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Voto: 6.5/10 Titolo originale: The Happening , uscita: 11-06-2008. Budget: $60,000,000. Regista: M. Night Shyamalan.

Dossier: E venne il giorno di M. Night Shyamalan, un loop esistenziale che sovverte il genere

28/04/2020 recensione film di William Maga

Nel 2008, Mark Wahlberg e Zooey Deschanel erano i protagonisti di un film poco capito, una riflessione profonda e straziante sulla vita e la sua fragilità

e venne il giorno film

Per anni, M. Night Shyamalan è stato il ‘golden boy’ di Hollywood. Autore moderno capace di rendere più labile il confine tra cinema populista e artistico, cult e mainstream, genere e dramma puro con grande successo. Eppure, per un lungo periodo, quasi tutto ciò che veniva pubblicato su di lui parlava della sua rovinosa caduta dalle stelle alle stalle. Prima della recente ‘resurrezione’ – al botteghino – con Split e Glass, era come se la gente del settore lo vedesse come quello zio imbarazzante che viene comunque invitato al matrimonio per cortesia, ma che, inevitabilmente, comincerà a fare il buffone se lo lasciate vicino a una telecamera.

E venne il giorno posterCerto, non si può negare che il regista sia incappato in un paio di incidenti di percorso (leggi L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth), ma quando la gente fa riferimento a “flop indecenti come E venne il giorno (The Happening)”, forse è meglio prendere un minuto di pausa per riflettere. Non tanto perché il film del 2008, costato 48 milioni di dollari, ne ha incassati oltre 160 (non si può certo parlare di insuccesso commerciali quindi), ma soprattutto perché è probabilmente una delle opere più fraintese del decennio passato. E ora che ha superato i 10 anni di vita, è giunto il moneto di metterne in chiaro i motivi.

Mark Wahlberg interpreta Elliott Moore, un insegnante di scienze che deve provare a farsi strada in sicurezza attraverso le strade secondarie della Pennsylvania dopo che un sospetto attacco terroristico ha provocato un’ondata di inspiegabili suicidi di massa nella popolazione. La radio suggerisce che di tratta di una tossina che si diffonde per via aerea e trovare un riparo efficace sembra impossibile.

La suspense abbonda, giusto? Beh …

Forse, gran parte del problema di come è stato accolto il film risiede(va) nelle aspettative del pubblico. Reduce dal non troppo convincente Lady in the Water del 2006 (quello si un flop al box office), E venne il giorno venne pubblicizzato come un ‘ritorno ai vecchi fasti’ per M. Night Shyamalan. Il protagonista era un attore esperto del genere action, quindi si lasciava intendere che l’eroe Mark Wahlberg sarebbe stato scaraventato in un survival movie post-apocalittico, un lungometraggio che il poster stesso affermava essere un “thriller incredibilmente feroce“. Insomma, un blockbuster volto al divertimento. Il trailer era montato con tagli rapidi, con immagini di persone in preda all’isteria che fuggivano confuse da una sconosciuta minaccia terroristica. Marky Mark avrebbe salvato l’America! Evviva. Facile che molti abbiano cominciato ad aspettassi un film catastrofico in stile Roland Emmerich.

Una volta entrati in sala, tuttavia, quello che si ottiene è esattamente l’opposto.

Nei primi minuti, Elliott parla ai suoi studenti della “interpretazione dei dati sperimentali”. M. Night Shyamalan – che si è occupato di soggetto e sceneggiatura – sta dando agli spettatori un indizio proprio su ciò che dovranno fare ed E venne il giorno è davvero uno dei film mainstream più audacemente sperimentali di tutti i tempi. In un certo senso, è quasi un anti-film.

Quasi ogni aspetto di E venne il giorno è una sfida alle aspettative. Utilizzi i classici stereotipi tipici dei disaster / survival movies di serie B (M. Night Shyamalan conosce chiaramente i classici) e li sovverte. Il ritmo del film, ad esempio, si muove al contrario. Inizia abbastanza frenetico e rallenta sempre di più mentre procede. Quando raggiunge il suo (anti) climax, si fa quasi immobile, con meno dialoghi, riprese più lunghe, prolungati periodi di calma e di silenzio; una vastità che puoi quasi sentire.

E venne il giorno di M. Night Shyamalan leguizamoAnche i personaggi sono irregolari. L’eroe di turno – tradizionalmente un macho tutto d’un pezzo, esattamente come capita normalmente a Mark Wahlberg – è un normale insegnante di scienze. Parla con una voce imbarazzata, insicura, e prende poche decisioni concrete per guidare effettivamente l’azione. In pratica, il suo arco narrativo si sviluppa all’opposto della classica struttura orfano-vagabondo-guerriero-martire.

