica e mocap generano movimenti fluidi – e mai caotici – nei combattimenti come nei movimenti e nelle corse, una mimica facciale (in particolare per Alita) assai particolareggiata e realistica e panorami e sfondi concreti e ai limiti del visionario. D’altra parte, il budget investito è stato di quasi 200 milioni di dollari, quindi era piuttosto lecito aspettarselo.
In definitiva, tutto si riconduce a cosa ci si aspetta da questo lungometraggio. Se infelici paragoni non possono che portare al totale – e poco proficuo – disincanto, accostarvisi senza badare troppo alle finezze, lasciandosi trasportare per un paio d’ore nell’immaginifico universo visivo senza pretese creato da Robert Rodriguez e James Cameron dovrebbe rivelarsi un’esperienza molto piacevole.
Di seguito trovate il full trailer italiano di Alita – Angelo della Battaglia:
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