Si ‘martirizza’ presto cercando di salvare sua moglie e la figlia del suo migliore amico, lotta per farle uscire da Philadelphia, ma diventa gradualmente più perso e orfano di coloro che lo circondano mentre la storia procede. Allo stesso modo, quando incontrano i militari, sono (incredibilmente!) ancora meno assertivi; una situazione completamente diversa rispetto ai soliti soggetti duri e iper disciplinati che si trovano nei disaster movie. Il soldato Auster non impreca nemmeno, esclamando invece “Cheese and crackers!” con una voce ridicola e acuta quando ha paura.

I dialoghi in generale diventano più bizzarri quando la situazione mostra segni di tensione. La grande scena del duello che sta montando tra Elliott e sua moglie Alma (Zooey Deschanel) è una discussione surreale su un “tiramisù illecito” e una “bottiglia di sciroppo per la tosse completamente superflua” che si sgonfia prima ancora che abbia la possibilità di esplodere. Ogni volta che Alma cita un film, lo fa in modo colossalmente sbagliato, confondendo Attrazione fatale con Psycho e L’Esorcista con Dio solo sa cosa. In tal modo, M. Night Shyamalan prende ulteriormente le distanze dal genere così come lo conosciamo.

La trama, parimenti, ribalta la convenzione di genere. Invece di dover raggiungere la popolosa città, i sopravvissuti devono dividersi in gruppi sempre più piccoli, poiché la tossina colpisce le persone quando sono riunite in largo numero. Invece di esserci qualche mistero (o l’obbligatorio “colpo di scena alla Shyamalan!”) apprendiamo nel primo atto che il virus che costringe la gente a uccidersi viene generata dagli alberi; ancora una volta, si tratta di un approccio interessante alle aspettative. C’è una scena verso l’inizio in cui vediamo incombenti centrali nucleari dietro una fila di alberi verdi. La reazione istintiva è quella di guardare il fumo nero e pensare “bene, quella è sicuramente l’origine della piaga”, invece è colpa delle piante apparentemente benigne in primo piano. Il killer è proprio sotto il naso fin dall’inizio. È un non-mistero. Un theydunnit.

e venne il giorno film 2008Lo stesso titolo in versione originale è forse la gag più esplicita di tutte in relazione a queste contraddizioni. Si chiama The Happening (‘l’avvenimento’) e tuttavia (come molti critici hanno sottolineato) in realtà non succede quasi nulla in tutto il film.

Ma qual è il punto? È solo – come suggerisce il testo – “un atto della natura e non lo capiremo mai“? Forse ci piace semplicemente l’ironia e lo strano umorismo dei dialoghi stravaganti come “Perché stai guardando la mia bevanda al limone?” e lo apprezziamo come una parodia dei film di serie B dei fratelli Zucker? Ovviamente no. Tutto ciò che è così lucido e attento nel suo rifiuto delle regole deve avere una ragione precisa, ed E venne il giorno non fa eccezione.

Vedete, qualunque altra possibile cosa sia, il film è innegabilmente inquietante. Anche molti dei suoi detrattori ammettono che le scene di suicidio sono sconvolgenti. A guardare bene, però, non sono tanto gli elementi viscerali di queste sequenze (uomini che si gettano contro i tosaerba, che si lanciano tra le tigri nello zoo, si gettano da un tetto o che si impiccano in gruppo) ad essere sconcertanti. È la casualità – l’insondabile contrapposizione di questo orrore autoinflitto alla vita normale di tutti i giorni – che è scioccante e proprio qui sta il nocciolo di E venne il giorno.

Tocca direttamente la paura dell’umanità per il caos. Il timore esistenziale che gli eventi non possano essere collegati e che la vita sia imprevedibile e senza senso. Prima di togliersi la vita, i personaggi sono disorientati e ripetono frasi sconnesse. Una delle scene più inquietanti del film vede una ragazza che dice a sua madre in monotono: “Calcoli… Ragiono con calcoli… Calcoli… Calcoli…! prima di buttarsi fuori dalla finestra. Non è una frase usa e getta. Il film è radicato nella matematica del cambiamento, nell’incapacità dell’umanità di controllarlo e nell’agonia emotiva che questo provoca.

Questo è il motivo per cui E venne il giorno deve ergersi come un anti-film. Per rafforzare questa astrazione, questa incapacità di connettersi con le convenzioni dell’aspettativa sociale (o in questo caso cinematografica). È il gemello diverso di Signs di M. Night Shyamalan (la recensione), in cui tutto è successo per una ragione. Anche l’evento più banale è collegato nel lungometraggio del 2002, per dimostrare che una forza maggiore e onnipotente è all’opera. Se Signs era un film apertamente religioso che affermava senza dubbio che esiste davvero un dio, E venne il giorno è l’esatto opposto; una richiesta spirituale di aiuto – una disperata crisi della fede.

E venne il giorno di M. Night Shyamalan filmNel profondo, però, E venne il giorno parla del suicidio. È M. Night Shyamalan che cerca di elaborare il suo orrore per l’enormità dell’idea di qualcuno che si toglie la vita. Un desiderio tormentato di comprendere e lenire il dolore del semplice vivere. Il testo, quando lo si spoglia di tutto, sostanzialmente parla di un uomo che (quasi letteralmente) sta scappando dall’impulso apparentemente inevitabile di uccidersi. Durante tutto il film, quasi ogni altro personaggio cerca di forzare Elliot a prendere decisioni e prendere il controllo.

Vogliono il suo aiuto e l’uomo non può nemmeno aiutare se stesso. Lo incitano perché lui porti ordine nel caos. La scena in cui urla “Dammi un dannato secondo!” e cerca di applicare la scienza alla situazione poiché metà del gruppo con cui si trova a vagare ha iniziato a uccidersi è fitto del dolore di una persona che non riesce a far fronte, che non può applicare razionalmente l’ordine a nulla, ma è terrorizzata dalla minaccia che il caos prende il controllo.

In una scena, Elliot cerca rifugio in una “casetta di rappresentanza” dove tutto (persino il vino) è fatto di plastica. Un cartello all’esterno indica “Te LA MERITI.” Il mondo intero sta cercando di mettere ordine nel protagonista, per fargli accettare addirittura il proprio appagamento come qualcosa di cui dovrebbe farsi carico, ma lui non ce la fa ad affrontarlo. In un’altra scena, canta una melodia sbarazzina in un curioso falsetto per dimostrare che è “normale” (dando però l’idea opposta). Diventa sempre più astratto dal mondo mentre il film procede e la pressione spinge per ‘farsi carico’ della sua vita.

È una chiara metafora dell’ombra crescente della depressione; la frustrazione di sapere cosa fare in teoria ma di non essere in grado di mettere concretamente ordine nel caos della mente. Mentre E venne il giorno avanza, rallentando di ritmo, uccidendo personaggi, spogliando Elliot di quasi tutti intorno a lui, senza lasciargli nessuno e nulla a cui rivolgersi, la sua resa al vuoto sembra quasi inevitabile. Ogni ripresa si allarga e dura più a lungo, espandendosi al punto in cui tale vuoto è tangibile. La fotografia di Tak Fujimoto (Badlands) qui è una traduzione straordinariamente toccante della visione molto difficile di un regista.

E venne il giorno di M. Night Shyamalan 2008Le scene finali sono strazianti. Elliot e Alma siedono in case separate, comunicando attraverso un vecchio tubo che passa sottoterra. È il riflesso simbolico della sensazione di separazione che i suicidi depressi provano verso chi li ama; Elliot vuole relazionarsi, ma non può. Le porte non sono chiuse, non c’è nulla in mezzo a loro tranne l’aria – l’aria che, se escono all’aperto, potrebbe spingerli a uccidersi. Il caos mentale astratto che potrebbe sprofondarlo oltre il limite. Quando alla fine di E venne il giorno si tuffano e camminano l’uno verso l’altro per abbracciarsi al rallentatore, è un momento rivelatore, profondamente commovente, il messaggio più positivo possibile per un’opera così dolorosamente malinconica.

Le cose vanno per il meglio e “l’avvenimento” si interrompe tanto rapidamente quanto è sorto. Non c’è una ragione. A volte le cose accadono. A volte le persone muoiono. A volte no. Il mondo è crudele, ingiusto, senza regole o struttura. Possiamo solo fare del nostro meglio per sopravvivere (il che ci porta al punto di partenza – E venne il giorno è in effetti il ​​film di sopravvivenza che ci era stato promesso, sebbene decostruito e riassemblato in qualcosa di completamente nuovo). Eppure, l’ultima scena, in cui tutto ricomincia da capo, stavolta a Parigi, lascia lo spettatore intrappolato in un loop esistenziale. Una disconnessione dalla realtà può colpire ovunque, chiunque, in qualsiasi momento. La vita è preziosa e fin troppo fragile. Un pensiero tanto confortante quanto terrificante.

La sceneggiatura è così accuratamente costruita, così multistrato e così ritmata da essere quasi poesia. Il fatto che gran parte dei dialoghi sia stata considerata semplicemente ridicola dal pubblico è triste, perché ogni parola è perfettamente al suo posto. La frase di apertura del film è “Ho dimenticato dove sono“. Chiunque abbia sperimentato la depressione non ha bisogno di guardare oltre questa frase meravigliosamente elaborata per comprendere la natura della visione di M. Night Shyamalan. Creare un film del genere a Hollywood e con un budget consistente non è certamente un compito facile, e già solo per questo, E venne il giorno dovrebbe essere rivalutato e apprezzato. È audace, silenziosamente devastante e diverso. Se ogni “flop imbarazzante” potesse essere così impeccabile, ci sarebbe da essere contenti.

Di seguito una scena clou di E venne il giorno: